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Sentenza

San Vito Lo Capo: la realizzazione di piattaforma in calcestruzzo costituisce un intervento di irreversibile modificazione dello stato naturale dei luoghi ed integra attività di trasformazione urbanistica ed edilizia, che non può realizzarsi senza apposita concessione.
San Vito Lo Capo: la realizzazione di piattaforma in calcestruzzo costituisce un intervento di irreversibile modificazione dello stato naturale dei luoghi ed integra attività di trasformazione urbanistica ed edilizia, che non può realizzarsi senza apposita concessione.
Autorità:  Cons. giust. amm. Sicilia  sez. giurisd.
Data:  22 gennaio 2013
Numero:  n. 33


                         REPUBBLICA ITALIANA                         
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO                     
Il  Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in
sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente                      
                           S E N T E N Z A                           
sul ricorso in appello n. 462/2012 proposto da                       
Fa. Ba.                                                              
rappresentato  e  difeso  dall'avv. Giuseppe Montana ed elettivamente
domiciliato  in  Palermo,  via  Mario  Vaccaro n. 6, presso lo studio
dell'avv. Rosaria Fabbiani;                                          
                             c o n t r o                             
il  COMUNE  DI  SAN VITO LO CAPO, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato  e difeso dall'avv. Stefano Polizzotto ed elettivamente
domiciliato  in  Palermo,  via  Nunzio Morello n. 40, presso lo studio
dello stesso;                                                        
per l'annullamento parziale                                          
della  sentenza  del T.A.R. per la Sicilia - sede di Palermo (sezione
seconda) - n. 416 del 21 febbraio 2012.                              
Visto il ricorso con i relativi allegati;                            
Visto  l'atto  di  costituzione in giudizio e la memoria dell'avv. S.
Polizzotto per il Comune di San Vito Lo Capo;                        
Visti gli atti tutti della causa;                                    
Relatore il Consigliere Alessandro Corbino;                          
Uditi,  altresì,  alla pubblica udienza del 7 novembre 2012 l'avv. A.
Vitale,  su delega dell'avv. G. Montana, per l'appellante e l'avv. S.
Polizzotto per il comune appellato;                                  
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:             

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F A T T O
L'appello è rivolto alla riforma della decisione n. 416/2012 del TAR per la Sicilia di Palermo, che ha accolto in parte il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza n. 36/2008, con la quale il Comune di San Vito Lo Capo ha negato il rilascio dell'autorizzazione edilizia in sanatoria ai sensi dell'art. 36 del DPR. 380/01 (già art. 13 legge n. 47/1985) e ordinato la demolizione, con ripristino dello stato dei luoghi, nonché negato di effettuare le piantumazioni di cui alla nota protocollata al n. 15219/2008.
L'appellante, proprietario di un terreno in agro Comune di San Vito Lo Capo, avendo effettuato lavorazioni di ripulitura superficiale e ripiantumazione di essenze vegetali, aveva - a seguito di un sopralluogo di personale della Polizia Municipale - presentato domanda ex art. 13 legge 47/85, seguita da una richiesta di autorizzazione per la recinzione del fondo. Aveva avanzato anche domanda di nullaosta all'Ispettorato Dipartimentale delle Foreste U.O.B. tutela di Trapani e alla Soprintendenza BB.CC.AA. (che li hanno poi rilasciati).
Nelle more, sopraggiungeva però il diniego espresso del Comune di San Vito Lo Capo in ordine alla domanda di accertamento ex art. 13 cit., avverso il quale l'appellante proponeva ricorso, deciso dal TAR di Palermo, con sentenza di accoglimento n. 943/2008. L'appellante risultava anche assolto in sede penale dal reato ascrittogli con sentenza n. 559/2008 del Tribunale penale di Trapani, con la formula "perché il fatto non sussiste".
A seguito di nuovo controllo ed apposizione di sigilli sull'apertura del cancello di accesso al terreno (sigilli poi rimossi) l'appellante avanzava, in data 25/9/2008, domanda di sanatoria per la realizzazione dei lavori necessari alla piantumazione degli assetti esistenti ed alla cura dello spazio naturale.
Il Comune di San Vito Lo Capo, prendendo atto della intervenuta sentenza n. 943/208, ha contestato tuttavia gli ulteriori abusi posti in essere dal Fa., denegando il rilascio dell'autorizzazione in sanatoria, intimando la riduzione in pristino e denegando anche l'autorizzazione alla piantumazione di cui alla comunicazione prot. 15219 del 25/9/2008.
Contro tale provvedimento ha proposto ricorso l'interessato, lamentandone la illegittimità sotto diversi profili di violazione di legge, difetto di motivazione ed eccesso di potere.
Il TAR ha accolto in parte il ricorso.
Il Giudice ha ritenuto in particolare fondate le censure in ordine al mancato rilascio di concessione edilizia in sanatoria ex art. 13 legge 47/1985 in relazione alla seguenti opere: a) spietramento e livellamento del terreno per l'intera particella; b) sistemazione di vecchi terrazzamenti; c) rinvenimento di pregresse n. 3 fosse settiche; d) pregressa realizzazione di una cisterna parzialmente interrata. E ciò in relazione al difetto di motivazione rilevabile sulla base di quanto previsto dall'art.17 delle norme di attuazione del PRG del Comune intimato, a tenore del quale, fermo restando il divieto di nuova edificazione, nella stessa zona sono ammessi "interventi di manutenzione degli assetti esistenti e interventi compatibili con le esigente di protezione ambientale e la cura dello spazio naturale, nonché interventi di restauro e ripristino ambientale".
Il TAR ha ritenuto fondate anche le censure sollevate contro il provvedimento impugnato, sotto il profilo del difetto di motivazione, nella parte in cui l'Amministrazione "sempre richiamando genericamente il contenuto di cui all'art. 17 norme di att. P.R.G. cit., denega autorizzazione alla piantumazione di cui alla comunicazione protocollata in data 25/9/2008 prot.15219".
Con riferimento infine alle censure sollevate nei confronti di quella parte del provvedimento impugnato che denega la sanatoria delle ulteriori opere abusive contestate e delle quali è stata intimata la demolizione, il TAR ha distinto. Ha ritenuto fondate (per le medesime ragioni fatte valere per le parti del provvedimento già considerate) le censure in ordine ad una parte delle opere in oggetto (manufatto adibito a ricovero del motore per l'assunzione dell'acqua dalla sottostante cisterna; realizzazione di muri di contenimento in pietra; realizzazione di scarichi di acque reflue), mentre ha respinto quelle relative alle altre (realizzazione di una piattaforma in cls delle dimensioni di mt. 11,00 x 7,30; posa in opera sulla predetta piattaforma di due prefabbricati in legno adibiti a bagno e cucinotto; realizzazione di una parete attrezzata in pietra con box doccia lavabo e quant'altro meglio descritto nel provvedimento), ritenendo che le opere in questione integrino le violazioni contestate.
Avverso tale decisione propone appello il ricorrente originario che ne chiede la riforma nella parte sfavorevole, riproponendo le censure alle corrispondenti parti del provvedimento impugnato già avanzate in primo grado.
(Torna su   ) Diritto
D I R I T T O
L'appello è infondato.
Afferma l'appellante che le opere delle quali è stata negata la possibilità di sanatoria (e cioè: realizzazione di una piattaforma in cls delle dimensioni di mt. 11,00 x 7,30; posa in opera sulla predetta piattaforma di due prefabbricati in legno adibiti a bagno e cucinotto; realizzazione di una parete attrezzata in pietra con box doccia lavabo e quant'altro meglio descritto nel provvedimento) realizzerebbero in realtà interventi di manutenzione degli assetti esistenti e di ripristino ambientale. Esse non determinerebbero creazione di superfici o volumi utili, prevederebbero l'impiego di materiali compatibili con le esigenze di salvaguardia ambientale e risponderebbero a finalità strumentali alle necessità di quanti si devono recare sul fondo per curarne la necessaria manutenzione.
L'assunto non può essere condiviso.
La realizzazione della piattaforma in calcestruzzo costituisce, per consolidato orientamento giurisprudenziale, un intervento di irreversibile modificazione dello stato naturale dei luoghi ed integra pertanto, come ha osservato il Giudice di primo grado, attività di trasformazione urbanistica ed edilizia, che non può realizzarsi senza apposita concessione.
Allo stesso modo, la collocazione di prefabbricati in legno e la realizzazione della parete attrezzata in pietra con box doccia, lavabo e quant'altro, sono attività tutte da considerare come interventi di "nuova costruzione". Essi prefigurano una utilizzazione dei luoghi incompatibile con quella fissata dagli strumenti vigenti di pianificazione territoriale. Le strutture in oggetto (indipendentemente dai materiali con i quali sono realizzate) sono strutture che si connotano (prefabbricati in legno) come "abitazioni o ambienti di lavoro" o anche come "depositi, magazzini e simili" ovvero (box doccia, lavabo e quant'altro) per essere dirette a soddisfare - in combinazione con la esistenza delle prime - non già esigenze momentanee o strumentali alla mera presenza occasionale dell'uomo sul fondo per le finalità della manutenzione di esso, ma esigenze piuttosto strumentali ed accessorie di quelli abitative configurate attraverso i prefabbricati in legno. Le opere realizzate appaiono sorrette (nella loro connessione complessiva) da finalità che non sono modificate dall'impiego (per le principali) di materiale legnoso, essendo funzionalmente del tutto identiche a quelle che potrebbero essere conseguite attraverso la utilizzazione di materiali più tipicamente "edilizi" (C.d.S. n. 986/2011). Ciò che rileva, per la loro qualificazione, non sono insomma i materiali con i quali gli "insediamenti" in questione sono realizzati, ma le caratteristiche funzionali dei medesimi e il loro conseguente integrare opere artificiali dell'uomo ("costruzioni") dirette a permettere uno sfruttamento abitativo dell'ambiente.
Infondate sono anche le ulteriori censure sollevate in ordine sia alla motivazione del provvedimento impugnato, che al preteso vizio del medesimo sotto il profilo dell'eccesso di potere per contraddittorietà.
Dal primo punto di vista, deve infatti osservarsi che la esistenza di una motivazione "stringata" (come l'ha qualificata il Giudice di primo grado) non contrasta con l'onere di fornirla. Ciò che rileva è la possibilità per l'interessato di comprendere l'iter logicogiuridico attraverso il quale l'Amministrazione perviene alle sue conclusioni. E, nella specie, il richiamo contenuto nel provvedimento alla contrarietà delle opere in questione con l'art. 17 NTA del PRG - il cui testo viene estesamente riprodotto nel corpo del provvedimento nelle parti in cui esso, da un lato, enuncia il divieto di "nuova edificazione" e, dall'altro, legittima per contro l'attività di "manutenzione" - appare sufficiente ad esplicitare le ragioni "giuridiche" e "fattuali" per le quali il provvedimento veniva adottato: gli interventi contestati non possono considerarsi di manutenzione ed integrano anche "nuova edificazione". Benché dunque - come esattamente ha giudicato il TAR - una parte degli interventi contestati non avrebbero dovuto essere denegati (perché appunto configurabili invece come compresi tra quelli consentiti), una parte (quelli oggi in discussione) sono stati invece legittimamente denegati, per la ragione contenuta nella "stringata" motivazione (l'essere essi in contrasto con la disposizione riportata nel provvedimento non per intero, ma nelle parti considerate rilevanti e perciò costituenti "motivazione" del diniego addottato).
Dal secondo punto di vista (eccesso di potere per disparità di trattamento), vale quanto già osservato dal Giudice di primo grado. A giustificare un provvedimento di diniego di condono edilizio costituisce, per notoria e consolidatissima giurisprudenza, ragione sufficiente e necessaria la sua contrarietà alle norme di riferimento, che lo fa connotare come esercizio di un potere vincolato al quale non può essere pertanto di ostacolo la eventuale mancata repressione di analoghi illeciti realizzati in aree vicine e nei confronti del quale non è, conseguentemente, nemmeno astrattamente configurabile il vizio di disparità di trattamento.
Per tali premesse, l'appello deve considerarsi infondato e deve essere respinto.
Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
(Torna su   ) P.Q.M.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l'appello. Condanna l'appellante alle spese del giudizio, che liquida in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Palermo il 7 novembre 2012 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l'intervento dei Signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Guido Salemi, Vincenzo Neri, Giuseppe Mineo, Alessandro Corbino, estensore, componenti.
F.to Riccardo Virgilio, Presidente
F.to Alessandro Corbino, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 22 GEN. 2013
Avv. Antonino Sugamele

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