Spetta alla cognizione del giudice militare il fatto della minaccia di un militare nei confronti di altro militare, che integra il reato di cui all'art. 229 cod. pen. mil. pace, perché è fatto offensivo di un interesse militare ed è previsto dalla legge penale militare.
Cassazione penale sez. I
Data:
22/09/2009 ( ud. 22/09/2009 , dep.08/10/2009 )
Numero:
39082
Classificazione
REATI MILITARI - Reati contro la persona
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FAZZIOLI Edoardo Presidente del 22/09/2 - -
Dott. ZAMPETTI Umberto Consigliere SENTE - -
Dott. CAVALLO Aldo Consigliere N. - -
Dott. BONITO Francesco M. S. Consigliere REGISTRO GENER - -
Dott. BARBARISI Maurizio rel. Consigliere N. 20648/2 - -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
R.A. n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza 12 gennaio 2009 - Corte Militare di Appello di
Roma;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Maurizio Barbarisi;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Dr. Rosin
Roberto, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del
ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - Con sentenza in data 12 gennaio 2009, depositata in cancelleria il 3 febbraio 2009, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale Militare di Roma emessa in data 6 novembre 2007, dichiarava non doversi procedere nei confronti di R.A. in ordine al reato ascrittogli (minaccia aggravata continuata ai danni di S.P., sub capo C)) perchè l'azione non poteva essere iniziata per difetto della richiesta di procedimento del Comandante del Corpo, confermando così la condanna per i residuali reati di cui al capo A) - minaccia aggravata continuata ai danni di K.L. - e al capo B) - ingiuria aggravata e continuata e lesione personale - riducendo la pena a mesi tre e giorni dieci di reclusione.
1.1. - Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata R.A., nel periodo di tempo tra il (OMISSIS), facevano segno il militare K.L., con cui era intercorsa una relazione sentimentale oramai conclusasi, di offese e minacce, sia personali che con SMS, cagionandole altresì lesioni personali per averla colpita al volto, assestando inoltre spintoni al parigrado S.P. (già raggiunto in precedenza anche lui da SMS ma a contenuto minaccioso) intervenuto per difendere la donna.
1.2. - Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito nelle dichiarazioni della parte lesa, nei tabulati telefonici comprovanti il traffico telefonico, nelle dichiarazioni dei testi escussi e negli scritti inviati.
2. - Avverso tale decisione, tramite il proprio difensore avv. Nicola Saracino, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione R. A. chiedendone l'annullamento per i seguenti profili:
a) difetto di giurisdizione; i reati sono stati commessi per ragioni estranee al servizio e alla disciplina militare sicchè era l'Autorità giudiziaria ordinaria che avrebbe dovuto occuparsene;
b) violazione e falsa applicazione dell'art. 199 c.p.m.p.; i reati ascritti sono stati commessi per ragioni estranee al servizio e alla disciplina militare sicchè vi era difetto di giurisdizione dell'Autorità giudiziaria militare;
c) inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 260 c.p.m.p.;
manca, in relazione ai capi A) e B), la richiesta ex art. 260 c.p.m.p.;
d) inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 223 c.p.m.p.; è carente il riscontro probatorio della lesione alla mandibola della parte offesa e la richiesta di procedibilità.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. - Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
Deve per vero osservarsi che tutte le doglianze avanzate in ricorso sono state già proposte nel precedente grado e ivi debitamente confutate dal primo giudice, senza che il ricorrente abbia inteso avversarne in modo specifico le relative argomentazioni.
3.1. - Quanto all'eccezione concernente il sollevato difetto di giurisdizione (in cui si sostanziano le doglianze di cui ai motivi sub a) e sub b)) la Corte Militare ha correttamente rilevato come non esiste un principio generale che regoli la giurisdizione dell'Autorità giudiziaria militare se non per casi specifici come quelli attinenti all'abuso di autorità o di insubordinazione, derivandone che per i reati commessi nei confronti di un parigrado non vi è alcuna limitazione.
Com'è noto inoltre, la nozione di reato militare, che costituisce il limite costituzionale oggettivo della giurisdizione dei tribunali militari (art. 103 Cost., comma 3) è contenuta nell'art. 37 c.p.m.p., comma 1, secondo cui deve ritenersi reato militare "qualunque violazione della legge penale militare". Si tratta dunque di una definizione meramente formale che si risolve in una tautologia, spostando la ricerca della nozione di reato militare a quella della legge penale militare.
Si è tentato di dare contenuto sostanziale al reato militare, ma nessuno dei criteri indicati dalla dottrina si prospetta idoneo a tal fine: non la qualità di militare del soggetto attivo, in quanto, per un verso, i militari possono commettere un reato comune e, per altro verso, estranei alle forze armate possono commettere reati militari;
non il tipo di pena inflitta, giacchè se è vero che esistono reati comuni puniti con la pena della reclusione militare, è altrettanto vero che per alcuni reati militari è prevista quale pena quella comune dell'ergastolo o della reclusione; non infine l'interesse tutelato dalla norma, perchè, se è vero che tutti i reati militari ledono interessi tipici del servizio, della disciplina o dell'amministrazione militare, esistono numerosi casi di lesioni dei medesimi beni giuridici che danno vita a reati comuni.
Non resta che la nozione formale (e restrittiva) di reato militare formulata dall'art. 37 c.p.m.p., secondo il quale perchè si abbia reato militare occorre che si tratti di un fatto che sia offensivo di un interesse militare e che sia previsto dalla legge penale militare (Cass., Sez. 1, 31 marzo 1994, Masini, in Cass. pen. mass. ann., 1995, n. 1538, p. 2583; ma vedi anche sul punto Corte Cost., 6 luglio 1995, n. 298, che ha definito inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 37 c.p.m.p., confermando l'adozione da parte del legislatore di un criterio meramente formale per definire la nozione di reato militare).
Nella fattispecie è stato contestato, tra gli altri, l'art. 229 c.p.m.p. (minaccia di un militare nei confronti di altro militare) che è un reato "formalmente" militare; inoltre sia il soggetto attivo che quello passivo sono militari sicchè sussiste la particolare caratterizzazione dell'interesse dell'amministrazione militare al giudizio. Di qui la giurisdizione del giudice militare (Cass., Sez. 1, 10 febbraio 2006, n. 7449, Confi, giurisd. in proc. Aprile, rv. 233726).
3.2. - Anche in punto di presunta carenza di richiesta di procedimento (motivo sub c) la Corte ha chiarito che la medesima risulta per contro acquisita sin dai giorni successivi all'episodio del 12 ottobre 2006 allorquando la parte offesa K.L. rendeva edotto il proprio Comandante di quanto accadutole, emergendo cosi esplicitamente espressa la relativa volontà (di procedere) nel documento dell'ottobre 2006 con riferimento a tutti i profili che potessero essere acclarati dalle indagini.
3.3. - Infine, anche in relazione al capo d), la Corte ha esaurientemente risposto rilevando che la prova delle subite lesioni personali derivava anche dalle dichiarazioni del teste oculare S. che aveva assistito alla vicenda.
3.4. - Da respingersi è infine la richiesta difensiva di correzione di errore materiale (sostituzione della dicitura "libero assente" con quella di "libero contumace"). Il ricorrente non ha per vero chiarito quale sia l'interesse sotteso a tale correzione in questa fase di giudizio.
4. - Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi indicativi dell'assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla cassa delle ammende.
PQM
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2009
29-12-2013 09:49
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