Sostituto Procuratore, colpevole di una citazione in giudizio assolutamente senza senso e resa grave dalla mancata lettura del fascicolo processuale, lettura che avrebbe consentito di evitare l’errore.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 12 – 29 marzo 2013, n. 7934
Presidente Preden – Relatore Rordorf
Esposizione del fatto
La sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura con sentenza pronunciata il 20 Settembre 2012, ha inflitto alla dott.ssa M.B.Z., sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona, la sanzione dell'ammonimento, avendola riconosciuta responsabile dell'illecito previsto dall'art. 2, comma 1°, lett. h), dei d.lgs. n. 109 del 2006.
Alla dott.ssa Z. è stato addebitato, in particolare, un travisamento di fatti, determinato da negligenza inescusabile, nell'aver disposto la diretta citazione a giudizio di una vedova, cui è stato imputato di aver truffaldinamente taciuto all'Inps l'esistenza di un precedente rapporto di coniugio facente capo al defunto marito al fine di non dover spartire la pensione di reversibilità con l'altro coniuge divorziato, laddove invece risultava dagli atti che dei precedente rapporto di coniugio vi era espressa menzione nella richiesta di pensione e che tale pensione era stata erogata con riserva di ripetizione se il coniuge divorziato lo avesse in seguito reclamato.
Per la cassazione di questa sentenza la dott.ssa Z. ha proposto ricorso, articolato in due motivi, entrambi focalizzati sulla previsione dell'art:. 3-bis dei citato d.lgs. n. 109 dei 2006. Il Ministero della Giustizia non ha svolto alcuna difesa.
Ragioni della decisione
1. Deve premettersi che il ricorso è tempestivo, e dunque ammissibile. E' stato infatti presentato alla segreteria dei Consiglio Superiore della Magistratura alla scadenza dei trentesimo giorno da quello in cui al magistrato che aveva difeso l'incolpata nel corso del procedimento disciplinare era stata data comunicazione dei deposito della sentenza (avvenuto oltre trenta giorni dopo la relativa pronuncia). Non rileva, in contrario, la circostanza che all'incolpata medesima la comunicazione dei deposito della sentenza fosse stata data sin dal giorno precedente, perché, ai fini dei computo dei termine d'impugnazione, secondo quel che prescrive il terzo comma dell'art. 585 c.p.p., si deve aver riguardo all'ultima delle due suddette comunicazioni; e tale regola è da applicare anche quando il destinatario di tale ultima comunicazione non sia un difensore abilitato a proporre egli stesso l'impugnazione (come è, evidentemente, il caso dei magistrato, nominato quale difensore in sede disciplinare, rispetto alla proposizione dei ricorso per cassazione), proiettandosi comunque la sua funzione difensiva anche nel periodo successivo alla pronuncia della sentenza suscettibile di essere impugnata, fin quando non venga nominato altro difensore abilitato a tale scopo.
Si può dunque senz'altro procedere all'esame dei ricorso.
2. Col primo motivo la ricorrente, premesso che la disposizione dell'art. 3-bis dei d.lgs. n. 109 dei 2006 traspone nell'ambito disciplinare il principio di offensività proprio dei diritto penale e che la riferibilità di tale principio a qualsiasi ipotesi d'illecito fa sì che, per potere irrogare la sanzione, non sia sufficiente riscontrare la corrispondenza tra la condotta dell'incolpato ed una fattispecie tipizzata d'illecito, occorrendo anche che ne risulti compromessa l'immagine dei magistrato, lamenta che, nel caso in esame, la Sezione disciplinare non abbia svolto alcuna verifica sull'effettiva rilevanza dell'infrazione addebitata alla dott.ssa Z., ed in
particolare sulle conseguenze dell'errore da lei commesso nel disporre il rinvio a giudizio, in una situazione che non lo giustificava, e sull'assenza di qualsiasi reale pregiudizio derivatone per l'imputata, non avendo l'episodio avuto alcuna pubblicità.
Il secondo motivo del ricorso, volto a censurare la motivazione dell'impugnata sentenza, nuovamente s'incentra sulla mancata valutazione della scarsa rilevanza dell'infrazione in cui si discute, scarsa rilevanza che - a parere della ricorrente - non avrebbe potuto essere esclusa solo in base a considerazioni afferenti all'inescusabilità dell'errore, essendo questo dovuto anche a precedenti sviste imputabili ad altri magistrati, i quali avevano raccolto la (in realtà insussistente) notizia di reato ed avevano senza ragione proceduto l'iscrizione nel registro previsto dall'art. 335 c.p.p. e predisposto il capo d'imputazione. Circostanza, questa, non addotta per negare l'imputabilità ad essa ricorrente dell'illecito ascrittole, ma appunto per misurarne la rilevanza, non potendole essere addossate anche colpe altrui.
3. Il ricorso, i cui motivi possono essere congiuntamente esaminati, non appare meritevole di accoglimento.
E' certamente vero che la previsione dell'art. 3-bis del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, secondo cui l'illecito disciplinare non è configurabile quando
il fatto è di scarsa rilevanza, sia per il tenore letterale della disposizione sia per la sua collocazione sistematica, risulta applicabile a tutte le ipotesi previste negli art. 2 e 3 del medesimo decreto. Il che vale ad escludere l'illecito disciplinare ogni qual volta la fattispecie tipica si sia realizzata ma, per particolari circostanze, anche non riferibili all'incolpato, il fatto non risulti in concreto capace di ledere il bene giuridico a tutela del quale un determinato comportamento è stato in astratto considerato dal legislatore idoneo ad integrare l'illecito stesso (si vedano, al riguardo, Sez. un. 24 giugno 2010, n. 15314; Sez. un. 13 dicembre 2010, n. 25091; e Sez. un. 11 marzo 2013, n. 5943).
Ciò comporta che il giudice disciplinare deve tenere canto di tale circostanza anche d'ufficio, quando la scarsa rilevanza emerga dai fatti acquisiti al procedimento, prendendo in considerazione le caratteristiche e le circostanze oggettive della vicenda addebitata; e comporta altresì che il giudizio negativo espresso al riguardo, anche implicito, è soggetto al sindacato delle sezioni unite, ove sia viziato da un errore d'impostazione giuridica (si veda, in tal senso, Sez. un. 23 aprile 2012, n. 6327), oppure sia motivato in modo insufficiente o illogico, ancorché un'esplicita motivazione può non risultare necessaria se neppure lo stesso incolpato la abbia sollecitata prospettando la scarsa rilevanza dell'infrazione ascrittagli (cfr. Sez. un. 5 luglio 2011, n. 14665).
Resta però che la valutazione, in concreto, dell'idoneità di un determinato comportamento a ledere il bene giuridico protetto dalla norma violata, e perciò ad assumere rilevanza disciplinare, è compito esclusivo dei giudice di merito, ossia della Sezione disciplinare, e che a tale valutazione la Suprema colte non può dunque sovrapporre la propria.
Orbene, nel caso di specie, la Sezione disciplinare, contrariamente a quel che la ricorrente sostiene, non ha mancato di considerare la rilevanza in concreto dell'illecito di qui si tratta; né può affermarsi che essa abbia confuso tale valutazione con quella relativa all'ingiustificabilità dell'errore, pacificamente commesso dal magistrato.
Sia pure in termini assai sintetici - ma l'evidenza dei dati emersi nel procedimento non imponeva invero una motivazione più diffusa - l'impugnata sentenza dà conto di come la citazione a giudizio di un'imputata, disposta dal magistrato incolpato senza evidentemente neppure aver letto gli atti contenuti nel fascicolo processuale, sia apparsa al giudice disciplinare un fatto non soltanto ingiustificato, ma neppure di scarsa rilevanza, nonostante quel fatto fosse inserito in una catena di superficialità pregiasse, riferibili ad altri colleghi, e benché avesse poi trovato rimedio nella susseguente pronuncia assolutoria dell'imputata.
Lo stesso giudice disciplinare non ha neppure trascurato di aggiungere che la disattenta o mancata lettura degli atti processuali è risultata lesiva dell'immagine dei magistrato incolpato, oltre che del prestigio dell'intero ordine giudiziario. E' bensì vero che quest'ultima osservazione sembra legarsi al rilievo per cui anche altri magistrati, come già ricordato, hanno concorso col loro negligente) comportamento a determinare tale discredito; ma ciò ben poco incide sulla posizione del magistrato incolpato, volta che comunque la sfa personale negligenza è stata indiscutibilmente una delle cause senza le quali il sfaccendato discredito dell'ordine giudiziario non si sarebbe prodotto.
Nemmeno, d'altronde, può darsi peso alla circostanza, pure sottolineata dalla ricorrente, che la vicenda non avrebbe avuto pubblicità e che nessun reale pregiudizio ne sarebbe derivato per la persona che fu tratta ingiustificatamente a giudizio. Se e quale notorietà la vicenda in questione abbia effettivamente avuto, nel foro veronese è una quesito fatti, come tale non deducibile in questa sede, né certo potrebbe sostenersi, in via generale, che la gravità di un errore o di una negligenza del magistrato sia suscettibile di recar discredito alla funzione dal lui esercitata sol quando si verifichi in pubblica udienza.
Dei pari irrilevante, a questo riguardo, è l'assunto secondo cui l'illecito disciplinare non sarebbe stato causa di danno personale per alcuno. Non può tacersi che un tale assunto appare, già di per sé, assai poco plausibile, in quanto è arduo sostenere che nessun pregiudizio subisca chi è tratto ingiustificatamente a giudizio, sol perché poi risulti assolto dall'imputazione. Ma, anche a prescindere da ciò, in presenza di una incolpazione riconducibile all'art. 2, comma 1°, lett. h), del d.lgs. d. 109, cit., va ricordato che il maggiore o minor pregiudizio che dall'errore o dalla negligenza ingiustificabili tel magistrato possa esser derivato ad un terzo non incide sulla rilevanza dell'illecito disciplinare, quando il comportamento dei magistrato medesimo risulti comunque idoneo ad arrecare dicredito oggettivo all'ordine giudiziario (si veda sul punto Sez. un. 25 novembre 2009, n. 24758).
4. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Non v'è da provvedere sulle spese processuali.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso.
07-04-2013 00:33
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