Porta fuori dall'abitazione una carabina ad aria compressa - marca Diana modello Phanter cal. 4,5. E' uno strumento atto ad offendere quindi è reato.
Cassazione penale sez. I
Data:
18/06/2013 ( ud. 18/06/2013 , dep.27/08/2013 )
Numero:
35571
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BARDOVAGNI Paolo - Presidente -
Dott. CAVALLO Aldo - rel. Consigliere -
Dott. CAPOZZI Raffaele - Consigliere -
Dott. BARBARISI Maurizio - Consigliere -
Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
E.M. N. IL (OMISSIS);
D.B.F. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 609/2012 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
01/10/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Iacoviello
Francesco Mauro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
udito il difensore avv. Magno Maria Beatrice, la quale ha concluso
per l'accoglimento del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. E.M. e D.B.F., impugnano autonomamente, per il tramite dei rispettivi difensori di fiducia, la sentenza deliberata il 1 ottobre 2012 dalla Corte d'Appello di Cagliari, che ha confermato quella emessa dal Tribunale della sede, che li aveva condannati alla pena di mesi due di arresto ed Euro 100,00 di ammenda, siccome ritenuti colpevoli del reato previsto e punito dall'art. 110 c.p. e L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 2, perchè, senza giustificato motivo, portavano fuori dalla propria abitazione una carabina ad aria compressa marca Diana modello Phanter cal. 4,5 matr. (OMISSIS), strumento atto ad offendere; fatto accertato in località (OMISSIS).
2. Secondo i ricorrenti la Corte territoriale, è pervenuta illegittimamente alla conferma della sentenza di condanna emessa dal primo giudice, avendo disatteso le argomentazioni difensive dirette ad escludere la sussistenza nella condotta degli imputati degli elementi costitutivi della contravvenzione ad essi contestata, con motivazioni solo apparenti, o comunque contraddittorie ed illogiche, violando le regole di valutazione delle risultanze probatorie (art. 192 c.p.p., commi 1 e 2).
2.1 La prima questione, in ordine logico, sollevata dai ricorrenti, e segnatamente nel ricorso proposto da E.M. - che secondo la ricostruzione dei giudici di merito, basata sulla deposizione del carabiniere S.D., era quello tra i due imputati notato dal militare sulla pubblica via, nel materiale possesso della carabina, di proprietà del D.B. - afferisce alla potenzialità offensiva dell'arma di cui trattasi, trattandosi di una carabina ad aria compressa di "libera vendita", erogando la stessa un'energia cinetica non superiore a 7,5 joule.
La circostanza che l'arma di cui è processo è di "scarsa potenzialità offensiva", doveva comportare, ad avviso della difesa di E.M., l'assoluzione del predetto ricorrente perchè il fatto non costituisce reato.
2.2 La seconda questione, sollevata in entrambi i ricorsi, afferisce all'esatta individuazione del luogo in cui l' E., all'epoca del fatto sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, era stato trovato in possesso della carabina ed il D.B. di una confezione di pallini.
Mentre infatti i giudici di merito hanno escluso che i ricorrenti si trovassero all'interno della fattoria degli E. o comunque in una pertinenza della stessa, non accessibile al pubblico, valorizzando al riguardo la deposizione del teste S., che sulla scorta di alcune fotografie e di una planimetria, ha precisato che gli imputati si trovavano su di una pubblica strada asfaltata (strada comunale (OMISSIS)), ad una distanza di circa dieci metri dall'abitazione di E.M., entrambi i ricorrenti contestano la fondatezza di tale assunto, che riposa sul solo dato del contenuto di una deposizione, quella dello S., recepita acriticamente dai giudici di merito e ritenuta non tranquillante, specie per quanto attiene l'individuazione, anche grafica, da parte del teste, del luogo in cui sì assume si trovassero gli imputati.
In particolare da parte del ricorrente D.B., muovendo dalla premessa in fatto che gli stessi giudici di appello riconoscono che gli imputati si trovavano su di un terreno agricolo nelle immediate adiacenze dell'abitazione dell' E., si sostiene che detto luogo andava senz'altro qualificato come una pertinenza della stessa, nel senso civilistico del termine; mentre da parte dell'altro imputato, all'epoca del fatto sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, quale ulteriore elemento indicativo dell'inesatta qualificazione del luogo di cui trattasi come pubblico o aperto al pubblico, si valorizza la circostanza che nell'occasione l' E. non era stato denunciato per evasione.
2.3 Con il terzo ed ultimo motivo d'impugnazione, da parte del solo ricorrente E., si deduce, infine, l'illegittimità della decisione impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione (mancanza o illogicità), relativamente al diniego delle attenuanti generiche, che nel caso di specie andavano senz'altro concesse, per meglio adeguare la sanzione alle peculiari connotazione del fatto e della personalità dell'imputato.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le impugnazioni proposte nell'interesse dell' E. e del D. B. sono entrambe inammissibili, perchè basate su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità o comunque manifestamente infondati.
1.1 Manifestamente infondato si rivela, in primo luogo, l'assunto difensivo, sviluppato nel ricorso proposto nell'interesse dell' E., secondo cui essendo la carabina ad aria compressa nel materiale possesso dell'imputato, un'arma "a modesta capacità offensiva", il predetto doveva essere senz'altro assolto dal reato ascrittogli, perchè il fatto non costituisce reato.
Al riguardo, è opportuno precisare, anzitutto - come già evidenziato, del resto, sia nella sentenza di primo grado che in quella di appello - che agli imputati non è stato contestato il porto in luogo pubblico di un'arma comune da sparo (punito dalla L. 14 ottobre 1974, n. 497, art. 12), ma bensì di uno strumento atto ad offendere (fatto punito ex L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 2).
Orbene, per quanto concerne le armi ad aria compressa che erogano un'energia cinetica non superiore a 7,5 joule, occorre considerare che, con D.M. Interno 9 agosto 2001, n. 362 (G.U. n. 231 del 4.10.2001), è stato emanato uno specifico regolamento che ne disciplina l'utilizzo. In particolare, se l'acquisto delle armi ad aria compressa di cui trattasi è consentito senza autorizzazione, ai soggetti maggiorenni muniti di valido documento di riconoscimento, non ne è, tuttavia, consentito il porto senza giustificato motivo.
L'utilizzo delle armi ad aria compressa che erogano energia non superiore a 7,5 joule è infatti consentito in poligoni o luoghi privati non aperti al pubblico, esclusivamente ai maggiori di età o a minori assistiti da soggetti maggiorenni, fatta salva la deroga per il tiro a segno nazionale (art. 9 D.M. cit.).
Il porto delle armi a "modesta capacità offensiva", in altri termini, è escluso dal D.L. 9 agosto 2001, n. 362. L'art. 10 di detta norma, infatti, consente il solo trasporto delle armi da esso contemplate, precisando, per altro, che durante il trasporto, esse debbono essere scariche ed in custodia; chi effettua il trasporto deve, inoltre, usare la massima diligenza (che vuoi significare anche, evitare di esibire pubblicamente l'arma o "portarla").
Nè la difesa dell' E. può utilmente invocare, a sostegno della richiesta di proscioglimento dell'imputato, il riferimento ad un precedente di questa Corte regolatrice (Sez. 1, sentenza n. 13601 del 23/03/2011 - dep. 05/04/2011, Boracchi, Rv. 249920), riferendosi esso al porto di una pistola giocattolo priva di tappo rosso, e non già al porto di una carabina ad aria compressa.
Con riferimento alla fattispecie di cui è processo, va invero ribadita la validità del principio, più volte affermato da questa Corte regolatrice, secondo cui le armi cosiddette "da bersaglio da sala" ad emissione di gas o ad aria compressa o a gas compressi sono escluse dalla categoria di quelle "comuni da sparo", e rientrano nella più ampia categoria di "armi" a cui fa riferimento la L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 1. (in tal senso, si veda, Sez. 1, n. 27783 del 11/05/2006 - dep. 03/08/2006, Martino, Rv. 234967).
1.2 Quanto poi all'ulteriore deduzione difensiva, prospettata in entrambi i ricorsi, secondo cui la sussistenza del reato andrebbe esclusa, in ogni caso, a ragione del decisivo rilievo che il luogo in cui l'arma di cui trattasi era stata notata nella disponibilità degli imputati non era pubblico o aperto al pubblico, ma una pertinenza dell'abitazione dell' E., è agevole rilevare che esso, così come prospettato, integra, in tutta evidenza, un motivo non consentito nel giudizio di legittimità.
In vero le argomentazioni svolte in entrambi i ricorsi relativamente all'inattendibilità delle dichiarazioni del teste S., che ad avviso dei giudici di merito ha individuato con precisione il punto in cui si trovava l' E. armato di una carabina come esterno all'abitazione dell'imputato e come accessibile a tutti in quanto non recintato, ripropongono una questione già esaminata e decisa dalla Corte territoriale e si sviluppano tutte lungo una direttrice di completa rivisitazione delle risultanze probatorie, delle quali è delineata una valutazione alternativa rispetto a quella operata dalla Corte territoriale, ovvero inconferente, quale quella incentrata sulla mancata contestazione all' E. dell'ulteriore reato di evasione.
Siffatta proposta rilettura delle emergenze fattuali della causa non è infatti esperibile nella odierna sede di legittimità, avuto riguardo alla completezza e linearità espositiva della sentenza impugnata e dei corretti passaggi argomentativi attraverso i quali la stessa ha concluso per la veridicità delle dichiarazioni del teste e la conseguente responsabilità penale degli imputati, non discostandosi, in particolare, la decisione impugnata da principi assolutamente consolidati nella giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo cui per "luogo aperto al pubblico" deve intendersi quello al quale chiunque può accedere a determinate condizioni, ovvero quello frequentabile da un'intera categoria di persone o comunque da un numero indeterminato di soggetti che abbiano la possibilità giuridica e pratica di accedervi senza legittima opposizione di chi sul luogo esercita un potere di fatto o di diritto (in tal senso, Sez. 1, n. 6880 del 02/05/1995 - dep. 14/06/1995, P.M. in proc. Pittelli, Rv. 201719, ed in piena continuità argomentativa, Sez. 1, n. 16690 del 27/03/2008 - dep. 22/04/2008, Bellachioma, Rv.
240116).
1.3 Manifestamente infondata si rivela, infine, anche la censura mossa alla sentenza impugnata dalla difesa di E.M. relativamente al diniego delle attenuanti generiche. Il ricorrente non considera, infatti, che rappresenta principio di diritto assolutamente consolidato (tra le molte pronunce in tal senso si veda Cass., sez. 2, sentenza n. 2285 dell'11/10/2004 - 25/1/2005, Alba, rv. 230691), quello secondo cui "ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo" e che tale obbligo di motivazione risulta certamente assolto nel caso in esame, avendo i giudici di appello, con plausibile motivazione, evidenziato come la condotta dell'imputato, che al momento di commissione del reato si trovava agli arresti domiciliari, integrava in effetti una reiterazione di comportamenti inosservanti delle prescrizioni di legge, così da non giustificare una ulteriore riduzione della pena inflitta dal primo giudice, evidentemente ritenuta congrua ed adeguata rispetto alla relativa gravità del fatto.
2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna per legge dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, ciascuno, di una somma, congruamente determinabile in Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende, in mancanza di elementi indicativi dell'assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000).
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento, ciascuno, della somma di Euro 1000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2013
16-11-2013 16:04
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