Per l'accusa un avvocato e la sua impiegata formano una falsa procura. La Cassazione replica: i giudici di merito debbono ricostruire il fatto.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 marzo – 11 giugno 2013, n. 25560
Presidente Ferrua – Relatore Bevere
Fatto e diritto
Con sentenza 19.10.09 il tribunale di Roma ha condannato l'avvocato Ma.Fa. e l'impiegata di studio P.M.P. , previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di 4 mesi di reclusione, perché ritenuti responsabili del reato,ex artt. 110 e 485 c.p.,per avere il primo, nella sua qualità di avvocato e la seconda quale autrice materiale, formato una falsa procura alle liti, apparentemente rilasciata da F..M.G. , a margine dell'atto di citazione dinanzi al giudice di pace di Roma, nei confronti di C.D. e della compagnia di assicurazione Augusta spa, in relazione ad un incidente stradale,atto depositato in cancelleria il 25.2.2000, di cui è stato fatto uso, con produzione all'udienza 5.5.2004, anche nell'ambito del giudizio promosso dal Ma. contro la M.G. , per il pagamento della parcella. Gli imputati sono stati anche condannati al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore della M.G. .
Con la medesima sentenza, il tribunale ha dichiarato l'estinzione per prescrizione del reato ex artt. 110 e 481 c.p., avente ad oggetto la falsa attestazione di autenticità della firma medesima. Con sentenza 28.3.2011, la corte di appello di Roma, in riforma della sentenza 19.10.09 del tribunale di Roma, ha assolto l'avvocato Ma.Fa. dal reato di falso ex artt. 110 e 485 c.p. e dal reato ex art. artt. 110 e 481 cp perché il fatto non costituisce reato, e ha revocato le statuizioni civili, contenute nelle sentenza impugnata, nei suoi confronti. Ha confermato la condanna nei confronti della Pisco alla pena di 4 mesi di reclusione, e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, liquidati in Euro 2000.
La parte civile ha presentato ricorso,ex art. 576 cpp, per i seguenti motivi, confermati con atto depositato il 9.6.2012:
1. violazione di legge : la corte ha fondato, tra l'altro, la propria decisione, utilizzando documentazione - irritualmente acquisita - riguardante altra vertenza, in cui parte era la stessa M. , assistita dal Ma. , vertenza del tutto estranea a quella oggetto del presente processo. Comunque anche negli atti prodotti e acquisiti non compare alcuna firma della parte civile, che ribadisce di non aver mai conosciuto e di non aver mai conferito mandato difensionale al predetto;
2. vizio di motivazione: la corte ha riconosciuto credibilità alla ricostruzione dei fatti, fornita dalla Pisco, secondo cui:
- la M. , amica della propria sorella, si era rivolta a lei impiegata presso lo studio Ma. , per ottenere il risarcimento di danni derivati da un incidente stradale da altri causato;
- la M. aveva redatto,in calce alla procura speciale al legale apposta a margine dell'atto di citazione, la propria firma, che, a seguito del danneggiamento dell'atto nella stampante, si era irrimediabilmente danneggiata;
- su richiesta dell'interessata, l'imputata, aveva apposto lei stessa la falsa firma, senza informare l'avvocato, che poi, inconsapevolmente l'aveva autenticata.
Secondo la ricorrente, è più credibile che Ma. e P. , lavorando insieme,anche prima del fatto, abbiano organizzato il colpo in suo danno, in quanto era stata definita la vertenza, con l'invio, da parte dell'assicurazione, il 7.12.1999, dell'assegno di L. 2.100, dopo che era stato firmato, non dall'assistita, un accordo transattivo il 26.1.1999,per i danni alla persona.
Il legale aveva svolto,senza mandato attività giudiziale (inizio, con iscrizione del 25.1.2000, prosecuzione con rinnovo della citazione del 15.12.2000, con citazione del teste,del 26.2.01, con redazione della comparsa conclusionale, depositata il 18.1.02), attività che - sfociata in sentenza di rigetto - aveva messo a carico dell'assistita. Questa attività era stata svolta, al solo scopo,quindi, di aumentare illegittimamente la parcella, essendo manifesto che:
- i danni alla persona erano stati risarciti;
- i danni del veicolo non potevano legittimamente essere richiesti, in quanto risultante di proprietà della società per cui lavorava la M. .
3. vizio di motivazione: la corte ha ritenuto che la M. abbia interessato il Ma. , sia pure tramite la Pisco, in quanto risulta provato che,prima dell'atto di citazione a margine del quale era stata redatta la procura incriminata, l'avvocato aveva spedito una richiesta di risarcimento al danno alla compagnia di assicurazione, datata 12.3.96 e un sollecito il 19.3.08 ed era stato poi firmato,il 26.1.1999, un accordo transattivo; secondo la ricorrente, al di là delle dichiarazioni degli originali imputati, non vi è prova che ella si sia rivolta all'avvocato, che conoscesse questi atti, che avesse firmato l'accordo;
4. vizio di motivazione: il Ma. afferma di non sapersi spiegare "come mai l'atto di citazione abbia una firma che appare indubitabilmente falsa" e ciononostante l'ha autenticata, pur dovendo conoscere la firma della sua assistita. La corte, assolvendolo dal reato ex art. 481 cp., ha convalidato questa falsa autenticazione.
L'avvocato Ma. ha depositato, l'8.6.2012, memoria difensiva in cui rileva l'infondatezza dell'argomentazione critica, contenuta nel ricorso della parte civile.
Il ricorso non merita accoglimento.
Quanto al rilievo di carattere procedurale attinente all'utilizzazione di documentazione prodotta nell'interesse del Ma. , nel corso del giudizio di secondo grado, non risulta che, in ordine alla sua acquisizione, sia stata formulata tempestiva e convincente argomentazione contraria, da parte della difesa della M. . D'altro canto, la sentenza della corte di appello, da correttamente atto che,pur in assenza di formale declaratoria di riapertura dell'istruttoria dibattimentale, la formale acquisizione del documento, avvenuta nel rispetto del contraddittorio tra le parti, ha legittimato il suo esame e la sua valutazione in favore della posizione dell'avvocato Ma. (con particolare riferimento alla dimostrazione dell'erroneità dell'affermazione della parte civile di non aver mai conosciuto il suddetto legale).
Quanto alle altre argomentazioni critiche della ricorrente, va rilevato che con esse la ricorrente propone una ricostruzione storica della vicenda del tutto alternativa e contrapposta,rispetto a quella fatta propria dal giudice di appello,sfociando quindi in una censura all'apparato motivazionale della sentenza che non può essere esaminata in sede di giudizio di legittimità.. Come è noto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocché costantemente, che "l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l'indagine di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione, ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali" (Cass. 24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999; n. 6402/1997).
Più specificamente esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Cass. sezioni unite 30.4.1997, Dessimone).
Il riferimento dell'art. 606 lett. e) c.p.p. alla "mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato" significa in modo assolutamente inequivocabile che in Cassazione non si svolge un terzo grado di merito, e che il sindacato di legittimità è limitato alla valutazione del testo impugnato. Non è quindi censurabile la sentenza impugnata, laddove riconosce credibilità alle dichiarazioni liberatorie della P. , secondo cui il Ma. , allorché ebbe ad autenticare la firma della M. , non fosse consapevole che la stessa era stata riapposta dalla P. medesima. La corte manifesta perplessità su questa ricostruzione dell'episodio centrale di questa vicenda, ma,secondo un insindacabile giudizio comparativo di tutte le risultanze processuali, afferma che non può "escludersi con certezza che le cose siano effettivamente andate in questo modo, per superficialità della P. ”.
Il ricorso va quindi rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
12-06-2013 23:10
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