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Sentenza

Supermercato Auchan di Pompei. Condanna per associazione finalizzata alla clonatura di carte di credito che poi venivano utilizzate o fatte utilizzare da soggetti reclutati e pagati a percentuale per l'acquisto di merce.
Supermercato Auchan di Pompei. Condanna per associazione finalizzata alla clonatura di carte di credito che poi venivano utilizzate o fatte utilizzare da soggetti reclutati e pagati a percentuale per l'acquisto di merce.
Cassazione penale  sez. I   
Data:     27/02/2013 ( ud. 27/02/2013 , dep.15/03/2013 ) 
Numero:     12330
                       LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. GIORDANO   Umberto        -  Presidente   -                    
    Dott. BARBARISI  Maurizio       -  Consigliere  -                    
    Dott. MAZZEI     Antonella P.   -  Consigliere  -                    
    Dott. LOCATELLI  Giuseppe       -  Consigliere  -                    
    Dott. CAPRIOGLIO Piera M.  -  rel. Consigliere  -                    
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
               C.R. N. IL (OMISSIS); 
                I.G. N. IL (OMISSIS); 
                L.M.V. N. IL (OMISSIS); 
              O.R. N. IL (OMISSIS); 
                 P.S. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la  sentenza  n.  12183/2010 CORTE APPELLO  di  NAPOLI,  del 
    06/05/2011; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 27/02/2013 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. PIERA MARIA SEVERINA CAPRIOGLIO; 
    Udito  il Procuratore Generale in persona del Dott. Riello Luigi  che 
    ha  concluso  per il rigetto del ricorso per       I.  e      O., 
    l'inammissibilità   del   ricorso  per        P.   e         L., 
    annullamento senza rinvio per      C.. 
    Udito  il  difensore  avv.ti  Alfredo  Gaito  e  Giovanni  Abet   per 
          I.. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza del 6.5.2011 la Corte d'appello di Napoli confermava la pronuncia del Tribunale di Torre Annunziata emessa in data 7.7.2010 che aveva condannato L.M.V., O.R. e P.S. per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati di clonatura di carte di credito che poi venivano utilizzate o fatte utilizzare da soggetti appositamente reclutati e pagati a percentuale per l'acquisto di merce che poi veniva immediatamente rivendutae l' O. anche per reati fine, I.G. per i reati di tentato omicidio e di resistenza aggravata a p.u., oltre che per i reati di associazione a delinquere reato e di falsificazione di carta di credito e carta di identità ed uso delle stesse, C.R. per il reato di indebita utilizzazione di carte di credito.

    I fatti erano emersi all'attenzione degli investigatori a seguito dell'episodio occorso il 27.2.2008 di tentato omicidio e resistenza aggravata ai danni del mar.llo S.M., addebitato all' I.; I. era stato riconosciuto al supermercato Auchan di Pompei come colui che in precedenza aveva utilizzato una carta di redito donata per acquisti mentre stava comprando altri due televisori per un totale di Euro 2380, pagati con carta di credito;

    ne seguiva una fuga rocambolesca per le vie di (OMISSIS), dopo aver abbandonato carta di credito intestata a G.G. con relativo documento a lui intestato, oltre che lo scontrino dell'acquisto appena effettuato; nel corso della fuga, che metteva a repentaglio la vita dei passanti, l'imputato produceva danni alle autovetture incontrate sul percorso tamponandole, ma soprattutto metteva in serio pericolo la vita del maresciallo menzionato che aveva cercato di arrestare l'autovettura di cui si era posto alla guida spinta a velocità sostenuta in centro città, ponendosi al centro della carreggiata impugnando la pistola; il prevenuto dirigeva l'auto contro il tutore dell'ordine che, se solo non si fosse scansato, sarebbe stato investito essendo stato preso di mira, a velocità elevata, pur di eludere il posto di blocco e così sottrarsi all'identificazione. L' I. era conosciuto come affiliato al clan Formicola ed era latitante al momento del fatto in relazione al reato di cui all'art. 416 bis cod. pen; grazie all'attività investigativa, fatta di intercettazioni telefoniche, di controllo dei tabulati telefonici, di pedinamenti, di accertamenti presso i magazzini ove risultavano effettuati gli acquisti con carte di credito donate che seguiva, veniva individuata una vera e propria organizzazione strutturata e stabile che era dedita al confezionamento di carte di credito e di documenti contraffatti da utilizzare nelle regioni del nord (Emilia, Toscana, Veneto) attraverso vere e proprie trasferte, a cui partecipavano almeno tre persone e che prendevano di mira grandi esercizi commerciali dove venivano fatti importanti acquisti, pagati appunto con le carte di credito donate. In quel di Padova, il 18.4.2008 veniva arrestato M., mentre L.V. ed A.M. erano riusciti a fuggire, disfacendosi di un involucro con nove carte di credito donate ed una patente falsa. Veniva poi individuato il garage Vespucci, sito in (OMISSIS), che sottoposto a controllo, consentiva di accertare che M.V., F.F. e l' A. dirigevano e programmavano le cd. trasferte finalizzate agli acquisti illeciti, avvalendosi di un significativo numero di persone di fiducia a cui veniva dato incarico di operare gli acquisti. Dai controlli telefonici emergeva che veniva programmato un viaggio per il giorno 8 maggio in Roma e che era stata incaricata O.R. che effettivamente operò in due esercizi commerciali di Roma acquisti per 850 e 910 Euro utilizzando una carta di identità a nome di B.R.; l'ottima prova data dalla O. fece sì che le venne chiesto di effettuare una seconda spedizione in quel di Arezzo, città dove, a seguito di tre acquisti con le stesse modalità di pagamento, il 15 maggio 2008 venne arrestata con i suoi complici e trovata in possesso della patente a nome B.R. recante la sua effige, oltre che degli oggetti acquistati. La stessa del resto confessava le sue responsabilità e veniva chiamata in correità dal M., che la indicava come partecipe dell'associazione con il ruolo precipuo di utilizzatrice delle carte di credito in trasferta. Nel corso delle indagini veniva altresì individuato C.R., che risultava essere socio responsabile dell'esercizio Mondomercato di Casoria dove si era rivolto R.S., sotto il nome di S.M., per effettuare un acquisto per 870 Euro con la di lui compiacenza; una seconda transazione non era andata a buon fine e al telefono il C. se ne era rammaricato con il M.. Lo stesso R. aveva del resto ammesso che il C. era compiacente e a riscontro giungeva il dato che non era stata fatta denuncia della transazione andata a buon fine. Veniva poi individuato, sempre tramite le intercettazioni, il L.M., anziano ingegnere con esperienza nel settore informatico, che risultò colui che installò il programma della clonazione, procurò la macchinetta (che poi venne sequestrata) per la realizzazione e verniciatura delle carte di credito contraffatte, richiese i supporti di plastica per confezionare le patenti false, si offrì di riparare la punzonatrice che il M. aveva detto essere difettosa. Lo stesso venne seguito dagli investigatori quando partì dalla Calabria per raggiungere Licola, il 10 maggio 2008, dove ebbe a riferire di avere pronta la macchina per le carte di credito American express; risultava poi che L.M. aveva fornito una potente punzonatrice in grado di confezionare un elevato numero di carte. Il 20 maggio i Carabinieri operarono una perquisizione nell'ufficio di Licola nella disponibilità del M. ed ivi rinvennero tutte le apparecchiature destinate alla clonazione e patenti di guida false; dalle telefonate intercettate emergeva che il L.M. era pienamente coinvolto nel disegno associativo; il 18.12.2009, presso il luogo di arresti domiciliari ove si trovava, gli vennero rinvenute altre 491 carte di credito donate. Quanto al P., il suo nome comparve nelle telefonate intercettate, lo stesso partecipò al convegno presso il garage V. e risultò, anche a detta dei coimputati, come colui che dava il suo contributo ricevendo la merce acquistata illegalmente per venderla a terzi, fornendo consigli ed imponendo prezzi a cui vendere la merce, preoccupandosi della commerciabilità della merce acquisita con la sua esperienza di commerciante di generi di elettronica di consumo.

    La Corte territoriale riteneva che la competenza del Tribunale di Torre Annunziata era stata correttamente determinata dal reato più grave, tentato omicidio, commesso dall' I., a sua volta animato dalla volontà di occultare la condotta illecita consumata nella circostanza e tutto quanto vi ruotava attorno, di talchè veniva ritenuto un processo volitivo unico, comune a quanti avevano aderito al programma che prevedeva un ben definito modo di comportarsi , sotteso all'episodio contingente dell' I..

    Quanto a quest'ultimo, veniva ribadito che la di lui condotta, descritta dai marescialli S. e C. nonchè dal luogotenente M., presupponeva una chiara volontà di morte, sorretta da un dolo diretto alternativo; non veniva ritenuto fondato l'assunto dell'imputato di non essersi accorto della qualità di p.u. dei carabinieri che si pararono davanti a lui, considerato che gli stessi intimarono l'alt, muniti di pistola, dopo che erano state diramate le sue ricerche, ragion per cui veniva ritenuta fondatamente addebitata anche l'azione di resistenza aggravata. L' I. veniva ritenuto anche in secondo grado inserito nel contesto associativo, attesa la prova raggiunta in ordine alla perpetrazione di condotte di utilizzazione di carte di credito false sia il 27.2.2008 che in epoca pregressa , il 16.9.2007. L'organizzazione del sodalizio veniva ribadita , essendo stati accertati la sua estensione su tutto il territorio, i contatti telefonici con persone di riferimento, con cui venivano presi precisi accordi quanto all'entità delle provvigioni, alla disponibilità per le trasferte, alle modalità operative, alla tipologia egli esercizi commerciali in cui si sarebbe dovuto operare.

    La Corte ribadiva la condanna per i reati di falsificazione, anche se I. non era autore della contraffazione, poichè aveva consegnato la sua fotografia per confezionare il falso documento di identità, nonchè per il reato di utilizzazione della carta donata.

    Sull'esistenza dell'associazione e sul suo funzionamento, venivano valorizzate anche le dichiarazioni di R.S. (giudicato separatamente).

    Anche P.S. veniva considerato in seconde cure come soggetto inserito stabilmente nell'associazione, attesa l'attività di ricettatore stabilmente svolta che presupponeva piena conoscenza del sistema organizzativo del gruppo e piena adesione al suo programma. Così come la O. ritenuta coinvolta nel programma associativo sulla base dei reati fine dalla stessa ammessi. Su L. M. la Corte ha condiviso il ruolo fondamentale di natura tecnica da questi svolto nella produzione dei falsi documenti, predisponendo programmi informatici e procurando macchinari, ribadendone il coinvolgimento nella compagine associativa, anche grazie alle indicazioni del R. che coinvolsero pure il C., avendo rappresentato che quando entrò nell'esercizio Mondomercato di Casoria per effettuare un acquisto con carta di credito donata era stato rassicurato dal M. che gli disse della compiacenza del predetto.

    2. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso in cassazione i prevenuti. I.G., pel tramite del suo difensore, prof. G., ha sviluppato tre motivi di ricorso.

    2.1.1 Con un primo motivo viene contestato che la condotta tenuta dall' I. possa rientrare nell'ipotesi del tentativo di omicidio, essendo l'imputato stato animato al più da un dolo eventuale incompatibile con il tentativo, laddove il ritenuto dolo alternativo presuppone non solo l'accettazione del rischio, ma l'accettazione dell'evento, seppure in via alternativa rispetto a quello che si intende perseguire in principalità. Nel caso di specie viene evidenziato come l' I. aveva come unico obiettivo quello di sottrarsi all'arresto dei militari, tanto più perchè in stato di latitanza per il reato di cui all'art. 416 bis. Vien fatto notare che la fuga venne intrapresa con spregiudicatezza, ben prima del sopraggiungere in mezzo alla strada del mar. S., cosicchè la condotta tenuta deporrebbe secondo la difesa per la resistenza a p.u., posto che la fuga integra di per sè gli estremi della resistenza avendosi riguardo a condotta impeditiva del compimento dell'atto d'ufficio da parte del militare, ponendo in essere un'azione con connotati intimidatori e minacciosi, consistente nella spregiudicata guida dell'autovettura. Non solo, ma viene contestata anche sul punto mancanza di motivazione, poichè non sarebbero stati considerati profili significativi, quali la distanza intercorsa tra imputato e la persona offesa che avrebbe consentito una manovra di emergenza e la presenza di autovetture parcheggiate che non poteva consentire di imprimere una forte velocità all'auto dell'imputato:

    tali profili avrebbero dovuto essere valutati onde formulare un giudizio di inidoneità dell'azione a cagionare la morte del carabiniere che scansandosi non riportò neppure una ferita. La condotta di fuga dell' I. andava quindi considerata, secondo la difesa, nella sua interezza e non solo nella frazione finale, allorquando incrociò il mar. S.. Viene poi contestato che l'imputato conoscesse di esser latitante, sulla base di una frase riportata dal teste C., ma poi non confermata, secondo cui l'imputato disse che "teneva il 416 bis". Nè poteva esser data per scontata, come fu, la conoscenza del ruolo di pubblico ufficiale del mar. S. che era in borghese.

    2.1.2 Non sarebbe consentito ritenere l' I. come associato sulla semplice base dei due acquisti effettuati con carta di credito false, visto che nelle telefonate intercettate il nome dell' I. non emerse mai; la colpevolezza per reato associativo è cosa diversa dalla colpevolezza per i reati fine e nel caso di specie non sussisterebbe la prova che detti reati siano stati commessi nell'ottica di un rafforzamento dell'associazione. Non vi sarebbero comportamenti significativi che abbiano concretizzato una partecipazione attiva e stabile; gli acquisti effettuati a distanza di quattro mesi uno dall'altro non potevano che essere considerati episodi isolati e quindi non significativi di militanza nell'associazione.

    2.1.3 difetto di motivazione sulla continuazione e sul trattamento sanzionatorio. Sarebbe stato riconosciuto solo il vincolo tra i reati di omicidio e resistenza e non tra gli altri reati, laddove era stato affermato che la vis actractiva per radicare la competenza nell'AG di Torre Annunziata stava proprio nel fatto che il tentato omicidio fu inteso non solo per evitare l'arresto dell' I., ma anche per occultare l'illecita attività, affermando un processo volitivo unico. La Corte territoriale nel confermare la competenza opinò per la connessione dei reati ex art. 12, lett. c), cioè per la connessione teleologia che presuppone che i reati siano commessi per eseguire od occultare gli altri. Tale modus opinandi sarebbe un esempio di illogicità manifesta secondo la difesa, posto che da un lato si valorizza l'identità del processo volitivo per rivendicare la competenza e dall'altro si esclude la continuazione con fatti peraltro occorsi lo stesso giorno.

    Sempre nell'Interesse dell' I. vi sono altri due ricorsi, l'uno a firma dell'avv.to Dolce, l'altro a firma dell'avv. De Rosa.

    Con entrambi vengono riprodotte le censure sul ritenuto reato di omicidio tentato, con argomenti sovrapponibili a quelli suindicati e viene messo in discussione che il soggetto che operò nel settembre presso il supermercato Auchan di Pompei sia da identificare nell' I., così contestando la partecipazione del soggetto al disegno associativo.

    2.2 O.R., pel tramite del difensore, ha dedotto due motivi di ricorso.

    2.2.1 nullità per difetto di notificazione dell'avviso dell'udienza in secondo grado: l'avviso venne notificato ex art. 161 cod. proc. pen. poichè l'imputata non venne rinvenuta al domicilio eletto all'atto della scarcerazione, laddove la stessa era stata altre volte rinvenuta nello stesso domicilio corrispondente alla sua effettiva residenza. Prima di disporre la notificazione ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen. si sarebbe dovuto disporre ricerche. Inoltre è stato rilevato che l'imputata ebbe a nominare altro difensore di fiducia che non avrebbe ricevuto alcun avviso.

    2.2.2 inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 416 cod. pen.:

    sulla scorta delle intercettazioni telefoniche non sarebbero emerse indicazioni tali da portare a ritenere la O. responsabile di altri reati, rispetto ai due reati fine a lei contestati e da lei ammessi. La sua partecipazione si sarebbe limitata ai giorni 14, 15, e 16 maggio 2008, quando si recò in alcune città del nord per effettuare acquisti con le carte di credito donate; l'accordo sarebbe stato circoscritto alla realizzazione di uno o più reati, esaurendosi con la loro consumazione e la successiva divisione degli utili , mentre mancherebbe quel pactum sceleris destinato a costituire una struttura permanente teleologicamente diretta alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti. Viene lamentata la carenza del dolo specifico, al di là della ritenuta consapevolezza della falsificazione e dell'indebito utilizzo della carta di credito, pienamente ammessa.

    2.3 P.S. con ricorso assertivo ha dedotto mancanza di prova di colpevolezza giustificativa di condanna e mancanza di motivazione quanto alle ragioni di fatto e di diritto su cui è basata la sentenza di condanna.

    2.4 L.M.V. ha dedotto erronea applicazione dell'art. 416 cod. pen., non essendo risultato l'imputato direttamente coinvolto nelle vicende dell'associazione, avendo limitato i suoi contatti esclusivamente con un singolo membro della stessa e per singole forniture. Lo M. non avrebbe nutrito alcun interesse per gli scopi associativi, essendo stato animato solo dalla volontà di essere retribuito per le sue prestazioni. Inoltre viene dedotta omessa valutazione sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

    2.5 C.R. ha riproposto personalmente l'eccezione di incompetenza territoriale dei giudici di Torre Annunziata: viene ribadito che il C. risponde solo di un reato, il cui locus commisi delicti è Casoria. Lo spostamento di competenza avvenne perchè a due dei coimputati veniva contestata l'appartenenza all'associazione a delinquere ed uno di questi rispondeva del reato di tentato omicidio occorso appunto in Pompei. Lo spostamento della competenza territoriale determinato da ragioni di connessione riguarda però solo l'imputato a cui siano contestate le violazioni generanti la connessione, giacchè l'interesse del medesimo alla trattazione unitaria dei fatti connessi non può pregiudicare quello del coimputato di uno solo di questi fatti a non essere sottratto al giudice naturale. Nel caso concreto viene rilevato che il flebile collegamento venne meno in sede dibattimentale, poichè i due primigeni coindagati avevano già concluso il grado di giudizio con rito alternativo.

    Inoltre viene sottolineato come sarebbero stati ignorati elementi a discarico, quali le dichiarazioni del M. che scagionò il C., l'illogicità di inferire la complicità da una sola telefonata, senza che gli interlocutori conoscessero il nome l'uno dell'altro, a cui rispose l'imputato quale addetto del negozio che peraltro non ebbe occasione di vedere la carta di credito in discussione, visto che le transazioni avvenivano alla cassa.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Deve essere accolto il motivo di ricorso relativo al difetto di competenza dedotto dalla difesa del C., che assorbe il secondo motivo: nei confronti dell'Imputato è infatti stata mossa soltanto l'accusa di cui al capo s) di indebita utilizzazione di carta di credito, commessa in (OMISSIS). E' principio affermato da questa Corte quello secondo cui la connessione è idonea a determinare lo spostamento della competenza solo se l'episodio in continuazione riguardi lo stesso imputato, giacchè l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria di fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale, secondo le regole ordinarie della competenza (cfr., tra le molte, Sez. 4^, 17.1.2006, n. 10122). Nel caso in questione il C. era del tutto estraneo al sodalizio criminoso, risultato processualmente strettamente collegato al reato di tentato omicidio posto in essere dall' I. onde impedire che sul reato associativo potesse essere fatta luce. L'influenza quindi del locus commissi delicti del tentato omicidio sui reati posti in essere dagli associati non poteva avere ricadute sulla solitaria posizione del C. che in ipotesi d'accusa ebbe a favorire in una sola occasione l'acquisto di merce con carta di credito falsificata, presso il magazzino Mondomercato di Casoria di cui era dipendente.

    Giustificata è la protesta dell'imputato di esser stato sottratto al suo giudice naturale sulla base della ritenuta connessione tra reati cui egli è estraneo. Il ragionamento seguito dalla Corte territoriale secondo cui la condotta dell' I. fu mirata ad occultare la condotta illecita perpetrata nella circostanza, la cui scoperta da parte del personale dell'esercizio commerciale aveva determinato l'allontanamento, non poteva attagliarsi alla posizione del C., non militante nell'associazione ed estraneo al reato attraente.

    Devono quindi essere annullate sia la sentenza impugnata che quella emessa dal Tribunale di Torre Annunziata nei confronti del medesimo C., con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il competente Tribunale di Napoli per l'ulteriore corso.

    2. Il ricorso di I.G. deve essere rigettato.

    Quanto al primo motivo con cui è stata contestata la qualificazione del fatto in termini di tentato omicidio e resistenza a pubblico ufficiale, va detto preliminarmente che è stato affermato che il reato di resistenza a pubblico ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza necessario per impedire al medesimo il compimento di un atto del suo ufficio, mentre l'omicidio tentato, travalicando detto limite, attenta direttamente alla vita od all'incolumità del soggetto passivo, cosicchè i due reati possono concorrere, stante la diversità dei beni giuridici tutelati e le differenze qualitative e quantitative della violenza esercitata contro il pubblico ufficiale (Sez. 1^, 26.9.2007 n. 38620).

    Detto questo ed entrando nella particolarità della presente fattispecie , si deve osservare che la valutazione operata dalla Corte territoriale non presenta punti di criticità, nè di infedeltà rispetto alle emergenze disponibili, essendo stati valorizzati i contributi informativi offerti dal testimoniale secondo cui l'imputato, una volta salito a bordo della sua vettura, lungo un percorso di circa 400 metri per immettersi sulla strada principale e guadagnare l'uscita dal piazzale del supermercato, era partito deciso, ad elevata velocità, addirittura con la portiera posteriore ancora aperta, aveva tamponato un'auto Mundai, si era spinto verso il mar. S. che gli aveva intimato l'alt in mezzo alla strada, tanto da costringerlo a scansarsi, aveva scavalcato il cordolo di cemento posto sul lato destro della carreggiata per superare il blocco dell'uscita , danneggiando ben tre autovetture incolonnate sulle rispettive fiancate del lato destro: tale comportamento di guida non poteva che essere interpretato come lo spregiudicato ricorso a ogni iniziativa utile per conseguire l'impunità, dimostrativo peraltro di una volontà a non arrestarsi di fronte ad alcun ostacolo e di guadagnare la strada principale ad ogni costo. I giudici di merito non hanno affatto messo in discussione che l'obiettivo dell'imputato fu quello di sottrarsi alla cattura, onde evitare che venisse scoperta la esistenza del nucleo criminoso specializzato nella confezione di false carte di credito, visto che proprio su tale realtà è stata individuata la competenza territoriale, ma hanno correttamente inferito che la volontà di sottrarsi al controllo si coniugava con una volontà diretta ad attentare alla vita del tutore dell'ordine che si frappose avanti a lui e di fronte al quale l'imputato non accennò neppure per un attimo a frenare, ma anzi continuò a dare gas al motore, senza esitare a travolgerlo, se solo non fosse prontamente indietreggiato. Tale tipo di condotta di opposizione all'attività del pubblico ufficiale, travalicò sensibilmente il limite che contraddistingue l'ipotesi della resistenza a pubblico ufficiale per collocarsi sul fronte dell'attentato alla vita dell'operatore, considerata la assoluta idoneità del mezzo a causare la morte (auto condotta a velocità direttamente contro la persona frappostasi per dovere d'ufficio al passaggio dell'auto in corsa nel tentativo di fermarla) e l'univocità dell'azione atteso che l' I. non ebbe a demordere dal suo intento neppure per un istante, cosicchè fu il carabiniere a doversi scansare con presenza di spirito per evitare l'investimento.

    Non può quindi essere condivisa la tesi difensiva secondo cui detta condotta sarebbe inquadrabile nel solo reato di resistenza, per la natura riduttiva dell'inquadramento che tende a sottovalutare la strumentalità degli atti non solo ad una violenta opposizione all'ordine del pubblico ufficiale ma all'attentato alla vita del medesimo con un'azione di elevatissima portata offensiva (lancio dell'auto in movimento contro la persona a velocità sostenuta, attese le conseguenze che una massa in movimento, quale quella di un'auto, può produrre su una persona a seguito dell'impatto sull'asfalto). Nè poteva dai dati di fatto raccolti concludersi, come suggerisce la difesa, che gli eventi non ebbero quella rapidità che è stata ritenuta, nè lo stato dei luoghi avrebbe consentito di imprimere velocità all'auto, atteso che dalle emergenze disponibili non era affatto consentito di opinare per una successione men che rapida degli eventi ( C. disse che l'auto "correva" ed "accelerava" e M. precisò che la velocità era "eccessiva"). Va aggiunto che correttamente I giudici di merito hanno ricostruito la successione di fatti evidenziando come la minore fluidità della marcia si registrò dopo il mancato impatto con il mar. S., ovverosia quando, il luogotenente M. cercò di chiudere l'uscita, facendo fermare tutte le auto che precedevano quella dell' I., espediente che non consentì di fermare il fuggitivo che scavalcò il cordolo, abbattè un paletto in ferro, danneggiò tre autovetture, tanto che il M. dovette salire sul cordolo ed aggrapparsi alla rete di protezione, onde non essere a sua volta investito, avendo peraltro avuto il tempo di farlo (ed in effetti nei suoi confronti non venne elevata l'accusa di tentato omicidio) poichè solo in quest'ultimo segmento della fuga la velocità fu inevitabilmente rallentata a causa degli ostacoli. Il che segna la differenza di situazione tra quanto accadde al S. e quanto accadde al M., correttamente marcata dal diverso inquadramento dal punto di vista giuridico.

    Sulla consapevolezza dell'imputato della qualità di pubblico ufficiale dei carabinieri intervenuti, ancorchè non in divisa, i giudici di merito hanno correttamente ritenuto che lo stesso ebbe piena contezza della qualità di tutori dell'ordine rivestita dai soggetti che si frapposero alla sua fuga, anche perchè pienamente consapevole di avere posto in essere una condotta illecita presso il supermercato che giustificava l'intervento della forza pubblica e non certo di esponenti della criminalità organizzata, armati di pistola.

    Quanto allo stato di latitanza di cui alla circostanza aggravante prevista dall'art. 576 cod. pen., n. 3 va osservato che è certo che l'imputato era latitante in relazione ad un'accusa di violazione dell'art. 416 bis cod. pen., ancorchè di lì a poco da tale accusa sarebbe poi stato scagionato:la doglianza opposta dalla difesa, secondo cui l'imputato non sarebbe stato a conoscenza del suo stato di latitanza non ha pregio, atteso che lo stato di latitanza presuppone la volontaria sottrazione ad una misura cautelare che necessariamente involge la conoscenza di misura restrittiva a cui volontariamente l'Interessato si sottrae.

    L'affermazione di colpevolezza dell' I. in ordine al reato di omicidio in entrambi i gradi di merito è stata correttamente espressa; l'iter argomentativo non si espone alle censure avanzate nè in termini di carenza motivazionale, nè in termini di non adeguato inquadramento normativo dei fatti.

    Anche in ordine alla ritenuta partecipazione dell' I. all'associazione a delinquere la sentenza non presta il fianco a censure.

    E' stato infatti dato conto dell'accertata esistenza di un gruppo criminale organizzato per il confezionamento di false carte di credito e di falsi documenti di identità da utilizzare sul territorio italiano per acquisti di una certa importanza (elettrodomestici, generi di informatica e telefonia, preziosi e quant'altro); ne era stata accertata la sede in Licola, nel comune di Pozzuoli, dove vennero rinvenuti le apparecchiature per la clonazione delle carte di credito nonchè supporti plastificati provvisti di bande magnetiche, codici, macchine punzonatrici; venne individuato il L.M., vecchio ingegnere informatico come il vero e proprio consulente del gruppo sulle modalità con cui dovevano avvenire le operazioni e sul corretto uso delle macchine; ne erano stati individuati i capi e gli organizzatori in M.V., F. F., A.M. e L.P.A., attraverso un controllo telefonico ed ambientale che si era sviluppato dopo l'arresto dell' I. e che aveva disvelato la stabilità di un'organizzazione proiettata in un programma criminale di lungo respiro, che contava su un elevato numero di soggetti operanti nell'orbita del sodalizio, a cui venivano confezionati falsi documenti da utilizzare in diverse occasioni di acquisto di generi vari, che poi venivano passati alla catena di ricettatori di cui il gruppo disponeva.

    I giudici di merito sottolineavano che l' I. risultò disporre di falsa patente di guida a nome di G.G. che riportava la sua effige, nonchè di una falsa carta di credito della Bancamericard, sempre a nome di G.G., con cui ebbe ad operare i due acquisti presso il supermercato Auchan il 16 settembre 2007 ed il 27.2.2008. Il fatto che l'imputato disponesse di carta di credito falsa e documento di identità con false generalità, ma con la sua effige, portava i giudici di merito a concludere, con incedere logico assolutamente apprezzabile e senza alcuna "scorciatoia probatoria", che l' I. era organico all'associazione poichè su di lui era stato investito (in termini di confezionamento di documenti e carta di identità) non certo per una singola azione criminosa , ma in vista della sua spedizione in varie parti di Italia ad effettuare acquisti con le collaudate modalità. In sostanza con la consegna della propria fotografia il singolo ebbe ad aderire al progetto dell'associazione, ponendosi al suo servizio e tenendosi pronto a rispondere alla chiamata per nuove operazioni. L' I., che ebbe il torto di presentarsi due volte presso lo stesso centro commerciale per operare acquisti importanti, si vide interrotta la sua proiezione verso un numero indeterminato di collaborazioni con l'associazione, ma non per questo ne può essere taciuta la chiara evidenza in termini di partecipazione al sodalizio e di volontà ad operare per il suo rafforzamento. Non porta ad opinare diversamente il fatto che l'imputato non sia mai stato menzionato nel corso dei colloqui intercettati, poichè la circostanza si spiega agevolmente con il fatto che i controlli telefonici avvennero a distanza di oltre un mese dal fatto e a distanza di venti giorni dall'arresto dell'imputato. Nè l'estraneità del prevenuto può essere dimostrata dal dato che l'imputato avesse operato un acquisto non particolarmente oneroso, come sostenuto dalla difesa, poichè si trattò comunque dell'acquisto di ben due televisori per il prezzo di 2380 Euro, che non è spesa esigua per un privato in un centro commerciale. Il fatto poi che l' I. abbia operato gli acquisti presso lo stesso centro commerciale a distanza di quattro mesi uno dall'altro, andava correttamente interpretato come segnale di continuità di partecipazione al sodalizio e non - come proposto dalla difesa - in termini di dimostrazione della indipendenza dei due fatti, poichè segnò la continuità di azione del prevenuto in un ambito associativo cristallizzato dalla consegna della carta di credito e della patente falsificate. Anche questo motivo di ricorso deve quindi essere rigettato.

    Infine, per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio non è fondata la doglianza difensiva sul mancato riconoscimento della continuazione tra i fatti di omicidio e resistenza rispetto al reato associativo e reati satellite. Infatti, seppure sia stata ravvisata ai fini della determinazione della continuazione una connessione tra i fatti occorsi il 27.2.2008 ed i reati posti in essere dall'associazione (nel senso che la grave condotta posta in essere dall' I. veniva ritenuta posta in essere per occultare l'esistenza dell'associazione e la sua attività), ciò non toglie che i fatti del 27 febbraio 2008 non possano dirsi riconducibili ad una deliberazione iniziale di adesione al gruppo e di disponibilità a compiacere il gruppo con acquisti di vario genere con gli strumenti in dotazione. Infatti l'evento che si verificò il 27 febbraio 2008 e cioè il riconoscimento dell' I. come colui che già nel settembre precedente aveva operato un acquisto con falsa carta di credito, fu del tutto inaspettato e certamente non venne messo in conto nella progettazione iniziale; la condotta dissennata che l'imputato pose in essere a bordo della sua auto fu frutto di iniziativa del tutto occasionale, spinta dalle contingenze del momento che correttamente non poteva essere fatta rientrare nell'originario piano delinquenziale.

    Nessuna contraddizione è quindi dato cogliere nella valutazione dei giudici di merito che hanno radicato correttamente la competenza all'ipotesi di cui all'art. 12 cod. proc. pen., lett. e) ritenendo l'omicidio tentato commesso per occultare gli altri reati, senza con ciò pregiudicare ogni valutazione sul fronte della continuazione, peraltro correttamente ritenuta sussistente tra i reati fine ed il reato associativo.

    Quanto alla misura della pena ed al giudizio di bilanciamento , i giudici di merito hanno operato la valutazione nell'ambito dei loro poteri discrezionali senza alcuna forzatura, ma con ancoraggio alla gravità dei fatti ed al consapevole inserimento in una struttura delinquenziale a vasto raggio, con il che non è consentito in detta sede contrapporre altra valutazione informata a diversi parametri.

    3. Anche il ricorso di O.R. deve essere rigettato in quanto infondato.

    Il primo motivo, a carattere processuale, è infondato poichè, quanto alla lamentata notificazione ai sensi dell'art. 161 cod. proc. pen., trattatasi di doglianza che non si profila meritevole di considerazione poichè corretta è stata la procedura di notificazione al difensore in seguito al mancato reperimento dell'imputata nel domicilio eletto non dovuto a temporanea assenza;

    quanto alla doglianza sulla mancata notificazione ad un secondo difensore che sarebbe stato nominato dall'imputata, il motivo difetta del tutto di specificità poichè neppure viene indicato il nome di questo nuovo difensore, non è dato sapere in che momento venne nominato e se accettò o meno la nomina, visto che nessun rilievo è stata avanzato in grado di appello sul punto dal difensore presente.

    Il motivo è quindi inammissibile per assoluta genericità, "parte che la dedotta nullità, a regime intermedio, si sarebbe comunque sanata (cfr. Sezioni unite 16/7/09, Aprea, rv. 244.187).

    Quanto al motivo sull'errata applicazione dell'art. 416 cod. pen., deve essere richiamato quanto argomentato in relazione alla posizione dell'imputato I., per ribadire che il ragionamento sulla base del quale è stata riconosciuta la partecipazione è stato ancorato al dato del possesso in capo a ciascuno dei presunti partecipi di documento falso e di falsa carta di credito intestata al falso nome.

    La O. venne infatti arrestata - dopo un primo "servizio" operato l'8 maggio in Roma per provare la carta di credito falsa in più esercizi per acquisti non consistenti - il 15 maggio, dopo essere stata inviata in "trasferta" ad Arezzo. Nell'occasione venne trovata con ben due patenti false intestate a B.R. recanti la sua effige ed ebbe ad ammettere i fatti significativi della sua adesione al sodalizio, all'interno del quale venne indicata come partecipe dallo stesso M.V..

    Dunque sebbene l'avventura criminale della O. fu interrotta dopo sole due trasferte, non poteva essere messo in discussione il suo ruolo e la manifestata disponibilità ad operare per conto del gruppo criminoso in questione in perfetta adesione con gli intenti di lungo periodo che animarono gli organizzatori dell'illecita intrapresa. Tale profili sono stati correttamente valorizzati dai giudici di merito e ritenuti dotati di forza dimostrativa nell'ambito di un giudizio aderente ai dati di fatto, senza alcun scollamento logico.

    4. Il ricorso di P. è inammissibile in quanto privo di specificità, essendosi limitata la difesa a dolersi di una mancanza di elementi di prova che invero sono stati dettagliati nella pagg. 41 e segg. della sentenza di primo grado, in cui si è dato atto che l'imputato è stato chiamato in correità da F.F. e che a riscontro di detta accusa ricorrevano le conversazioni telefoniche intercettate tra i due, da cui si evince che il P. operava sul piano della destinazione della merce rubata ed in particolare dei generi di elettronica su cui aveva competenza, operando proprio nel commercio dell'elettronica di consumo. I giudici di secondo grado hanno con ragionamento adeguato ritenuto che il prevenuto fosse parte dell'ingranaggio, ben conoscendo la provenienza dei beni, tanto più che talora si era raccomandato che i prodotti illecitamente acquisiti fossero dotati di un certo marchio onde facilitarne la successiva vendita, il che stava a dimostrare la consapevolezza della provenienza dei beni attraverso il collaudato sistema messo in piedi.

    La censura avanzata non è rivolta alla struttura del ragionamento sviluppato sulla base dei dati probatori raccolti, per cui si risolve in una generica doglianza inammissibile in questa sede.

    5. Anche il ricorso di L.M. è inammissibile poichè entrambi i motivi sono privi di specificità. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, i giudici di merito hanno messo in evidenza come il contributo di natura squisitamente tecnica, offerto dal L. M. fosse indispensabile al funzionamento della collaudata procedura posta in essere, considerato che fornì ed installò una potente punzonatrice, diede consigli sul funzionamento della stessa che registrò, elaborò il sistema da usare per la codifica e la stampa dei documenti, offrì un apporto di natura tecnica di straordinaria rilevanza nell'economia dell'associazione, nella piena consapevolezza della sua esistenza e della sua potenzialità a delinquere, atteso che ebbe contatti con molti associati (prevalentemente con i capi) ed ebbe a recarsi presso il centro operativo di Licola, così da avere piena contezza di operare non a favore di un singolo, ma di un temibile gruppo operante a raggiera su tutto il territorio nazionale, con le carte di credito confezionate attraverso il sistema da lui elaborato.

    I giudici di merito hanno in aderenza alle evidenze disponibili evidenziato che l'imputato non offrì solo la sua perizia al M., ma al sodalizio, onde garantirne sopravvivenza ed operatività, come dimostrarono diverse telefonate che il L.M. intrattenne con compartecipi diversi dal M.. L'iter logico ed argomentativo seguito è immune da qualsivoglia menda .

    Quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche i giudici di merito hanno operato la loro valutazione sulla base del disvalore del pregnante contributo offerto, della sussistenza di plurimi ed allarmanti precedenti penali, della reiterazione delle condotte e della mancanza di resipiscenza, se solo si consideri che ancora durante la detenzione domiciliare il L. M. fu trovato con ben 491 carte di credito false. La valutazione operata non è debordata in eccessi di discrezionalità e quindi non può essere sindacata in questa sede.

    Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di P. e L. M., riconducibile a colpa dei ricorrenti, consegue la loro condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro mille ciascuno, a favore della cassa delle ammende , giusto il disposto dell'art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

    Al rigetto del loro ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali per I. ed O..

    P.Q.M.

    Annulla senza rinvio nei confronti di C. la sentenza impugnata e la sentenza emessa il 7.7.2010 dal Tribunale di Torre Annunziata e dispone trasmettersi gli atti al Procuratore della Repubblica presso il competente Tribunale di Napoli per l'ulteriore corso.

    Rigetta i ricorsi di I. ed O. e dichiara inammissibili i ricorsi di L.M. e P. e condanna tutti i predetti al pagamento delle spese processuali e L.M. e P. anche, ciascuno, al versamento di Euro mille alla cassa delle ammende.

    Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2013.

    Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2013
Avv. Antonino Sugamele

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