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Sentenza

Segretario di una Comunità Montana cita cronista e direttore responsabile di un quotidiano perchè ritiene di essere stato diffamato. Il Tribunale di Cassino accoglie la domanda, la corte territoriale annulla la sentenza e la Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Segretario di una Comunità Montana cita cronista e direttore responsabile di un quotidiano perchè ritiene di essere stato diffamato. Il Tribunale di Cassino accoglie la domanda, la corte territoriale annulla la sentenza e la Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Cassazione civile  sez. III data:02/08/2013 ( ud. 12/06/2013 , dep.02/08/2013 ) 
Numero: 8514
                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE TERZA CIVILE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. BERRUTI    Giuseppe Maria                    -  Presidente   - 
    Dott. CARLEO     Giovanni                          -  Consigliere  - 
    Dott. GIACALONE  Giovanni                     -  rel. Consigliere  - 
    Dott. TRAVAGLINO Giacomo                           -  Consigliere  - 
    Dott. BARRECA    Giuseppina Luciana                -  Consigliere  - 
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso 4206-2008 proposto da: 
              R.P.  (OMISSIS),  elettivamente  domiciliato  in 
    ROMA,  VIA KEPLERO 26, presso lo studio dell'avvocato DI FAZIO LAURA, 
    rappresentato  e difeso dall'avvocato TOCCO ANNA LAURA giusta  delega 
    in atti; 
                                                           - ricorrente - 
                                   contro 
    NUOVA  EDITORIALE  OGGI S.R.L. (OMISSIS), in  persona  del  legale 
    rappresentante Pro-temPore e AMMINISTRATORE UNICO             C.G., 
    elettivamente  domiciliata in ROMA, VALE BRUNO BUOZZI 82,  presso  lo 
    studio  dell'avvocato  ORSINI LUCA VINCENZO,  che  la  rappresenta  e 
    difende giusta delega in atti; 
                                                     - controricorrente - 
                                  e contro 
               P.A.,         CE.UM.; 
                                                             - intimati - 
    avverso  la  sentenza  n. 5616/2006 della CORTE  D'APPELLO  di  ROMA, 
    depositata il 18/12/2006 R.G.N. 5862/2003; 
    udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
    12/06/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE; 
    udito l'Avvocato ANNA LAURA TOCCO; 
    udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. 
    CORASANITI Giuseppe che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. 
                     


    Fatto
    IN FATTO E IN DIRITTO

    1. - R.P. - Segretario Generale dirigente della Comunità Montana dei Monti Aurunci di (OMISSIS), Ente interprovinciale del Basso Lazio - conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Cassino la Società Nuova Editoriale Oggi s.r.l., editrice del quotidiano "Ciociaria Oggi", P.A., cronista di detto quotidiano, e C.U., direttore responsabile di detto quotidiano, per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito di un articolo asseritamente diffamatorio pubblicato sabato (OMISSIS) sul quotidiano "(OMISSIS)", su metà pagina e su cinque colonne, con il titolo "Straordinari illegittimi e con il sottotitolo "Comunità Montana, il segretario dovrà restituire alla Corte dei Conti 26 milioni percepiti in un anno", titoli richiamati anche nelle locandine di vendita del quotidiano e nei notiziari radiotelevisivi locali. A fondamento della domanda il R. rilevava la grave diffamazione subita con tale articolo, in cui appariva falsamente l'esistenza di condanne per danno erariale, l'illegittimità di compensi percepiti, la presenza di una realtà allarmante nell'Ente di cui era segretario, la presenza di una continua deriva dell'Ente per responsabilità del segretario, unico soggetto citato nell'articolo per ben sei volte. Si costituivano in giudizio i convenuti, sostenendo di aver esercitato legittimamente il diritto di cronaca e di critica. Il Tribunale, ritenuto il carattere diffamatorio dell'articolo, condannava la Società Nuova Editoriale Oggi s.r.l., in solido con il Ce. e la P., al pagamento, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, al R. della somma di Euro 7.746,85. oltre rivalutazione, interessi e spese di lite, evidenziando che nell'articolo si lasciava intendere che nei confronti del R. erano intervenute già delle sentenze di condanna e che dal contesto dell'intero articolo emergeva la falsa immagine della Comunità Montana "alla deriva" per responsabilità del R..

    2. - Con la sentenza oggetto della presente impugnazione, depositata il 18.12.2006, la Corte d'Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l'appello dell'editrice, assorbito quello incidentale del R., e respingeva la domanda risarcitoria di quest'ultimo, in quanto la valutazione complessiva ed analitica dell'articolo portava ad escluderne il carattere diffamatorio.

    2.1. - Secondo la Corte territoriale, diversamente da quanto ritenuto in primo grado, nell'articolo in questione riferito non a pretesa condanna, ma a procedimenti contabili nei quali il R. era stato citato in giudizio insieme ad altri nove amministratori dell'ente) era stata rispettata la continenza espositiva formale e sostanziale, nell'ambito del legittimo esercizio del diritto di cronaca.

    2.2. Quanto alla causale dei 26 milioni di L. da restituire, l'inesattezza marginale (riferendosi essi non solo agli straordinari, ma anche ad indennità di funzione dirigenziale) non intaccava la verità sostanziale della richiesta di restituzione rivolta al R..

    2.3. Nè poteva addebitarsi alla cronista di aver taciuto l'avvenuto proscioglimento del R. in sede penale, non essendovi la prova - neanche presuntiva - che la medesima, all'atto della pubblicazione dell'articolo, ne fosse a conoscenza, essendo stato riferito dal R. in sede di rettifica.

    2.4. Anche in relazione all'ultima parte dell'articolo - che riferisce di un risaputo "conflitto di competenze esistente all'interno della comunità", nonchè delle limitazioni dell'attività del personale - implicitamente attribuita al Segretario generale R., con conseguente "deriva" dell'Ente - riteneva la Corte territoriale che fosse stato esercitato, sia pure con toni vivaci, il diritto di critica (v. il riferimento finale nell'articolo allo sdegno dei cittadini nel vedere spesso aggirarsi le forze dell'ordine nell'edificio dell'ente) in relazione alla gestione della locale Comunità senza che il R., neanche espressamente nominato in quel passo dell'articolo, potesse pretendere l'assenza di qualsiasi commento sulla situazione esistente all'interno dell'ente, a seguito delle indagini per responsabilità contabile nei confronti di esso Segretario generale oltrechè degli amministratori.

    3. - Propone ricorso per cassazione il R., sulla base dei seguenti dieci motivi; la casa editrice resiste con controricorso e chiede dichiararsi inammissibile e, comunque, respingersi il ricorso;

    gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

    3.1. Violazione e falsa applicazione di norme del c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) e nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4), essendovi nella sentenza impugnata un'inammissibile alterazione del testo dell'articolo da parte del giudicante con l'artificiosa aggiunta di parole o frasi in esso inesistenti al fine di basarvi le motivazioni: il giudicante avrebbe trasformato in eventuale quello che nell'articolo si affermava con certezza. Ad esempio, nella motivazione si legge che l'articolo parla di "giudizio erariale ancora da svolgere", di "futura restituzione di straordinari" e di "restituzione da accettarsi in sede giurisdizionale davanti alla Corte dei Conti ", quando invece nell'articolo in giudizio è scritto chiaramente che "il segretario dovrà restituire 26 milioni percepiti in un anno", che "la condanna e la restituzione della somma indebita di L. 26 milioni e 146 mila da parte del segretario mette in luce una realtà allarmante nell'Ente" per cui nell'articolo la condanna risulta già avvenuta e le udienze citate appaiono relative alle modalità di restituzione delle somme. Ciò costituirebbe una palese violazione e falsa applicazione delle norme del codice di rito, con implicita nullità della sentenza, in quanto non è ammissibile che il giudice in merito valuti un articolo ritenuto diffamatorio cambiando il testo o il significato delle parole e delle frasi.

    Formula il seguente quesito: il giudice di merito non può modificare o cambiare il testo o il significato delle parole o delle frasi di un articolo di stampa ritenuto diffamatorio, per basarvi poi le motivazioni della sentenza, pena la nullità della sentenza medesima.

    3.2. Violazione e falsa applicazione artt. 51 e 595 c.p. e L. n. 47 del 1948, art. 13 (art. 360 c.p.c., n. 3). Nella sentenza impugnata si afferma che "va escluso il carattere diffamatorio dell'articolo in questione" perchè "non vi era alcun riferimento, anche solo implicito, a condotte del R. parlandosi piuttosto di due procedimenti economici pendenti". Nulla di più errato. Già solo i titoli dell'articolo autonomamente avrebbero diffamato il R. laddove si legge "Straordinari illegittimi" e "Comunità Montana, il segretario dovrà restituire alla Corte dei Conti 26 milioni percepiti in un anno", riportando fatti non veritieri. Titoli che vennero richiamati nelle locandine del quotidiano e dai notiziari radio-televisivi locali che notoriamente leggono i titoli delle notizie pubblicate dalla stampa locale, con una vasta amplificazione della portata diffamatoria. Inoltre, nell'articolo il R. era l'unico soggetto nominato, implicitamente ed esplicitamente, per ben sei volte, con attribuzione di fatti determinati non veri quali gli straordinari e i compensi illegittimi, la condanna alla restituzione della somma di L. 26 milioni e 146 mila, la presenza di una realtà allarmante nell'Ente, la continua deriva dell'Ente di cui era segretario e così via. Formula il seguente quesito: anche solo i titoli di un articolo di stampa possono avere valenza diffamatoria, anzi dal momento che parte dei lettori legge soprattutto i titoli la portata diffamatoria dei titoli è superiore a quella degli articoli.

    3.3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2050, 2059, 2697, 2727 e 2729 c.c. (art. 360 c.p.c.), perchè nella sentenza impugnata si ignorerebbe che la presenza di un fatto illecito, quale la pubblicazione di notizie non vere o addirittura false, comporta il diritto del soggetto leso al risarcimento del danno patrimoniale, morale e non patrimoniale subito. Inoltre, l'attività di cronista comporta la presenza di un'attività pericolosa in quanto potenzialmente dannosa in presenza di errori vistosi in danno di terzi come nel presente caso. Dai documenti depositati in giudizio sarebbe palese che l'articolo costituirebbe un grave episodio di diffamazione a mezzo stampa, in quanto nel riportare una notizia vera (le due citazioni a giudizio) verrebbe affermata falsamente la presenza di condanne già avvenute, di straordinari illegittimi, di compensi illegittimi, di una realtà allarmante nell'ente, di un ente alla deriva, tutto per responsabilità del segretario R., unico soggetto citato nell'articolo per ben sei volte. Un articolo giornalistico con cui ingiustamente si colpevolizza un dirigente pubblico attribuendogli fatti determinati non veri certamente viola il precetto del neminem laedere e, quindi, comporta il risarcimento dei danni provocati, patrimoniali e non patrimoniali.

    Formula il seguente quesito: sussiste la valenza diffamatoria in un articolo di stampa ove nel riferire una notizia vera la si alteri, mutandone il significato, oppure la si deformi con aggiunte, commenti o insinuazioni negative, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni provocati.

    3.4. Violazione artt 2, 3 e 27 Cost. artt. 8, 10 e 13 Convenzione europea dei diritti dell'uomo (art. 360 c.p.c., n. 3), perchè nella sentenza impugnata sussisterebbe una palese violazione dei diritti costituzionalmente protetti a tutela della persona del R. in quanto nell'articolo, con la diffusione di notizie non vere, sarebbero stati violati gli articoli 2, 3 e 27 Cost. e gli artt. 8, 10 e 13 CEDU. Con le false affermazioni nell'articolo di "straordinari illegittimi", di "compensi illegittimi", di "condanna del segretario alla restituzione di 26 milioni di lire", di "realtà allarmante nell'Ente", di "deriva dell'Ente", sarebbe stata commessa una grave lesione dei diritti costituzionalmente protetti del R. alla dignità umana, alla personalità, all'onore, alla reputazione, all'immagine, alla dignità, alla vita di relazione, alla presunzione di innocenza, con effetti dirompenti sconvolgenti nella vita lavorativa, relazionale e sociale del danneggiato ingiustamente, da cui consegue il risarcimento dei danni subiti.

    Formula il seguente quesito: "il giornalista deve sempre attenersi, fino a che non intervenga una sentenza di condanna, al principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza e, quindi, non può affermare come certa una colpevolezza non ancora accertata".

    3.5. Violazione e falsa applicazione delle norme in materia di "diritto di cronaca" (art. 360 c.p.c., n. 3). Deduce che nella sentenza impugnata si afferma che l'articolo costituisce un "legittimo esercizio del diritto di cronaca". Ma ciò contrasterebbe con la giurisprudenza di legittimità, civile e penale. Infatti il diritto di cronaca per essere legittimo deve essere sempre corrispondente alla verità della notizia, senza aggiunte fantasiose volte a cambiarne il significato. Invece, nell'articolo si spacciano per veri fatti determinati, che sono invece falsi, con indubbio danno ingiusto per il R.. In particolare quando si notizierebbe falsamente di "straordinari illegittimi", di "compensi illegittimi", di "condanna alla restituzione di L. 26 milioni ", di "realtà allarmante nell'Ente comunitario", di "esistenza di un conflitto di competenze all'interno della Comunità", di "impiegati limitati nelle loro iniziative", di "Ente alla deriva", di "indignazione degli esperiani, di "forze dell'ordine che si aggiravano per l'edificio comunitario". Tutti fatti inesistenti o inventati di sana pianta per diffamare il R.. Formula il seguente quesito: costituisce diffamazione l'esercizio del diritto di cronaca che stravolga una notizia vera con aggiunte, commenti, alterazioni e omissioni che la deformino facendole assumere un significato diverso e offensivo della reputazione altrui.

    3.6. - Violazione e falsa applicazione delle norme in materia di "diritto di critica" (art. 360 c.p.c., n. 3). Deduce che nella sentenza impugnata si afferma che l'ultima parte dell'articolo costituisce un diritto di critica, ancorchè esercitato con toni vivaci. Ma ciò sarebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, civile e penale. Infatti il diritto di critica è ammissibile quando comunque i fatti criticati siano veri o almeno veritieri. Invece nella specie l'ultima parte dell'articolo critica solo fatti non veritieri, anzi del tutto falsi, come falso era la realtà allarmante messa in luce dalla condanna del Segretario alla restituzione di L. 26 milioni e 146 mila, come falsa era la limitazione degli impiegati nelle loro iniziative, come falsa era la continua deriva dell'Ente, come falsa era l'indignazione degli esperiani, come falsa era il continuo aggirarsi delle forze dell'ordine per l'edificio comunitario. Falsità documentate con gli atti versati in giudizio e con la smentita del personale della Comunità Montana.

    Formula il seguente quesito: costituisce diffamazione l'esercizio del diritto di critica su fatti privi di un contenuto di veridicità.

    3.7. - Violazione e falsa applicazione delle norme in materia di "diritto di cronaca giudiziaria" (art. 360 c.p.c., n. 3). La sentenza impugnata sarebbe in palese contrasto con la giurisprudenza di legittimità, civile e penale, in materia di diritto, di cronaca giudiziaria. Infatti l'articolo trae origine da due citazioni in giudizio per responsabilità amministrativa della Procura Regionale della Corte dei Conti per il Lazio di cui la cronista era venuta in possesso pur essendo atti riservati. In tali atti di citazione erano esposte anche le posizioni difensive del R. in ordine alle contestazioni della Procura Regionale, posizioni difensive poi accolte dalla Corte dei Conti, in primo e secondo grado. La cronista, per un legittimo esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, avrebbe avuto il dovere di riferire anche le posizioni difensive del R., di cui invece non c'era traccia nell'articolo. Invece, non solo tale dovere sarebbe stato eluso, ma si sarebbe approfittato dell'occasione per offendere la reputazione del R. attribuendogli fatti non veri e una colpevolezza non accertata.

    Formula il seguente quesito: nella cronaca giudiziaria costituisce diffamazione l'attribuzione a taluno di fatti non accertati, l'inserimento, nel contesto, di circostanze non vere, o l'omissione di fatti favorevoli alla persona citata nell'articolo.

    3.8. Omessa motivazione su punti decisivi del giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), perchè nella sentenza impugnata si sarebbe omessa qualsiasi valutazione sull'autonoma valenza diffamatoria dei titoli e sottotitoli dell'articolo, che richiamano la presenza di una situazione di generale e diffusa illegalità presso la Comunità Montana a causa del Segretario Generale ( R.), contrariamente al vero, così come evidenziato negli atti di causa. Inoltre, nella sentenza si sarebbe omessa ogni valutazione sulla circostanza che la cronista aveva il dovere di riportare nell'articolo solo la verità, nonchè la posizione in merito del Segretario R. riportata nelle citazioni a giudizio. Sarebbe, ancora, omessa ogni valutazione sulla falsa contestualità delle indagini della magistratura, della Guardia di Finanza e del Commissariato di Cassino con quella della Corte dei Conti, contenuta nella parte iniziale dell'articolo in questione. Invece le indagini della Magistratura e della Guardia di Finanza si erano svolte tre anni prima mentre il Commissariato di Cassino non risultava avere svolto indagini sulla Comunità Montana.

    Era chiaro l'intento dell'articolo di dare l'immagine falsa di un Ente sotto pressione giudiziaria a causa del segretario R., circostanza che nella sentenza impugnata si omette del tutto. Nella sentenza si ometterebbe altresì la decisiva circostanza che la cronista aveva formalizzato in sede penale le sue scuse addebitando alla direzione e alla redazione del quotidiano i titoli, le aggiunte e i commenti diffamatori riportati nell'articolo. Infine nella sentenza impugnata si ometterebbe qualsiasi riferimento motivazionale al contenuto della comparsa di costituzione e risposta del R. in appello che risultava immotivatamente ignorato dal giudicante.

    3.9. Insufficiente motivazione su punti decisivi del giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), perchè sussisterebbe una complessiva insufficienza delle motivazioni della sentenza impugnata che renderebbe ingiustificabile la decisione assunta. In essa si afferma che "non vi era alcun riferimento, anche solo implicito, a condanne del R. parlandosi piuttosto di due procedimenti economici che pendono".... Tale motivazione sarebbe del tutto insufficiente in quanto nell'articolo in giudizio il Segretario R. è indicato più volte quale persona condannata a restituire L. 26 milioni, sia nel sottotitolo che nel testo dell'articolo, per cui non si comprenderebbe su quale base si affermi il contrario. Tra l'altro il richiamo a due procedimenti economici pendenti sarebbe del tutto insufficiente in quanto dall'articolo emergerebbe chiaramente che gli stessi apparivano finalizzati a stabilire le modalità di restituzione delle somme. Sarebbe inoltre apodittica l'affermazione di un "legittimo esercizio del diritto di cronaca", quando, in precedenza, ben quattro magistrati, tre penali e uno civile, avevano riscontrato la penale rilevanza delle falsità contenute nell'articolo in danno del R.. Insufficiente risulterebbe anche la motivazione per cui si ritiene "insussistente l'altro addebito alla cronista del quotidiano per avere taciuto l'avvenuto proscioglimento del R. con sentenza del GUP del tribunale di Cassino per gli stessi fatti richiamati nell'articolo in giudizio per assenza di prova che la cronista ne fosse a conoscenza". Però nella sentenza impugnata non si considererebbe la decisiva circostanza che invece ne era pienamente a conoscenza sia la redazione di Cassino del quotidiano a cui la cronista faceva capo e sia la direzione del quotidiano per averne dato notizia l'anno prima, con conseguente responsabilità omissiva in merito all'articolo, atteso anche che il caporedattore di Cassino e il direttore del quotidiano non erano cambiati. Così pure insufficiente risulterebbe anche la motivazione della sentenza impugnata per cui si ritiene che l'ultima parte dell'articolo costituisca un diritto di critica esercitato con toni vivaci, non considerando la decisiva circostanza che per il corretto esercizio di tale diritto è necessario, comunque, che le notizie criticate siano veritiere. Invece nella specie la critica sarebbe stata esercitata su fatti non veritieri, anzi del tutto falsi, così come falsa era la condanna del Segretario alla restituzione di L. 26 milioni e 146 mila, come falsa era la "realtà allarmante presso l'Ente comunitario", come falsa era la limitazione degli impiegati nelle loro iniziative, come falsa era la continua deriva dell'Ente, come falsa era l'indignazione degli esperiani, come falso era il continuo aggirarsi delle forze dell'ordine per l'edificio comunitario. Infine del tutto insufficiente risulterebbe la motivazione per cui nella sentenza impugnata non si tiene assolutamente conto della sentenza penale di condanna del direttore del quotidiano per la pubblicazione dell'articolo in giudizio, che costituirebbe comunque un decisivo elemento di valutazione della valenza diffamatoria dell'articolo medesimo.

    3.10. Contraddittoria motivazione su punti decisivi del giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), perchè nella sentenza impugnata sussisterebbe un'evidente contraddittorietà della motivazione, in quanto prima si afferma che non vi era alcun riferimento, anche solo implicito, a condanne del R., e poi si afferma che il R. "non potesse pretendere l'assenza di qualsiasi commento sulla, situazione esistente all'interno dell'ente di cui era segretario generale" trascurando la circostanza decisiva che tale commento si basava sulla falsa condanna del Segretario R. e su fatti inesistenti. Così pure contraddittoria risulterebbe la motivazione che prima riconosce che nell'ultima parte dell'articolo "implicitamente si attribuisce al Segretario Generale dott. R." la "deriva dell'Ente" e poi ritiene che il R. non vi era espressamente nominato, quando in tutto l'articolo il Segretario R. era l'unico soggetto nominato esplicitamente per ben sei volte, con implicito addebito di ogni responsabilità negativa richiamata nell'articolo.

    4. - I motivi del ricorso si rivelano tutti inammissibili per mancanza dei momenti di sintesi in relazione agli ultimi tre motivi che prospettano vizi motivazionali, nonchè per inidoneità dei quesiti di diritto formulati in relazione ai primi sette motivi.

    4.1. - Quanto all'inidoneità dei quesiti di diritto, l'art. 366-bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis, prevede le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, disponendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso se, in presenza dei motivi previsti dall'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ciascuna censura, all'esito della sua illustrazione, non si traduca in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall'art. 384 cod. proc. civ., all'enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza;

    mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all'art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09).

    5.2. - Orbene, nel caso in esame, rispetto agli ultimi tre motivi, che deducono vizi motivazionali, non è stato formulato il "momento di sintesi", che, come da questa Corte precisato, richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v.

    Cass., 18/7/2007, n. 16002). L'individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all'attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470/08). Si deve, invero, ribadire che "il ricorrente che denunci un vizio di motivazione della sentenza impugnata è tenuto - nel confezionamento del relativo motivo - a formulare in riferimento alla anzidetta censura, un c.d. quesito di fatto, e cioè indicare chiaramente, in modo sintetico, evidente e autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, così come le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. A tale fine è necessaria la enucleazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso nel quale tutto ciò risalti in modo non equivoco. Tale requisito, infine, non può ritenersi rispettato allorquando solo la completa lettura della illustrazione del motivo - all'esito di un'interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente - consenta di comprendere il contenuto e il significato delle censure, posto che la ratio che sottende la disposizione di cui all'art. 366-bis c.p.c. è associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla Suprema Corte, la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito di fatto, quale sia l'errore commesso dal giudice del merito (v., da ultimo, Cass. n. 6549/2013; nonchè Cass. n. 16002/2007, ord.; 12052/2007). Nell'esposizione degli ultimi tre motivi di ricorso non è in alcun modo individuabile l'indicazione dei fatti controversi nè delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione, con violazione quindi dell'art. 366-bis c.p.c. e conseguente declaratoria di inammissibilità delle censure.

    5.3. - Inoltre, rispetto ai primi sette motivi che non deducono vizi motivazionali, si deve ribadire che il quesito di diritto, per essere considerato idoneo, deve essere formulato in modo tale da esplicitare una sintesi logico giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di applicazione anche in casi ulteriori, rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. In altri termini esso deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito (siccome da questi ritenuti per veri, mancando, altrimenti, la critica di pertinenza alla ratio decidendi della sentenza impugnata); b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto applicabile che - ad avviso del ricorrente - si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Il quesito - quindi - non deve risolversi in una enunciazione di carattere generico e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi, altresì, desumere il quesito stesso dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione della norma (v. Cass. n. 6549/2013, cit.;

    Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l'errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

    5.4. Pertanto i quesiti si rivelano inidonei, ove consistano, come nel caso in esame, in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell'interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata.

    Non sono, pertanto, idonei i quesiti formulati nel ricorso, rispetto ai primi sette motivi, dato che non contengono adeguati riferimenti in fatto (nè l'oggetto della questione controversa, nè la sintesi degli sviluppi della controversia sullo stesso, nè l'indicazione delle effettive ragioni della decisione in ordine alla mancanza dei requisiti del carattere diffamatorio dell'articolo), nè espongono chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s'invoca l'applicazione, i quesiti si limitano ad enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di chiare e specifiche indicazioni sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420). Del resto, il quesito di diritto non può risolversi - come rispetto al primo motivo - in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536). I quesiti proposti dall'odierno ricorrente, per un verso si rivelano assolutamente generici, senza alcun riferimento alla fattispecie concreta, risolvendosi, così, in semplici enunciazioni di principio, del tutto inidonei a consentire l'individuazione della questione di diritto da risolvere al fine di accogliere o respingere la censura formulata nei confronti della sentenza impugnata (Cass. 16002/2007, ord.; S.U. n. 36/2007); per altro verso manifestano anche l'intrinseca inammissibilità dei motivi cui si riferiscono, in quanto dalla loro lettura, coordinata con la trattazione di ciascun motivo, non è possibile evincere quali siano le norme violate dal giudice di merito nè tantomeno le censure concretamente mosse al dictum emergente dalla sentenza impugnata, non avendo il ricorrente neanche indicato le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che ritiene di censurare specificamente, così violando anche i canoni di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass. n. 22499/2006; 3248/2012).

    5. Senza contare che la mancanza degli indicati elementi influisce anche per altri versi sull'ammissibilità delle singole censure.

    5.1. Il primo motivo è inammissibile anche in quanto con esso viene dedotta una nullità della sentenza prescindendo totalmente sia dalle norme di diritto processuale che regolano tale vizio, sia dai relativi presupposti, e si risolve, invece, nell'allegazione di un vizio di motivazione, il quale tuttavia non può consistere, come nella specie, nella mera richiesta di riesame delle conclusioni di merito contenute nella sentenza impugnata, nè d'altro canto contiene qualunque elemento dal quale desumere un errore nell'iter argomentativo della sentenza. Senza considerare che tale censura (al parti di quella contenuta in altri dei motivi deducenti violazione di legge), in palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso (art. 366 c.p.c., n. 6), perchè difettano della specifica e dettagliata allegazione o trascrizione del contenuto del documento su cui si basano le doglianze (nell'ipotesi, il testo completo dell'articolo, del quale vengono riportate solo alcune frasi), che questa Corte deve essere messa in grado esaminare senza ricorrere ad elementi esterni al ricorso stesso.

    5.2. La Corte territoriale, comunque, ha affermato che nell'articolo non vi era alcun riferimento a condanne riportate dal R., essendovi il riferimento solo ai due procedimenti "economici" (recte:

    contabili o di responsabilità contabile) pendenti a carico degli amministratori dell'Ente. Al riguardo, si deve ribadire che in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l'accertamento in concreto dell'attitudine offensiva delle espressioni usate, la valutazione dell'esistenza dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica (costituiti dall'interesse pubblico, dalla rispondenza a verità dei fatti esposti e dalla continenza formale), con conseguente attribuzione di rilevanza diffamatoria ad espressioni usate negli scritti contestati come lesivi, costituiscono accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto (Cass. n. 690/2010; 7395/2007; 15510 e 3284/2006; 20137, 20138 e 20139 del 2005).

    5.3. Anche rispetto ai motivi dal secondo al quarto il ricorrente denuncia la violazione di norme di diritto, ma, in sostanza, si limita ad esporre dei vizi di motivazione (nel secondo, lamenta che "dai documenti di prova depositati in giudizio è palese che l'articolo in questione costituisce un grave episodio di diffamazione a mezzo stampa"), violando, tuttavia, anche in tale occasione il principio di autosufficienza, in quanto non specifica di quali documenti sia mancata la considerazione, nè ne riporta il testo, e chiede, comunque, una nuova valutazione delle prove, inammissibile, come si è visto, in questa sede.

    5.4. I motivi, inoltre, non indicano in quale modo la Corte territoriale si sarebbe discostata dai principi giurisprudenziali invocati, perchè si limitano a censurare gli apprezzamenti di merito compiuti dalla stessa. Si deve ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l'uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall'art. 65 ord. giud.);

    viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 16698 e 7394 del 2010; 4178/07; 10316/06; 15499/04). Nei motivi in esame, infatti, l'assunta violazione di legge si basa sempre e presuppone una diversa ricostruzione delle risultanze di causa (un diverso valore e significato delle espressioni impiegate nell'articolo), censurabile - diversamente da quanto avvenuto nei primi sette motivi di ricorso - solo sotto il profilo del vizio di motivazione, ma nei limiti di deducibilità di detto vizio.

    5.5. Inoltre, nel formulare il quinto motivo - nel quale viene criticata la sentenza impugnata per aver affermato che l'articolo costituisce un legittimo esercizio del diritto di cronaca, laddove secondo la giurisprudenza della Suprema Corte il diritto di cronaca deve essere sempre corrispondente alla verità della notizia...

    invece nell'articolo si spaccerebbero per veri fatti determinati che sarebbero invece falsi - il ricorrente non tiene conto che le sue affermazioni - riferita come anche nelle altre censure all'articolo e non alla sentenza impugnata - costituisce una valutazione di merito preclusa in questa sede. Senza contare che la verità del fatto (pendenza di procedimenti per danno erariale a carico del R.) non risulta contestata e anche il giudice di primo grado, accogliendo la domanda, aveva indicato non già che si trattasse di notizia falsa, ma semplicemente che il modo di riportarla era stato distorto e tendenzioso. Il motivo si rivela quindi inammissibile anche sotto questo profilo, trattandosi di questione nuova.

    5.6. Senza contare che, come esattamente rilevato dalla Corte territoriale, l'unica inesattezza marginale contenuta nell'articolo, relativa alle componenti della somma indicata come oggetto di restituzione in sede di giudizio contabile (in parte compensi per lavoro straordinario, in parte di indennità di funzione dirigenziale), non intaccava comunque la verità sostanziale della richiesta di restituzione di somme rivolta al R.. In tal modo, la motivazione della sentenza impugnata è in armonia con il principio secondo cui la verità della notizia è presupposto per il riconoscimento della scriminante del legittimo esercizio del diritto di cronaca. Tale principio è stato confermato da questa Corte (Cass. n. 8953/2006) ribadendo l'insindacabilità della decisione di merito in ordine alla sussistenza della predetta scriminante, nonchè precisando che comunque "deve considerarsi lecito che la notizia medesima venga accompagnata da altre informazioni, sempre che non siano immaginarie ma utili alla migliore comprensione della notizia medesima da parte dei lettori, in quanto solo in tale modo il diritto di cronaca trova una sua valida giustificazione";

    come avvenuto in sostanza nell'articolo di cui si tratta, ove alla notizia (vera) della pendenza dei procedimenti per danno erariale a carico del R. era stata accompagnata la descrizione del relativo contesto per offrire al lettore i più ampi elementi di informazione e di valutazione.

    5.7. Il sesto motivo non coglie nel segno anche perchè la sua trattazione è inconferente rispetto al denunciato errore di diritto in violazione del principio di autosufficienza del ricorso (senza specificare nè riportare analiticamente il contenuto degli atti versati in giudizio da cui emergerebbero i vizi denunciati), risolvendosi, infine, nella richiesta inammissibile di un riesame del merito, deducendosi genericamente che i fatti riportati nell'articolo fossero falsi. Inoltre, il motivo - nella parte in cui contesta il diritto di critica riconosciuto nella sentenza impugnata, in quanto nella specie i fatti sarebbero stati falsi - è privo di pregio.

    Infatti, l'esercizio del diritto di critica - con motivazione puntuale e coerente - è stato da un lato considerato legittimo con riguardo alla posizione del R. ed alle indagini della magistratura contabile su di lui avviate, circostanza assolutamente pacifica e veritiera; sicchè non si vede in cosa il Giudice di merito possa essersi discostato dall'orientamento di legittimità citato dal ricorrente; dall'altro del tutto irrilevante rispetto alla pretesa diffamazione, avuto riguardo alla gestione della locale comunità montana senza che il R.. neppure nominato in quel passo dell'articolo, potesse pretendere l'assenza di qualsiasi commento sulla situazione esistente all'interno di detto ente".

    5.8.1. Anche nel settimo motivo, il ricorrente, anzichè criticare effettivamente sotto un profilo di diritto la sentenza impugnata, il ricorrente contesta che la cronista, per un legittimo esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, avrebbe avuto l'obbligo di riferire anche le posizioni difensive del R., di cui invece non vi sarebbe traccia nell'articolo. A parte la mancanza, anche in rapporto a tale censura, di qualsiasi indicazione circa le affermazioni in diritto della sentenza impugnata che sarebbero censurabili, i canoni di autosufficienza e specificità dei motivi di ricorso per cassazione risultano violati anche perchè vengono richiamati, pure questa volta, atti processuali senza individuarli nè riportarne il contenuto e perchè non viene precisato se e come l'indicata questione sia stata proposta nei precedenti gradi, così impedendo a questa Corte di verificare se la censura non sia inammissibile anche per novità della medesima. Parte ricorrente, infatti, avrebbero dovuto indicare in quali atti del giudizio di primo grado e poi di appello tali eccezioni fossero state proposte.

    5.8.2. Infatti, si deve ribadire che, qualora una determinata questione non risulti trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione e di riferibilità degli stessi alla decisione impugnata, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 20/05/2010, n. 12992; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/09/2006, n. 21020;

    Cass. 04.04.2006, n. 7825).

    5.9. Le censure dirottava alla decima non colgono nel segno anche perchè:

    5.9.1. in primo luogo, il ricorrente si limita ad elencare le criticità che ritiene di ravvisare nella sentenza in termini di omessa considerazione di elementi acquisiti al processo, ovvero di motivazione insufficiente e contraddittoria, senza tuttavia spiegare in concreto in quale vizio la Corte territoriale sia incorsa sotto il profila dell'adeguata formazione del proprio convincimento e senza lasciare individuare il carattere di decisività dei fatti) e non semplicemente punti, come nelle rubriche dei motivi) controversi che asserisce carentemente motivati, limitandosi in effetti a sostenere (e talvolta senza neanche disegnarla a grandi linee) quella che a suo avviso sarebbe una più adeguata ricostruzione dei fatti;

    5.9.2. invero, ponendo a confronto la motivazione di cui al precedente punto 2 con le doglianze motivazionali in esame, emerge chiaramente che il ricorrente, lungi dal denunciare il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, propone un'inammissibile propria lettura delle risultanze di causa, sindacando la discrezionalità e il prudente apprezzamento del giudice di merito nella selezione del materiale istruttorio, nella conseguente ricostruzione dei fatti e nella valutazione degli stessi e delle relative conseguenze in punto di diritto, di per sè non censurabili in questa sede. Infatti, si deve ribadire che "il dedotto vizio non può consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito. La sua deduzione con il ricorso per cassazione conferisce a questa S.C., non già il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, bensì la nera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllatine l'attendibilità e la coincidenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, didare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti" (Cass. n. 16499/2009; 15489/2007;

    828/2007; 8718/2005; 20322/2005; V. anche Cass. n. 7972/2007); di conseguenza, "soddisfa all'esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo" (Cass. n. 12052/2007; 12446/2006; 3904/2000);

    5.9.3. infine, dette censure motivazionali non meritano, comunque, le critiche di cui al ricorso, perchè non tengono conto che la Corte territoriale, con ragionamento logico coerente, coerente con le risultanze del processo, tramite una completa ed adeguata disamina della fattispecie controversa ha escluso la rilevanza diffamatoria della mera presentazione della notizia in modo distorto e tendenzioso riscontrata, invece, dal giudice di primo grado), tenuto conto della mancanza di riferimenti a condanne già riportate dal R. e della veridicità del fatto della sottoposizione dello stesso a giudizio contabile, con indicazione delle date di comparizione, e ella continenza espositiva formale e sostanziale, anche in considerazione della diffusione locale del quotidiano. Ha escluso, inoltre, che l'inesattezza formale relativa all'esatta qualificazione delle somme oggetto del giudizio contabile potesse assumere valenza diffamatoria, considerato che precisa era comunque la somma totale per cui si agiva. Infine, la Corte territoriale ha dato congruamente e correttamente conto dell'irrilevanza della sentenza di proscioglimento del G.u.p. di Cassino in favore del R.. non essendo stato dimostrato che la cronista ne fosse a conoscenza ed, infine, completando l'esame dell'articolo e delle doglianze sollevate dall'allora appellante, riconoscendo il legittimo esercizio del diritto di critica.

    Le spese seguono la soccombenza nel rapporto con la parte costituita;

    nulla per le spese nei confronti degli altri intimati che non hanno svolto attività difensiva.
    PQM
    P.Q.M.

    Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nei confronti della parte costituita, che liquida in Euro 2.500,00=, cui Euro 2.300,00= per compensi, oltre accessori di legge.

    Così deciso in Roma, il 12 giugno 2013.

    Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2013
Avv. Antonino Sugamele

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