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Sentenza

Risarcimento danni per volo cancellato. Una viaggiatrice fa causa al gestore dell'Aeroporto e ottiene sentenza di condanna. Il gestore fa appello ma la viene rigettato perchè inammissibile essendo la pronuncia secondo equità. La Cassazione annulla ciò che conta è la domanda non la decisione, quindi, l'appello era ammissbile.
Risarcimento danni per volo cancellato. Una viaggiatrice fa causa al gestore dell'Aeroporto e ottiene sentenza di condanna. Il gestore fa appello ma la viene rigettato perchè inammissibile essendo la pronuncia secondo equità. La Cassazione annulla ciò che conta è la domanda non la decisione, quindi, l'appello era ammissbile.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 24 settembre - 4 ottobre 2013, n. 22759
Presidente Berruti – Relatore Giacalone

In fatto e in diritto

1. N..S. conveniva in giudizio dinanzi al Giudice di pace di Milano la S.p.A. Esercizi Aeroportuali (S.E.A.), quale società gestore degli Aeroporti di Milano, per sentirla condannare, in via solidale con la Srilankan Airlines Ltd., al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della decisione di quest'ultimo vettore di cancellare il volo, con destinazione Colombo, la cui partenza era prevista per il (omissis) , ore 15.15, dall'aeroporto della .... A seguito di tale decisione, dovuta al ritardo nello sgombero delle piste dalla neve, l'attrice assumeva di essere stata costretta a differire la propria partenza di 24 ore e sarebbe giunta a destinazione, considerata la perdita della coincidenza, nella (omissis) in data (omissis) . Per tali circostanze, riferiva di aver subito un danno pari a lire 1.914.000, e chiedeva la condanna dei convenuti al pagamento di "quel maggiore o, denegatamente, minore importo che risulterà in corso di causa o che sia ritenuto di giustizia, ricorrendo per i danni non quantificabili nel loro preciso ammontare alla valutazione equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 cod. civ. e comunque entro i limiti di competenza per valore del giudice adito".
Il Giudice di pace, con sentenza del 16.01.2001 (data poi corretta dal medesimo giudice con ordinanza in 16.01.2003), depositata il 28/01/2003, in accoglimento delle domande attorce, condannava la S.E.A. al risarcimento di Euro 516,46 oltre spese legali. Riconosciuta la sussistenza della legittimazione passiva della S.E.A., la responsabilità della perdita dei due giorni di vacanza era da addebitare a questa, avendo ritardato, seppur di tre ore, lo sgombro della neve dalle piste e la pulizia degli aeromobili. Il fenomeno nevoso, oltre ad essere regolare nella zona, era previsto nei giorni precedenti. L'obbligo della S.E.A. di impedire l'evento nasceva, oltre che da una clausola contrattuale, anche da una specifica situazione esigente una determinata attività a tutela del diritto altrui.
1.1. Avverso detta sentenza, proponeva appello S.E.A. lamentando, in via pregiudiziale la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c.. In via preliminare, ribadiva il proprio difetto di legittimazione passiva. Nel merito, chiedeva in via principale, in totale riforma della sentenza di primo grado, il rigetto della domanda attorca. In subordine, se accertata la propria responsabilità, chiedeva di condannare la Srilankan Airlines Ltd. a tenerla indenne da quanto versato all'attrice.
1.2. Nelle more del procedimento, con ricorso del 07/04/2003, la S. chiedeva la Giudice di pace di correggere i presunti errori materiali contenuti nella sentenza. Il Giudice di pace, accogliendo l'istanza, correggeva in parte la motivazione sostituendo le "parole in via equitativa" alle pagina 11, righi 11, 12, 14, 15, 16 e alla pagina 12, righi 4, 5, 6, con "secondo equità". Inoltre, correggeva la data di emissione della sentenza. Avverso detto provvedimento di correzione, proponeva appello la S.E.A., chiedendo in via pregiudiziale la riunione dello stesso con quello spiegato avverso la sentenza poi corretta. Nel merito, chiedeva l'eliminazione degli effetti dell'ordinanza di correzione, con conseguente dichiarazione che la sentenza n. 906/2003 non era stata pronunciata secondo equità ex art. 113 c.p.c..
2. Con la sentenza oggetto della presente impugnazione (Tribunale di Milano 20/08/2007), veniva dichiarato inammissibile l'appello, poiché proposto avverso una decisione del Giudice di Pace resa secondo equità. Rientrando la causa nel limite inferiore, per valore, previsto dall'art. 113 c.p.c. e trattandosi di causa decisa con provvedimento del giudice di pace pubblicato certamente prima dell'entrata in vigore della modifica apportata all'art. 339 dall'art. 1 D.Lgs. 40/2006, ai sensi dell'art. 27 del citato decreto legislativo, al caso in esame doveva trovare applicazione la previgente disciplina. La sentenza impugnata, quindi, avrebbe potuto formare oggetto di ricorso per cassazione. Ad analoga conclusione poteva giungersi anche avverso l'ordinanza che ha disposto la correzione.
3. Ricorre per cassazione S.E.A. sulla base di otto motivi di ricorso, illustrati con memoria; resiste con controricorso la S. .
3.1. Con il primo motivo, relativo ai profili di censura della sentenza di appello qui impugnata, n. 9596/07 emessa dal Tribunale di Milano, la società ricorrente lamenta "nullità della sentenza per violazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell'art. 339 c.p.c.". La sentenza di primo grado sarebbe stata pronunciata secondo diritto e non secondo equità. Il giudice territoriale non si sarebbe avveduto che la S. aveva modificato le proprie domande in sede di precisazione delle conclusioni dinanzi al giudice di pace, riducendo il valore della domanda entro il limite del giudizio di equità. Tale mutazione dell'oggetto del giudizio sarebbe stato effettuato in violazione delle preclusioni e decadenze che caratterizzano il rito in oggetto. Il Tribunale avrebbe, pertanto, erroneamente dichiarato inammissibile l'appello. Formula al riguardo i seguente quesiti "vi è stata violazione o falsa applicazione dell'art. 113 c.p.c. allorquando il Giudice d'appello ha ritenuto operante la presunzione di decisione secondo equità della controversia?" - "Vi è stata carenza di motivazione in merito ad un punto fondamentale della controversia, allorquando il giudice d'appello ha omesso di pronunciarsi in merito alla modifica delle conclusioni operate dalla difesa di parte attrice nel procedimento dinanzi al giudice di pace?".
3.2. Cin i motivi dal secondo al settimo, la società ricorrente vengono propone una serie di censure rivolte alla sentenza di primo grado del giudice di pace n. 906/03, in funzione dell'eventuale decisione nel merito della controversia, una volta accolto l'appello in conseguenza dell'accoglimento del primo motivo del presente ricorso per cassazione.
Sui profili di censura della sentenza n. 906/03 emessa dal Giudice di Pace di Milano lamenta:
3.3. Con l'ultimo motivo di ricorso, qualora questa Corte dovesse accogliere il ricorso con decisione nel merito, la società ricorrente chiede la ripetizione delle somme versate.
4. Il primo motivo di ricorso è fondato per le considerazioni che seguono.
4.1. Anzitutto, va ribadito che l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace avviene in funzione della domanda proposta, e non del contenuto concreto della decisione (Cass. 11 dicembre 2003, n. 18942, nonché, recentemente, Cass. 6 aprile 2006, n. 8040).
4.2. Premesso quanto sopra si osserva che - al fine di verificare se la sentenza resa dal giudice di pace sia suscettibile di appello o, piuttosto, di ricorso per cassazione - occorre far riferimento esclusivamente alla "domanda" come formulata nell'atto introduttivo del giudizio, senza che assuma alcun rilievo la riduzione del petitum eventualmente operata dall'attore in sede di precisazione delle conclusioni, in quanto il momento determinante ai fini della individuazione della competenza è quello della proposizione della domanda (cfr. Cass. 12 luglio 2005, n. 14586).
4.3. Al riguardo, per verificare se la domanda sia, o meno, nei limiti fissati dal ricordato art. 113 c.p.c. perché la sentenza debba ritenersi emessa secondo equità devono utilizzarsi le regole dettate dal codice di rito per la determinazione del valore della causa (tra le altre cfr. Cass. 15 giugno 2004, n. 11258).
4.4. Deriva da quanto precede, pertanto, che quando, la domanda abbia ad oggetto, anche in via subordinata, una somma di denaro non determinata ma orientativamente indicata in quella maggiore o minore conforme a giustizia, essendo indeterminata la domanda si presume, ai sensi dell'art. 14 c.p.c., u.c., pari al limite massimo della competenza per valore del giudice adito, limite entro il quale la pronunzia di condanna va contenuta per non incorrere nel vizio d'ultrapetizione, rimanendo escluso che essa possa considerarsi resa in base ad equità (Cass. 18 gennaio 2005, n. 899. Sempre nello stesso senso e per il rilievo che nell'ipotesi in cui una domanda di risarcimento danni venga proposta avanti al giudice di pace con la richiesta della condanna della controparte al pagamento di un importo indicato in una somma inferiore al limite della giurisdizione equitativa del giudice di pace "ovvero della somma maggiore o minore che risulti dovuta all'esito del giudizio", la formulazione di questa seconda richiesta alternativa non può essere considerata - agli effetti dell'art. 112 c.p.c. - come meramente di stile, in quanto essa, come altre consimili, lungi dall'avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull'ammontare del danno effettivamente da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all'ammontare della somma determinata che venga indicata nelle conclusioni specifiche, Cass. 11 luglio 2006, n. 15698, nonché Cass. 24 gennaio 2006, n. 1313).
4.5. Si deve, pertanto, ribadire il principio secondo cui, "nel giudizio innanzi al giudice di pace, qualora la domanda avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni sia proposta con l'espressa indicazione della quantificazione del danno in Euro 988,50, oppure nella somma che risulterà dovuta e comunque entro i limiti della competenza per valore di detto giudice, deve escludersi che la stessa sia stata contenuta entro il limite stabilito dall'art. 113 cod. proc. civ. per la decisione della causa secondo equità e, conseguentemente, la sentenza è impugnabile con l'appello, non con il ricorso per cassazione, non rilevando in contrario che l'attore, in sede di precisazione delle conclusioni, abbia contenuto la domanda entro detto limite, dato che il momento determinante ai fini dell'individuazione della competenza è quello della proposizione della domanda" (Cass. n. 8075/2006).
4.6. Applicando tale principio al caso di specie, non si può ritenere la decisione del Giudice di pace emessa secondo equità. Tale pronuncia non era, infatti, consentita a detto giudice di primo grado, poiché il valore della domanda eccedeva il limite di due milioni di lire, ratione temporis applicabile in virtù del secondo comma dell'art. 113 c.p.c. L'allora attore, aveva quantificato il valore della domanda nei seguenti termini "pagamento di quel maggiore o, denegatamente, minore importo che risulterà in corso di causa o che sia ritenuto di giustizia, ricorrendo per i danni non quantificabili nel loro preciso ammontare alla valutazione equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 cod. civ. e comunque entro i limiti di competenza per valore del giudice adito". Dal tenore di tale quantificazione, si ricava che la S. non limitò la sua domanda al fine di far pronunciare il Giudice secondo equità, entro il limite massimo di due milioni di lire, ma limitò la domanda semplicemente entro il limite di competenza per valore del giudice di pace, (nello stesso senso, cfr. Cass. n. 899/2005; n. 24902/2005; n. 8075/2006; 13088/2007, in motivazione; n. 15728/2010, queste ultime due relative al medesimo contratto oggi dedotto, sia pure in relazione ad altro passeggero).
4.7. Da ciò consegue che la sentenza era impugnabile con il mezzo dell'appello, anziché con il ricorso per cassazione e che, pertanto, dichiarando inammissibile il gravame, il Tribunale è incorso nella dedotta violazione dell'art. 339 c.p.c..
5. L'accoglimento del primo motivo assorbe ogni decisione in ordine agli altri motivi, considerato che le questioni con essi sollevate non sono riferibili alla sentenza impugnata, ma riguardano la decisione di primo grado ed i suoi di profili di merito. Non ricorrendo, nel caso di specie, le condizioni per una decisione nel merito, non possono esaminarsi le ragioni fatte valere con detti altri motivi, che restano assorbite e dovranno essere esaminate dal giudice di rinvio, dovendo formare oggetto del nuovo esame del gravame devoluto allo stesso.
6. In accoglimento del primo motivo di ricorso, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata per la decisione sul merito dell'appello - anche ai fini delle spese del presente giudizio di legittimità - al Tribunale di Milano in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Milano in persona di diverso magistrato.
Avv. Antonino Sugamele

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