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Sentenza

Tribunale Trapani. Sentenza penale. Motivazione. Il Giudice afferma la responsabilità dell’accusato sulla base di una semplice compatibilità della tesi d’accusa con i dati probatori ma non anche di certezza. No della Cassazione.
Tribunale Trapani. Sentenza penale. Motivazione. Il Giudice afferma la responsabilità dell’accusato sulla base di una semplice compatibilità della tesi d’accusa con i dati probatori ma non anche di certezza. No della Cassazione.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 giugno - 12 settembre 2013, n. 37373
Presidente Teresi – Relatore Graziosi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 9 novembre 2011 la Corte d'appello di Palermo confermava la sentenza del 21 giugno 2010 con cui il Tribunale di Trapani aveva condannato C.N. alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione per i reati di cui agli articoli 81 cpv., 61 n. 11, 609 bis, commi 1 e 2 n.2, c.p. (capo a), 81 cpv., 610, 61 n.2 c.p. (capo b) e 572,61 n.5 (capo c).
2. Ha presentato ricorso il difensore, adducendo quattro motivi. Il primo motivo è proposto ex articolo 606, lettere b), d) ed e),c.p.p. in relazione agli articoli 603 e 192 c.p.p. nonché 609 bis e 610 c.p., denunciando contraddittorietà e illogicità nella valutazione del materiale probatorio con particolare riguardo alle dichiarazioni della persona offesa G.M.L. , e lamentando che la responsabilità penale dell'imputato è stata dichiarata sulla base di verosimiglianza/compatibilità e non di certezza. Il secondo motivo, ancora ex articolo 606, lettere b), d) ed e), c.p.p., denuncia da un lato la violazione degli articoli 125 e 546 c.p.p., essendo la sentenza impugnata nulla per inesistenza di motivazione sulla richiesta di assoluzione per i reati di cui ai capi b) e c), e dall'altro la violazione degli articoli 572 e 610 c.p.: la corte territoriale non avrebbe considerato le specifiche doglianze presentate al riguardo dall'appellante, e non avrebbe comunque fornito motivazione sull'abitualità dei maltrattamenti in famiglia né comunque sulla violenza privata. Il terzo motivo, ex articolo 606, lettere b), d) ed e), c.p.p. in relazione all'articolo 609 septies, commi 1 e 4, c.p., imputa alla sentenza di avere disatteso la doglianza sulla non procedibilità d'ufficio nel reato di cui all'articolo 609 bis; il quarto motivo, sempre ex articolo 606, lettere b), d) ed e), c.p.p., in relazione agli articoli 609 bis, comma 3, 62 bis e 133 c.p., lamenta vizio motivazionale e travisamento del fatto quanto alla negazione della prevalenza dell'attenuante di cui al terzo comma dell'articolo 609 bis c.p..
Si è costituita la parte civile G.M.L. , chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso, e in subordine il suo rigetto.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è fondato.
Possono esser accorpati nella valutazione i primi due motivi, che in sostanza censurano la sentenza per l'inadeguata valutazione, esternata tramite il veicolo motivazionale, che avrebbe condotto all'accertamento della responsabilità dell'imputato per i reati a lui ascritti. Va premesso che secondo l'imputazione i reati sarebbero stati commessi nell'ambito familiare, e in particolare da parte dell'imputato nei confronti delle figlie di primo letto del marito di sua madre, G.M.L. e G.A.R. . Nei confronti della prima sarebbero stati commessi i reati di cui ai capi a) e b); nei confronti della seconda il reato di cui al capo c). È indiscussa, ed espressamente menzionata anche nella imputazione, la situazione delle pretese vittime in termini di patologia psichiatrica: G.M.L. nel capo a) è definita "soggetto affetto da psicosi schizofrenica con insufficienza mentale di grado medio"; G.A.R. nel capo c) è definita a sua volta "affetta da schizofrenia grave per la quale le è stata riconosciuta un'invalidità del 100%". L'attuale ricorrente aveva chiesto l'assoluzione su tutti i capi e anche una nuova perizia sulla capacità a testimoniare di G.M.L. . La corte ha incentrato la sua motivazione proprio su G.M.L. , richiamando la perizia psichiatrica compiuta nel corso dell'incidente probatorio "al fine precipuo di accertare la capacità di riferire sugli accadimenti della propria vita e di orientarsi nella restituzione degli stessi, con riferimento all'aderenza alla realtà dell'accaduto" (perizia Gu. ) nonché la consulenza della psicologa R. . Ha affermato che, tenuto conto anche di alcuni riscontri che sarebbero rinvenibili nelle testimonianze degli zii, del padre e della cognata di questi, la teste è, oltre che capace, completamente credibile. Avrebbe collegato con precisione gli episodi a singoli accadimenti prossimi realmente accaduti, si sarebbe espressa con un linguaggio consono al suo livello sociale, non sarebbe mossa da alcuna intenzione persecutoria nei confronti dell'imputato e, soprattutto, come avrebbero concordato il perito del tribunale dottor Ga..Gu. e la consulente del pm dottoressa O..R. , sarebbe "un soggetto non suggestionabile, del tutto privo di fantasia", incapace di apportare modifiche agli eventi subiti con la fantasia o con l'affettività. In tal modo, tuttavia, la corte territoriale ha sposato valutazioni peritali non coerenti ictu oculi, se tale è effettivamente il loro contenuto, con quel che emerge in ordine agli effetti della patologia schizofrenica sulla pretesa vittima. Premesso che riscontri esterni della condotta criminosa verso G.M.L. sul piano oggettivo non sono identificabili nelle deposizioni richiamate dalla corte territoriale (si tratterebbe, in sostanza, del racconto agli zii dei pretesi abusi sessuali e della decisione del padre di non fare tornare la figlia a casa, dove viveva l'imputato, ma di lasciarla dagli zii), deve darsi atto che, come risulta anche dalla sentenza di primo grado, la schizofrenia si era manifestata in G.M.L. , tra l'altro, mediante "turbe comportamentali con soliloqui, atteggiamento fatuo, allucinazioni uditive e visive, riso e pianto immotivati": in sintesi, una percezione della realtà non corrispondente alla realtà stessa, che potrebbe essere ricondotta, seppure in senso patologico, proprio al concetto di fantasia, nel senso che la donna, a causa della sua patologia, riversava questa nel reale (si notino, in particolare, le allucinazioni e le manifestazioni di emozione - riso e pianto - immotivate); e la sua patologia aveva dato luogo a frequenti ricadute (sentenza di primo grado, motivazione, pagina 3). In questo contesto non può non innestarsi, come evidenzia il primo motivo del ricorso, quanto dichiarato nel dibattimento dalla dottoressa R. dinanzi al Tribunale di Trapani: "la signora G. è una persona che ha il sistema cognitivo deteriorato in partenza. Questo può essere considerato come il fatto di una persona che ha il senso della realtà compromesso e, quindi, potrebbe raccontare delle cose che non sono". Dinanzi, quindi, a questo distacco dal reale che è peraltro notorio come conseguente alle psicosi, la valutazione della capacità a testimoniare in primo luogo, e, in secondo luogo, qualora il precedente vaglio abbia dato esito positivo, la valutazione dell'attendibilità di quanto dichiarato devono essere effettuate con modalità di estrema attenzione ed analisi accurata, riversate in una motivazione a sua volta attenta nel confrontarsi anche con l'eventualità che quello che la teste ha dichiarato sia frutto della sua percezione patologica della vita. Invece, la corte territoriale si è limitata a riportare stralci delle dichiarazioni di M.L..G. , affermandone apoditticamente la corrispondenza al reale, in sostanza tutto sulla base della pretesa assenza di fantasia della donna. Che poi i racconti della suddetta fossero privi di erotizzazione, come avrebbe affermato lo psichiatra, appare alquanto discutibile, visto il loro contenuto nettamente erotico; e assai discutibile risulta parimenti l'ulteriore rilievo che "i nominati analisti hanno concordato sul fatto che la vittima, all'epoca dei fatti, non presentava disturbi di tipo sessuale e neppure manifestazioni di deliranti (sic) o allucinazioni". Sarebbe stato quantomeno opportuno spiegare sulla base di che cosa si poteva escludere che nell'ampio periodo in cui si sarebbero commessi i fatti - tra il 2000 e il 2005 - non vi sia stata proprio nessuna ricaduta psicotica in una persona che, come sopra si è visto, ne aveva già subite varie in passato. Ma soprattutto, l'inadeguatezza della motivazione si manifesta nell'addurre che dalla suddetta situazione di assenza di deliri e allucinazioni "detti specialisti hanno valutato come improbabile che il racconto di G.M.L. sia stato frutto di un'invenzione, concludendo per la verosimiglianza del narrato". In un contesto in cui nessun effettivo riscontro esterno può confermare gli episodi erotici raccontati ai suoi zii da G.M.L. - cioè da una donna che in passato aveva avuto deliri ed allucinazioni e che solo apoditticamente, a ben guardare, si poteva reputare fosse alla sua età assolutamente priva di stimoli erotici (era nata nel XXXX, e gli episodi si sarebbero verificati tra il (OMISSIS) ) - ritenere che sia sufficiente una improbabilità di invenzione per superare ogni ragionevole dubbio significa fornire una motivazione chiaramente incongrua, come ha evidenziato il ricorso. Nel caso di specie, infatti, sono disponibili due ipotesi: la veridicità del narrato oppure l'essere tale narrato una conseguenza della psicosi, che indubbiamente era ancora presente nella donna. Da un lato la perizia psichiatrica riteneva (come si evince anche dalla ben più dettagliata motivazione della sentenza di primo grado) essersi verificato l'assopimento dei sintomi positivi della schizofrenia (tra cui allucinazioni e deliri); dall'altro la consulente R. , come già rilevato, affermava la sussistenza di un senso della realtà tuttora compromesso. È noto che al giudice di legittimità non può essere proposta direttamente una versione alternativa fattuale; pur tuttavia, la valutazione della congruità motivazionale, considerato anche il principio di cui all'articolo 533, comma 1, c.p.p., non può non tenere conto di come il giudice di merito ha motivato la sua scelta tra le possibili opzioni fattuali per sciogliere ogni ragionevole dubbio, occorrendo allo scopo un'adeguata disamina delle eventualità ulteriori, disamina che non può limitarsi all'asserto di una verosimiglianza al reale della opzione adottata laddove non viene analiticamente illustrato il fondamento della inverosimiglianza delle opzioni respinte (da ultimo cfr. Cass. sez. V, 28 gennaio 2013 n. 10411: "il principio dell'oltre ragionevole dubbio... non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell'appello".) Invero, il giudice penale non compie un accertamento probabilistico, in cui rilevi la corrispondenza alla verità giuridica in termini di percentuale di probabilità più o meno alta; il giudice penale deve - al contrario di quel che è il compito accertatorio del giudice civile improntato al principio del "più probabile che non" - giungere all'unica ricostruzione fattuale realmente ragionevole, poiché altrimenti permane lo spazio per una ragionevolezza contraria, ovvero il ragionevole dubbio, dovendosi invece pervenire a un accertamento qualificabile, appunto, "come l'unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio " (Cass. sez. VI, 24 gennaio 2013 n. 8705). La certezza che deve connotare l'esito della cognizione del giudice penale discende, infatti, direttamente dal principio costituzionale della presunzione della non colpevolezza, che si traduce appunto nella necessità che la condanna si fondi sulla certezza processuale (cioè acquisita secondo le modalità probatorie previste dalla legge processuale) della responsabilità dell'imputato (Cass. sez. II, 9 novembre 2012-13 febbraio 2013 n. 7035).
La trascuratezza, poi, che affligge la motivazione della sentenza impugnata, dopo l'elusione sostanziale dell'ipotesi alternativa del narrato come frutto di psicosi relativa alle fattispecie di cui ai primi due capi dell'imputazione, si ripresenta in misura ancora più evidente a proposito del capo e), in relazione al quale può evincersi solo qualche riferimento a proposito dei lividi e della ferita di A.R..G. , peraltro del tutto insufficiente per integrare l'abitualità che l'articolo 572 c.p. esige per la sussistenza del crimine. Parimenti, in ordine al reato di cui al capo b), nessuna analisi sufficientemente specifica della condotta dell'imputato è stata svolta dalla Corte d'appello.
In conclusione, la sentenza deve essere annullata, assorbiti gli ulteriori motivi, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo. La tipologia del reato impone, in forza del Codice della riservatezza, l'omissione dei dati identificativi in caso di diffusione della presente sentenza.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo.
Avv. Antonino Sugamele

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