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Sentenza

Procedimento disciplinare a carico di un magistrato di tribunale militare. Rigettata l'eccezione di incostituzionalità sulla composizione del Consiglio della magistratura militare.-
Procedimento disciplinare a carico di un magistrato di tribunale militare. Rigettata l'eccezione di incostituzionalità sulla composizione del Consiglio della magistratura militare.-
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 8 ottobre - 20 novembre 2013, n. 26033
Presidente Rovelli – Relatore Bucciante

Ragioni di fatto e di diritto della decisione

Con la sentenza indicata in epigrafe il Consiglio della magistratura militare ha inflitto la sanzione disciplinare della censura al Dott. M..D.L. , presidente del Tribunale militare di ...., dichiarandolo responsabile di “comportamento gravemente scorretto nei confronti di chiunque abbia rapporti con il magistrato nell'ambito dell'ufficio giudiziario (art. 2, comma 1, lett. d) D. Lg.vo 109/2006) perché il giorno 29 settembre 2011, all'interno della camera di consiglio del Tribunale Militare di ..., durante la sospensione di un'udienza dibattimentale, con atteggiamento aggressivo e minaccioso - o, comunque, ragionevolmente percepito come tale dalla destinataria anche alla luce del ruolo di capoufficio rivestito dal Dott. D.L. - (tono di voce particolarmente elevato, dito puntato, frasi del tipo ... Mi ricorderò di questo fatto... e mi ricorderò anche di te) inveiva contro la Dott.ssa F..F. , magistrato militare addetto all'Ufficio di Segreteria del Consiglio della Magistratura Militare (funzione che impone specifici doveri di riservatezza sui lavori delle Commissioni consiliari) e all'epoca anche giudice presso quel Tribunale Militare, manifestandole ingiustificato risentimento per non avergli ella comunicato per le vie brevi l'esito della riunione della Commissione Affari Generali del Consiglio della Magistratura Militare che il precedente giorno 27 aveva deliberato in merito alla richiesta di autorizzazione ad incarico extragiudiziario presentata dallo stesso Dott. D.L. ”.
A tale pronuncia il Consiglio è pervenuto ritenendo: - la conformità alla Costituzione delle disposizioni relative alla propria composizione; la sussistenza dei fatti come addebitati all'incolpato; - la loro qualificabilità come comportamento gravemente scorretto; - la loro non scarsa rilevanza.
Il Dott. M..D.L. e il suo difensore hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, ognuno in base a quattro motivi. Il Ministro della difesa non ha svolto attività difensive in questa sede.
L'art. 67 del codice dell'ordinamento militare, adottato con il d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, dispone che “il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati militari è regolato dalle norme in vigore per i magistrati ordinari”.
Queste sono contenute nel d. lgs. 23 marzo 2006, n. 109, il cui art. 24 stabilisce che il ricorso per cassazione contro le sentenze della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura si propone “nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale”, anche se viene poi deciso dalle sezioni unite civili della Corte. Sono quindi ammissibili - e vanno entrambi esaminati, previa loro riunione: v. Cass. s.u. 21 dicembre 2012 n. 23856 - sia l'atto di impugnazione presentato il 10 gennaio 2013 personalmente dal Dott. D.L. , sia quello presentato il giorno successivo dal difensore che a tal fine egli aveva nominato.
Con il primo viene preliminarmente eccepita “l'illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 104 e 108, comma 2, 117 comma 1 della Costituzione, della disciplina sulla composizione del Consiglio della Magistratura Militare come prevista dall'art. 60 D.Lgs. n. 66 del 15 marzo 2010 (noto come Codice dell'ordinamento militare) nella parte in cui non prevede che i componenti elettivi del Consiglio della Magistratura Militare siano in numero tale da costituire la maggioranza rispetto al numero complessivo dei componenti di tale Organo di autogoverno”.
La disposizione di cui si tratta stabilisce che “il Consiglio della magistratura militare... è composto da: a) il primo presidente della Corte di Cassazione, che lo presiede; b) il procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione; c) due componenti eletti dai magistrati militari; d) un componente estraneo alla magistratura militare, scelto d'intesa tra i Presidenti delle due Camere, fra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno quindici anni di esercizio professionale, che assume le vesti di vice presidente del Consiglio”.
Secondo il ricorrente questa disciplina contrasta con i principi costituzionali sia di uguaglianza, sia di indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, sia di rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, perché pone i componenti elettivi in minoranza, instaurando un rapporto numerico inverso rispetto a quello previsto per il Consiglio superiore della magistratura; non assicura, pertanto, l'esenzione dei magistrati militari da condizionamenti esterni; si discosta inoltre dalla raccomandazione emessa il 17 novembre 2010 dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, con cui si è prescritto che negli organi di autogoverno delle magistrature almeno la metà dei membri siano giudici scelti dai loro colleghi.
La questione è rilevante in questo giudizio, poiché gli artt. 61, 62 e 67 del citato codice dell'ordinamento militare attribuiscono allo stesso Consiglio della magistratura militare la competenza in materia disciplinare (senza però la partecipazione del procuratore generale, il quale esercita le funzioni di pubblico ministero) e dispongono che le deliberazioni “sono adottate a maggioranza e per la loro validità è necessaria la presenza di almeno tre componenti, di cui uno elettivo” e “a parità di voti prevale il voto del presidente”. Nella specie la sentenza impugnata è stata deliberata da un collegio formato dal primo presidente della Corte di cassazione, dal membro "laico" e da uno dei magistrati elettivi. Ove la questione fosse accolta dalla Corte costituzionale, pertanto, si imporrebbe la cassazione della decisione, per illegittima costituzione del giudice.
L'eccezione formulata dal ricorrente è però manifestamente infondata, come è stato ritenuto, nel giudizio a quo, dal Consiglio della magistratura militare, il quale se l'è posta di ufficio ma l'ha disattesa, “dal momento che rimane sempre immancabilmente assicurata la prevalenza dei componenti togati rispetto all'unico membro laico”.
La Corte costituzionale già è stata investita di una analoga questione, relativa alla composizione del Consiglio di presidenza della Corte dei conti: questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con riferimento all'art. 11 comma 8 della legge 4 marzo 2009, n. 15 “nella parte in cui prevede che la componente eletta dai magistrati contabili sia numericamente uguale a quella rappresentativa del Parlamento e non sia garantita la presenza maggioritaria dei rappresentanti dei magistrati della Corte dei conti in seno all'organo di autogoverno, quanto meno mediante la previsione di un rappresentante in più rispetto al numero dei rappresentanti del Parlamento”. Con la sentenza 13 gennaio 2011 n. 16 il giudice delle leggi ha dichiarato inammissibile la questione, reputandola inficiata da “incertezza del petitum”, ma ha comunque osservato: che organi di garanzia dell'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali debbono necessariamente essere istituiti, in attuazione dell'art. 108 Cost.; che ad essi non occorre però estendere integralmente il modello previsto dall'art. 104 Cost. per la magistratura ordinaria; che “degli organi suddetti debbono necessariamente far parte sia componenti eletti dai giudici delle singole magistrature, sia componenti esterni di nomina parlamentare”; che “nel rispetto del principio costituzionale di cui sopra, il rapporto numerico tra membri togati e membri laici, di nomina parlamentare, può essere variamente fissato dal legislatore”.
L'istituzione di organi di governo autonomo di ognuna delle giurisdizioni speciali è dunque senz'altro dovuta, perché è vero che “l'indipendenza è... forma mentale, costume, coscienza di identità professionale”, ma “in mancanza di adeguate, sostanziali garanzie, essa... degrada a velleitaria aspirazione”; è necessario inoltre che ne facciano parte membri sia elettivi togati, sia di nomina parlamentare, “nel bilanciamento degli interessi, costituzionalmente tutelati, ad evitare tanto la dipendenza dei giudici dal potere politico, quanto la chiusura degli stessi in caste autoreferenziali”. È tuttavia discrezionale, invece, la scelta del rapporto tra il numero dei componenti togati e quello dei laici, purché sia operata nel rispetto del principio costituzionale che esige l'assicurazione di una effettiva indipendenza dei magistrati delle giurisdizioni speciali, perché anch'essi siano realmente soggetti soltanto alla legge, come è prescritto per tutti i giudici dall'art. 101 Cost..
È palese che al raggiungimento di questa finalità non osta la disciplina della composizione, in particolare in sede disciplinare, del Consiglio della magistratura militare: comunque il collegio sia formato - da quattro o da tre giudicanti - il "laico" che eventualmente vi partecipa si trova in ogni caso in posizione di minoranza rispetto agli altri - rispettivamente tre o due - "togati". Che poi tra questi ultimi possa esservi, come è avvenuto nella specie, il primo presidente della Corte di cassazione, evidentemente non implica una sia pure solo potenziale compromissione dell'indipendenza dei magistrati militari, che possa in ipotesi condizionarli nell'esercizio della loro funzione. Si tratta comunque di un "togato", posto al vertice dell'ordine giudiziario, che viene nominato da un organo pienamente autonomo quale il Consiglio superiore della magistratura e neppure è del tutto estraneo alla giustizia militare, dato che i provvedimenti di questa sono soggetti al sindacato di legittimità della Corte di cassazione (art. 6 della legge 7 maggio 1981, n. 180).
Risulta quindi senz'altro arbitraria la tesi del ricorrente, secondo cui l'indipendenza dei giudici militari non è adeguatamente assicurata, in quanto nel Consiglio della magistratura militare i componenti togati elettivi non sono “in numero tale da costituire la maggioranza rispetto al numero complessivo dei componenti”. Il confronto va effettuato invece con riferimento al(l'unico) membro di nomina parlamentare, che è il solo esponente di quell'ambiente esterno, dalle cui ingerenze la Costituzione vuole che i giudici siano salvaguardati: ingerenze che potrebbero effettivamente paventarsi, ove i membri laici fossero in maggioranza negli organi di garanzia delle magistrature, poiché risulterebbero determinanti nel governo di queste e in grado quindi di interferire indirettamente nell'esercizio della giurisdizione, che deve essere libero da ogni potenziale condizionamento. Ma un tale pericolo è da escludere nel caso del Consiglio della magistratura militare, che è formato da un solo componente di estrazione politica e per il resto da magistrati, anche se non tutti elettivi. Del resto la Costituzione stessa, nel disporre in ordine alla composizione del Consiglio superiore della magistratura, che rappresenta il parametro di riferimento degli altri organi di garanzia dei giudici speciali, vi ha incluso come membri di diritto i magistrati di livello apicale dell'ordine giudiziario, come strumento di raccordo tra le funzioni ordinamentali e quelle giurisdizionali nell'amministrazione della giustizia.
L'esito della delibazione che in questa sede deve essere compiuta circa la questione di legittimità costituzionale prospettata dal Dott. M..D.L. , con riferimento agli artt. 3, 104 e 108 Cost., è dunque nel senso della sua manifesta infondatezza: la Costituzione non impone che le garanzia di indipendenza da assicurare al giudici delle giurisdizioni speciali siano identiche o corrispondenti a quelle stabilite per i magistrati ordinari, quanto alla composizione dei relativi organi di garanzia e in particolare relativamente al rapporto tra il numero dei membri togati elettivi e quello degli altri componenti; la composizione del Consiglio della magistratura militare, stabilita in cinque membri, dei quali due togati elettivi, non comporta lesioni dell'indipendenza dei giudici militari, poiché degli altri componenti uno soltanto è di provenienza politica e due sono magistrati, anche se chiamati a far parte di diritto dell'organo.
Quanto poi alla dedotta violazione della raccomandazione CM/Rec (2010) 12, emessa il 17 novembre 2010 dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, con cui si è prescritto che negli organi di autogoverno delle magistrature “almeno la metà dei membri... devono essere i giudici scelti da parte dei loro colleghi di tutti i livelli del sistema giudiziario e nel rispetto del pluralismo all'interno del sistema giudiziario”, è sufficiente rilevare che la tipologia dell'atto esclude che abbia carattere normativo vincolante e che quindi la sua inosservanza - secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza inaugurata dalla Corte costituzionale con le sentenze 24 ottobre 2010 n. 348 e 349 - possa costituire ragione di illegittimità derivata, per il mancato rispetto del principio di adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi internazionali, sancito dall'art. 117 Cost..
Nei due ricorsi vengono formulate censure che si compendiano nell'assunto secondo cui il giudice a quo ha erroneamente e ingiustificatamente ritenuto che il Dott. M..D.L. avesse effettivamente tenuto il comportamento addebitatogli, che esso fosse qualificabile come illecito disciplinare e che non avesse avuto scarsa rilevanza.
La doglianza non può essere accolta.
Si verte in tema di accertamenti di fatto e di apprezzamenti di merito, sindacabili in questa sede soltanto sotto il profilo della congruità della motivazione. Ma questa risulta esente da ogni vizio, poiché nella sentenza impugnata si è dato conto in maniera esauriente e logicamente coerente delle ragioni della decisione.
Il Consiglio della magistratura militare ha ritenuto che l'episodio si è realmente svolto nei termini in cui è stato contestato all'incolpato, accuratamente esaminando e approfonditamente vagliando le deposizioni assunte, alla luce delle quali è pervenuto alla conclusione che non ne è risultato smentito, ma anzi avvalorato, ciò che nell'immediatezza dell'episodio la Dott. F.F. aveva esposto in una dettagliata relazione scritta indirizzata al magistrato direttore dell'ufficio di segreteria del Consiglio della magistratura militare e che ha poi puntualmente ribadito nelle successive sue audizioni. La diversa e opposta interpretazione di tali risultanze, prospettata dal Dott. M..D.L. e dal suo difensore come unicamente o maggiormente attendibile, non può costituire idonea ragione di cassazione della sentenza impugnata, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità, che non consentono a questa Corte di compiere valutazioni eminentemente di merito, come quelle che con i ricorsi in esame si pretende in sostanza di demandarle.
Anche la qualificazione del fatto come comportamento gravemente scorretto ha formato oggetto di adeguata motivazione, essendo stata argomentatamente desunta dai vari elementi che hanno caratterizzato la vicenda, come, principalmente, i ruoli rivestiti dai suoi protagonisti (l'uno presidente, l'altra giudice nello stesso ufficio giudiziario), i motivi che l'hanno originata (l'ingiustificato risentimento per una presunta omissione), l'ambiente in cui si è svolta (la camera di consiglio adiacente all'aula di udienza del Tribunale militare di Napoli), le sue modalità (la violenza dell'aggressione verbale posta in essere nei confronti della Dott. F..F. ): elementi tutti che ampiamente giustificano la sussunzione dell'episodio nella previsione della disposizione richiamata nel capo di incolpazione.
Infine, anche l'esclusione della scarsa rilevanza del fatto - e quindi della sua non configu-rabilità come illecito disciplinare, ai sensi dell'art. 3-bis del d.lgs. 23 marzo 2006, n. 109 - è stata correttamente spiegata dal Consiglio della magistratura militare, che ha affrontato la questione d'ufficio e l'ha risolta negativamente, in base a plausibili considerazioni relative alla differenza di età, di anzianità professionale e di funzioni tra gli interessati, alla presenza e al coinvolgimento di altri magistrati, alla mancata resipiscenza del Dott. M..D.L. , che non ha aderito all'invito, ripetuta-mente rivoltogli da un collega ed amico, di scusarsi con la destinataria delle proprie intemperanze.
Per questi motivi i ricorsi vengono rigettati.
Non vi è da provvedere sulle spese del giudizio, in quanto il Ministro della difesa non vi ha attivamente partecipato.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta.
Avv. Antonino Sugamele

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