Spende 350.000 milioni per le elezioni regionali, ma poi il partito non lo candida. Nessun risarcimento del danno.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, sentenza 26 settembre – 16 ottobre 2013, n. 23429
Presidente Finocchiaro – Relatore Lanzillo
Svolgimento del processo
1. - Con la sentenza impugnata in questa sede - n. 3186/10, depositata il 20 luglio 2010 - la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza emessa in primo grado, ha respinto la domanda proposta da C.S. contro l'UDEUR-Unione Democratici per l'Europa, per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dell'inadempimento alla promessa che gli era stata fatta il 21 dicembre 1999 dal segretario regionale del partito, sen. F.R., di inserirlo nella lista elettorale per le elezioni del Consiglio regionale del Lazio.
L'attore aveva sostenuto che, a seguito della promessa, egli aveva sostenuto ingenti spese, per l'importo di £ 360 milioni, venendo ad apprendere solo all'ultimo che non sarebbe stato inserito nella lista.
Il convenuto ha resistito, negando di avere assunto qualsivoglia impegno ed eccependo che il R. non aveva il potere di impegnare il partito.
Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda, condannando l'UDEUR a pagare in risarcimento dei danni la somma di £ 100.000,00.
Proposto appello dal soccombente la Corte di appello di Roma, in riforma, ha respinto integralmente la domanda, con la motivazione che il rapporto dedotto in giudizio non ha contenuto patrimoniale, quindi non costituisce fonte di obbligazioni ed è sostanzialmente incoercibile sul piano giuridico, così come sarebbe stato incoercibile l'impegno corrispettivo dello S. verso l'UDEUR; che pertanto il rapporto poteva costituire fonte, tutt'al più, di obbligazioni naturali; che in ogni caso, a norma dello statuto, il R. non aveva il potere di impegnare il partito.
Lo S. propone un motivo di ricorso per cassazione.
Resiste UDEUR con controricorso.
Motivi della decisione
1. - Con l'unico motivo il ricorrente denuncia violazione degli art. 1415 e 2043 cod. civ., ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., deducendo che la sua domanda trova giuridico fondamento nel fatto che la controparte l'ha indotto a fare specifico affidamento, protrattosi fino al 9 marzo 2000, nell'imminenza delle elezioni, sul fatto che sarebbe stato inserito in lista, e che il danno che ne ha subìto è da ritenere risarcibile ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., quale conseguenza della violazione del dovere di buona fede e del principio generale del neminem laedere.
Richiama la giurisprudenza di questa Corte circa l'applicabilità dell'art. 2043 cod. civ. ad ogni caso in cui si arrechi a taluno un danno ingiusto (Cass. Civ. 18 luglio 2003 n. 11246).
Soggiunge che erroneamente la Corte di appello ha motivato il rigetto della domanda con il fatto che l'accordo non aveva carattere sinallagmatico, ed erroneamente ha ritenuto che il R. non avesse il potere di impegnare il partito: la competizione elettorale riguardava infatti le elezioni regionali ed il R. era per l'appunto segretario regionale.
2. - Il motivo è inammissibile sotto più di un aspetto.
2.1. - In primo luogo perché non congruente con le ragioni poste a fondamento della decisione ed inaccettabilmente generico, quanto all'indicazione dei principi giuridici che la Corte di appello avrebbe violato.
Il richiamo all'art. 1415 cod. civ. non ha alcuna attinenza con le questioni qui discusse, mentre l'art. 2043 cod. civ. non è stato neppur preso in esame dalla sentenza impugnata, che ha fondato la sua decisione su principi diversi: in particolare, sul fatto che l'attore in giudizio ha dedotto l'inadempimento di una promessa - quindi, in linea di principio, l'inadempimento di un obbligo di natura contrattuale - senza considerare che trattasi di convenzione inidonea a generare obbligazioni civili, ma dalla quale potrebbero derivare, tutt'al più, mere obbligazioni naturali.
Su questo aspetto della motivazione - che sarebbe sufficiente da solo a giustificare la decisione - il ricorrente non svolge alcuna censura.
Quanto all'ulteriore ratio decidendi della sentenza impugnata, cioè al fatto che il R. non aveva il potere di impegnare il partito, le censure sono generiche perché non assistite né dal richiamo delle norme statutarie che attribuirebbero al segretario regionale il potere di decidere circa la formazione delle liste elettorali regionali (circostanza esclusa dalla sentenza di primo grado, come riportata nel ricorso); né dall'indicazione del luogo in cui il documento è prodotto, come prescritto a pena di inammissibilità dall'art. 366 n. 6 cod. proc. civ., con riguardo agli atti ed ai documenti sui quali il ricorso si fonda (Cass. civ. 31 ottobre 2007 n. 23019; Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766 e 11 febbraio 2010 n. 8025; Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. civ. Sez. Lav, 7 febbraio 2011 n. 2966; Cass. civ. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726), né dalla specifica illustrazione delle ragioni per cui l'UDEUR dovrebbe essere ritenuta responsabile, nonostante la norma statutaria che non attribuisce al segretario regionale il potere di impegnarla.
3. - Il ricorrente ha fondato le sue censure esclusivamente sull'asserita violazione dell'art. 2043 cod. civ., cioè sulla rilevanza della fattispecie dedotta in giudizio quale illecito extracontrattuale, senza peraltro dimostrare di avere dedotto nelle competenti sedi di merito la sussistenza dei presupposti di diritto e di fatto per l'applicabilità delle norme in tema di illecito civile.
La Corte di appello non ha neppur menzionato il problema, sicché sarebbe stato onere del ricorrente dimostrare di avere illustrato la causa pretendi della sua azione e di avere sollecitato la decisione sul punto: il mero richiamo ad un'aspettativa in lui suscitata non è sufficiente, poiché non ogni aspettativa disattesa dà luogo a diritti risarcitori, bensì solo le promesse che siano oggettivamente idonee - per le modalità con cui sono formulate, per i soggetti da cui provengono e per ogni altra circostanza rilevante - a giustificare il legittimo affidamento del promissario ed il fatto che egli si sia indotto ad affrontate peculiari oneri e spese in vista del loro adempimento.
Trattasi di circostanze che debbono essere specificamente dimostrate e che non sono affatto menzionate né nella sentenza impugnata, né nel ricorso, che risulta anche su questo punto generico. 4. - Il ricorso deve essere rigettato.
5. - Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi; oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.
16-10-2013 22:38
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