Padre abusa sessualmente dei figli infraquattordicenni: non servono riscontri esterni se le dichiarazioni delle persone offese sono state raccolte in un incidente probatorio..
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 ottobre – 2 dicembre 2013, n. 47811
Presidente Fiale – Relatore Graziosi
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 8 febbraio 2013 la Corte d'appello di Milano ha respinto l'appello proposto da F.G.F. avverso sentenza del 10 giugno 2008 con cui il Tribunale di Milano lo aveva condannato alla pena di anni sette di reclusione per il reato di cui agli articoli 81 cpv., 609 bis, 609 ter ult.co. c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ai danni di minori infraquattordicenni, costringeva i figli J.F. e L.D. a compiere e a subire atti sessuali consistiti in toccamenti dei genitali, masturbazioni, penetrazioni anali con le dita e con il pene, coiti infrafemorali, con l'aggravante di aver commesso i fatti su minori di anni dieci.
2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo tre motivi.
2.1 Il primo motivo denuncia vizio motivazionale per non avere considerato quella che la corte territoriale ha impropriamente definito "tesi della macchinazione", non tenendo conto dell'odio della ex moglie M.D.M.D.P. (costituitasi quale parte civile in proprio e in qualità di esercente la potestà sui figli minori) che sarebbe emerso dalla testimonianza in sede di dibattimento di primo grado della di lei sorella M.D.C. (madre del coimputato assolto dallo stesso reato C.M.F.G. ), secondo la quale anni prima in ... avrebbe ingiustamente accusato il cognato di tentato stupro mentre questi l'aveva solo aiutata a entrare in casa quando era ubriaca. Ciò avrebbe dimostrato la tendenza della donna all'alcolismo e all'odio e alla diffidenza nei confronti degli uomini, cui si aggiungerebbe una feroce intolleranza verso gli omosessuali. Ella sarebbe stata paranoica supponendo un rapporto omosessuale tra suo marito e suo nipote C. , il che sarebbe stato per lei, in quanto "donna frustrata, sessualmente non desiderata" e convinta delle tendenze omosessuali del marito, un affronto inaccettabile. Avrebbe pertanto filmato il marito mentre, ubriaco, alla festa del suo compleanno si abbassava goliardicamente i calzoni e lo aveva cacciato di casa quando egli aveva ammesso di avere avuto in passato un rapporto omosessuale in cambio di denaro. Rimasta sola con i figli minori li aveva sottoposti a un lavaggio del cervello perché accusassero il padre di abusi sessuali (nonostante il marito fosse, come descritto da tutti i testi, "individuo mite, cristiano praticante, affettuoso con i figli e la famiglia") per punirlo della sua omosessualità. L'assunto della corte territoriale che una madre difficilmente avrebbe pregiudicato il sereno sviluppo dei figli per distruggere il marito è arbitrario e illogico, essendosi verificati vari casi in cui donne nel conflitto i padri dei loro figli hanno maltrattato od usato questi, arrivando perfino a ucciderli. A ciò si aggiunge, nel caso de quo, "l'ingombrante mancanza di riscontri certi" degli atti sessuali.
2.2 Il secondo motivo denuncia vizio motivazionale quanto ai riscontri obiettivi sulle presunte violenze sessuali. Le dichiarazioni rese dai minori con audizione protetta in incidente probatorio sono utilizzabili in dibattimento come tutte le altre prove per cui, "laddove si invochi una presunta chiarezza che non lascia spazio a dubbi", dovrebbero essere suffragate da altri riscontri oggettivi, mai emersi. La corte tenta di considerare riscontro oggettivo il fatto che nel progetto scolastico "parole non dette" sul tema dei contatti graditi e non graditi i minori manifestarono una reazione di sgradevolezza verso particolari attenzioni sessuali: ma non è emerso che queste fossero venute dal padre. Anche sotto questo profilo la corte ha svalutato il desiderio cieco di vendetta della madre che agiva dietro ai bambini e che, appena cacciato di casa il padre, esercitò pressione con domande e insinuazioni soprattutto sul figlio Francisco, che aveva dapprima negato e solo in un secondo momento si era "arreso". Inconsistente è l'argomento che il minore L. , nella sentenza confuso con Francisco, non gradiva supposte, essendo ciò assai diffuso nei bambini, come l'ulteriore argomento della descrizione specifica degli atti da parte dai minori poiché sul punto "i minori di oggi sono maggiormente informati, hanno un contatto diretto con il mondo dei media e con il materiale che circola su Internet" e comunque la madre avrebbe potuto suggerire quel che i figli avrebbero dovuto dichiarare nell'incidente probatorio "per ritrovare finalmente un po' di pace e l'approvazione della loro madre". Quanto poi alla vergogna manifestata dai minori, sarebbe "un'eventualità del tutto fisiologica rispetto allo sviluppo del minore in formazione", per cui è illogico che la corte concluda per la concreta eventualità dell'abuso in base ad essa. L'unico riscontro obiettivo che la corte fornisce a sostegno del suo convincimento sarebbe la presenza in Francisco di una ragade anale e di rilassamento dello sfintere, ma ciò, si è dimostrato nell'istruttoria dibattimentale, è riconducibile alla encopresi ritentiva di cui il minore soffriva fin da piccolo e le cui conseguenti cicatrici anali, se non correttamente curate, non guariscono. La stessa corte, poi, conclude che tali elementi non danno certezza di atti penetrativi: contraddittoria è la conferma della condanna di primo grado pur ammettendosi, quindi, che gli unici riscontri obiettivi sono solo indici di compatibilità con tali atti. Rimangono poi privi di ogni riscontro oggettivo tutti gli altri atti sessuali non penetrativi, fondati solo "sulle dichiarazioni unilaterali e a volte anche tardive dei minori" con "grado di affidabilità estremamente scarso".
2.3 Il terzo motivo denuncia ulteriore vizio motivazionale: la corte ha assolto il coimputato C. per non aver commesso il fatto, laddove questi era stato individuato proprio sulla base dichiarazioni della moglie e dei figli dell'imputato F. : senza sufficiente e logica motivazione la corte ha quindi adottato criteri di valutazione completamente opposti per giudicare, pur con le stesse prove, la responsabilità di questi rispetto a quella del C. .
Considerato in diritto
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Tutti e tre i motivi adducono vizio motivazionale, che peraltro, a ben guardare, soprattutto per quanto riguarda i primi due, è in realtà una censura di fatto. Il primo motivo, invero, consiste in una sorta di requisitoria verso la moglie dell'imputato, cui si attribuisce una macchinazione contro quest'ultimo per vendicarsi delle proprie frustrazioni e per sanzionare la sua detestata omosessualità. L'unico elemento probatorio che adduce il ricorrente per - sostenere questo ritratto di sua moglie sarebbe la testimonianza della sorella di lei (che è - anche la madre del coimputato e quindi probabilmente non "terza" nella vicenda) relativa a un fatto che, se vero, non avrebbe alcuna attinenza ai figli minori. L'opposto ritratto dell'imputato che sarebbe sortito dalle deposizioni dei testi quale ottimo marito e padre, poi, non può non rilevarsi che è lo stesso ricorrente a contraddirsi laddove evidenzia che la moglie era "una donna frustrata, sessualmente non desiderata" (ricorso, pagina 4); subito dopo, evidentemente rendendosi conto del significato di una tale definizione, si cerca di stemperarla con la ulteriore frase: "e probabilmente neanche più desiderabile", cui segue peraltro: "ormai del tutto convinta delle tendenze omoaffettive del proprio marito". Ed è sempre lo stesso ricorrente a descrivere, qualificandolo goliardia, una sua condotta, filmata dalla moglie, non molto favorevole alla figura di "individuo mite, cristiano praticante, affettuoso con i figli e la famiglia" disegnata nel ricorso a pagina 6: alla festa del compleanno l'uomo si ubriacò con gli amici e si abbassava i pantaloni aggiungendo "battute ironiche" (ricorso, pagina 4).
Tanto premesso in quanto di oggettiva evidenza, si rileva che non è comunque vero che la corte non abbia considerato il ruolo della moglie nella vicenda e le sue effettive indagini nei confronti del marito. Dopo aver dettagliatamente esposto quale primo motivo d'appello proprio l'erronea valutazione del primo giudice in ordine alle risultanze istruttorie quanto alle dichiarazioni accusatorie, per astio verso il marito, della moglie che, "ferita dalla sua convinzione dell'omosessualità di costui", avrebbe fatto un lavaggio del cervello ai figli (motivazione, pagina 4) la corte - pur avendo richiamato integralmente come condivisibile la motivazione di primo grado, definita completa e dettagliata e pertanto non necessitante di integrazione (motivazione, pagina 5) - osserva che tale doglianza relativa alla moglie, la cui macchinazione secondo la difesa sarebbe la causa delle dichiarazioni dei minori, "non è andata oltre la mera allegazione di parte, essendo rimasta sfornita di qualsivoglia appiglio, finanche logico, dovendosi ritenere che una madre, ancorché delusa e profondamente ferita dal fallimento della sua unione, ben difficilmente sarebbe giunta al punto da mettere in pericolo il sereno sviluppo dei propri figli al solo scopo di liberarsi del loro padre, soprattutto quando ciò era già avvenuto e l'uomo era stato definitivamente allontanato" (motivazione, pagina 5).
Secondo il ricorrente lo scopo del complotto ordito dalla moglie non sarebbe stato l'allontanamento, essendo egli già stato cacciato di casa da lei, bensì una vendetta per la sua omosessualità. Tuttavia, è vero quanto afferma la corte territoriale nel senso che ciò è una mera allegazione, non avendo apportato il ricorrente elementi per dimostrare che la donna intendeva compiere una simile vendetta e usare per essa i propri figli. La circostanza che nei conflitti di coppia molte volte un genitore si avvale dei figli contro l'altro - che effettivamente rientra nel notorio - è stata richiamata dal ricorrente per addurre l'illogicità della considerazione della corte territoriale sul fatto che la madre difficilmente avrebbe adoperato i suoi figli contro il marito, ma non è in realtà pertinente proprio perché, come evidenzia la corte territoriale, lo scopo della donna in questo caso non sarebbe stato il "liberarsi" del marito, essendo indiscusso che questi non conviveva più con lei e non essendo stato allegato che - voleva tornare a farlo (né, si nota ad abundantiam, sono stati addotti elementi economici o relativi all'affidamento dei figli nella separazione che talora possono provocare, è notorio, il coinvolgimento di questi in pregiudizio del coniuge o del partner). Si sarebbe trattato, invece, di una vera e propria vendetta personale, che non può, logicamente, ricondursi al notorio per quanto concerne la "utilizzazione" dei figli da parte di una donna che non risulta aver dimostrato in alcun modo un rapporto negativo/anaffettivo con gli stessi e a cui infatti non risulta essere stata in alcun modo limitata la responsabilità genitoriale. Il motivo non si allontana, dunque, dal grado di allegazione fattuale, non riuscendo ad ascendere a quello, unico ammissibile in sede di legittimità, della identificazione di reali incongruità motivazionali.
D'altronde, lo stesso ricorrente non riesce ad allegare né tantomeno a dimostrare alcun episodio concreto in cui si sarebbe realizzato il preteso lavaggio del cervello dei minori da parte della madre, ma si limita ad addurre una generale ossessiva pressione. L'unico elemento che potrebbe rapportarsi a un atteggiamento ossessivo della moglie, peraltro - a prescindere dal fatto che è un episodio singolo, e quindi ben scarsamente potrebbe sostenerlo -, ha come oggetto, d'altronde, non la condotta della donna con i bambini, bensì solo con il marito, ed è il filmato della festa di compleanno. Risulta pertanto apodittico affermare che appena il marito fu allontanato da casa la donna abbia riversato una sua aggressività ossessiva (peraltro a sua volta non dimostrata) sui figli affinché, nonostante l'età infantile, rendessero dichiarazioni imbarazzanti e quindi assai sgradevoli per loro a carico del padre. Correttamente sul piano logico, poi, la corte adduce che l'attendibilità della moglie deriva anche dall'avere ella stessa ammesso di avere indagato interrogando i figli (il che, ovviamente, non coincide con una pressione ossessiva di lavaggio del cervello); e non è illogico neppure l'ulteriore suo argomento nel senso che "le modalità in cui in concreto avvenne l'emersione dell'abuso dimostrano che ciò avvenne a prescindere dalla maldestra indagine materna poiché i minori in un primo tempo negarono di aver subito molestie e si aprirono poi “loro spente" alla rivelazione, ma solo a distanza di tempo dall'allontanamento del familiare abusante" (motivazione, pagina 6). Del tutto irrilevante, e quindi correttamente dalla motivazione non considerato in modo espresso (tenuto conto sia del rinvio integrale alla sentenza di primo grado - che nella doppia conforme consente attingerne la necessaria integrazione, anche reciproca: di recente v. Cass. sez. III, 1 dicembre 2011-12 aprile 2012 n. 13926 - sia del principio della motivazione implicita, per cui il giudice di merito non è tenuto a esaminare tutti i dati probatori e tutti gli argomenti difensivi nella sua motivazione, poiché questa sia completa e autosufficiente, implicitamente assorbendo quanto non è stato espressamente menzionato, vale a dire quanto con essa è incompatibile ma, per carenza di decisività, non è idoneo a infrangerne la struttura logico-giuridica: cfr. Cass. sez. II, 8 febbraio 2013 n.9242; Cass. sez. VI, 19 ottobre 2012 n.49970; Cass. sez. IV, 13 maggio 2011 n. 26660; Cass. sez. VI, 4 maggio 2011 n. 20092) è il pregresso episodio narrato dalla sorella - che, come già rilevato, non era del tutto "terza" ma ben poteva avere interesse a pregiudicare la figura e quindi l'attendibilità della donna essendo coimputato il proprio figlio -, non attinente al rapporto tra il F. e la moglie né al rapporto tra quest'ultima e i figli. Priva parimenti di idoneità, poi, a costituire il preteso vizio motivazionale risulta l'assenza di menzione di riscontri certi alla deposizione di M..M. , trattandosi di deposizione testimoniale che, per essere reputata attendibile, non necessita ex articolo 192 c.p.p. di riscontri oggettivi. In conclusione, il motivo è evidentemente meritevole di disattendimento.
3.2 Il secondo motivo è diretto a confutare l'attendibilità attribuita dalla corte territoriale alle dichiarazioni dei minori, ma, anche in questo caso, sulla base di una versione alternativa dei fatti ben più che tramite una censura realmente motivazionale. La corte, pur succintamente, ha motivato anche su questo profilo in modo congruo, giudicando chiarissime le dichiarazioni di entrambi i minori rese nell'incidente probatorio per tre motivi: il primo consiste nel fatto che "non v'è prova della sobillazione" da parte della madre, "che comunque non sarebbe stata in grado di far loro esprimere particolari così specifici e soprattutto sentimenti di vergogna, essi stessi prova di quanto vissuto"; e comunque "l'affermato diabolico indottrinamento" della donna non avrebbe loro consentito "di superare il vaglio di plurimi specialisti del settore"; il secondo si racchiude proprio nel fatto che "l'attendibilità delle dichiarazioni dei minori e la loro capacità a riferire delle accuse è stata per l'appunto attentamente vagliata da coloro che le hanno raccolte"; il terzo rileva che la sincerità dei minori "è riscontrata appieno dall'identica e del tutto spontanea reazione avuta dai due fratellini, allorché entrambi parteciparono al progetto scolastico "parole non dette" sul tema dei tocchi graditi e non graditi, nonché per quanto attiene le penetrazioni anali subite da F. , dall'atteggiamento di rifiuto del bambino all'inserimento di una semplice supposta".
Il fatto che le dichiarazioni rese dai minori con modalità protetta nell'incidente probatorio siano utilizzabili in dibattimento come tutte le altre prove a carico o discarico dell'imputato, secondo il ricorrente, dovrebbe implicare, laddove siano ritenute così chiare da non lasciare spazio a dubbi, il riscontro in altri elementi oggettivi. Questo asserto contrasta con la giurisprudenza della Suprema Corte che ha negato l'applicazione dell'articolo 192, comma 3, c.p.p. alla deposizione testimoniale della parte offesa (da ultimo Cass. sez. IV, 18 ottobre 2011, n. 44644, nell'ambito dell'accertamento di reati sessuali; in generale S.U. 19 luglio 2012 n.41461). Il ricorrente comunque - ancora proponendo, a ben guardare, una versione alternativa dei fatti - lamenta l'assenza di riscontri, cercando di "svuotare" di significato anzitutto la reazione dei minori al progetto scolastico che invece la corte territoriale ha valorizzato. È peraltro evidente che la doglianza in tale modo costituisce, appunto, non l'identificazione di un effettivo vizio motivazionale bensì una versione alternativa dell'origine della reazione (il ricorrente prospetta toccamenti sessuali tra i due fratelli o con qualche compagno di classe) che non ha, poi, a suo sostegno altro che la pura allegazione, non riscontrandosi alcun elemento concreto a convalidarla e restando pertanto sul livello della mera congettura. A ciò fa seguito anche nel secondo motivo quella sorta di incolpazione di M..M. che costituisce il nerbo della difesa del ricorrente e realizza una evidente versione alternativa dei fatti peraltro priva, come già si è detto, di effettivi riscontri e, come. osservato dalla corte territoriale, ferma anch'essa al livello della allegazione: le dichiarazioni dei bambini sarebbero prive di riscontri di certezza o di alta probabilità (il ricorrente insiste nella violazione dell'articolo 192 c.p.p.) "specie se si considera, ancora una volta, che dietro ai due bambini agiva una madre in preda al desiderio cieco di inscenare una irrefrenabile vendetta" (ricorso, pagina 8): e dopo avere cacciato di casa il marito, la moglie "prese a tormentare soprattutto il figlio Francisco con domande e insinuazioni suggestive" per cui, dopo aver in un primo tempo negato, il bambino si arrendeva "in un secondo momento allorquando le pressioni e ricatti della madre erano ormai diventati quotidiani e insostenibili" (ricorso, pagina 9): di queste veementi accuse alla moglie dell'imputato non è peraltro indicato il fondamento probatorio, non evidenziando il ricorrente donde abbia dedotto tale "tormento" e, per esempio, in che cosa consistevano i pretesi "ricatti" della madre a Francisco. Peraltro, la corte territoriale, oltre a evidenziare che appunto non vi è prova della "sobillazione" dei minori contro il padre, rileva che tale sfrenato indottrinamento materno, se sussistente, non sarebbe stato idoneo a condurre le dichiarazioni false dei minori a superare il vaglio dei vari esperti che le hanno raccolte: e anche su questo, come sulle fonti di prova dell'attività di pressione della madre sui figli, il ricorso tace, con ciò implicitamente ma inevitabilmente confermando la reale adeguatezza della motivazione della sentenza impugnata. Lo stesso ricorrente, poi, non attribuisce un significato di rilievo alla questione della renitenza rispetto alla supposta, perché non valorizza lo scambio al riguardo dei due fratelli; ritorna invece alle pure allegazioni laddove sostiene, a fronte della valorizzazione che il giudice di merito ha dato alla specificità descrittiva delle dichiarazioni dei bambini in materia sessuale, che questi al giorno d'oggi sono al riguardo "maggiormente informati", fruiscono dei media e in particolare di Internet, possono parlare con persone più grandi che possono descrivere loro il contenuto di video pornografici facilmente reperibili a chiunque (pagina 9 del ricorso). Si tratta, a ben guardare, di congetture sulle attività e sulle frequentazioni dei minori; congetture peraltro, non si può non rilevare pur ad abundantiam, contraddittorie con quanto prima il ricorrente aveva addotto in ordine alle qualità esemplari dell'imputato stesso ("individuo mite, cristiano praticante, affettuoso con i figli e la famiglia: ricorso, pagina 6; v. altresì pagina 7) da cui si dovrebbe dedurre, logicamente, un esercizio adeguato della educativa vigilanza paterna sui minori, tale da impedire loro una "maturazione" sessuale così precoce e dettagliata. Alle congetture suddette, comunque, il ricorrente ancora una volta aggiunge l'affermazione, leit-motiv che si è già visto apodittico, della madre come fonte di tutta l'ingiusta accusa, poiché questa "avrebbe ben facilmente potuto descrivere esattamente ai figli" le condotte sessuali di cui voleva accusassero il padre: e ancora una volta non vi è neppure la considerazione del vaglio critico degli esperti che hanno raccolto le dichiarazioni e che avrebbero dovuto essere in grado di avvertire un simile artificioso addestramento dei minori dichiaranti. L'argomento della vergogna, poi, che la corte territoriale ha annoverato tra quelli che sostengono l'attendibilità dei minori nel caso di specie, viene a sua volta censurato in modo incongruo: poiché "la pudicizia di un bambino di fronte al sesso nel momento in cui è costretto a parlarne, suo malgrado, con gli adulti" è fisiologica e produce fisiologico imbarazzo, è incorsa nell'illogicità la corte per avere ritenuto attendibili le dichiarazioni dei minori "sulla base del fatto che questi abbiano parlato di dettagli sessuali specifici durante la loro audizione protetta e che, parlandone con soggetti adulti, per quanto qualificati possono essere, abbiano dimostrato un certo imbarazzo" (ricorso, pagina 10). A tacer d'altro, pretermette la doglianza il fatto che la vergogna, come ha sottolineato la corte territoriale, è derivata dalla descrizione di "particolari così specifici" come quelli dichiarati dai minori, per cui non si è verificata una ipotesi, per così dire, generale e superficiale di contatto del minore con l'argomento "sesso", bensì la vergogna è risultata manifestazione di una specifica esperienza personale, onde nessuna illogicità può ascriversi alla sua valorizzazione in termini di attendibilità da parte della corte territoriale.
Tutti questi elementi passati in rassegna, si ricorda, sono stati considerati nel motivo sul presupposto della necessaria sussistenza di riscontri esterni per fondare l'attendibilità della testimonianza dei minori, attendibilità che, come già si è detto, può prescinderne. A conclusione del motivo il ricorrente adduce quello che definisce "l'unico riscontro obiettivo circa la effettiva consumazione di atti sessuali nei confronti dei due minori", cioè "la presenza di una ragade anale e il rilassamento dello sfintere" in Francisco (ricorso, pagina 10): e, al riguardo, il motivo assume una natura ancor più ed esclusivamente fattuale, perché offre una spiegazione medica alternativa per collegare ciò a una patologia (encopresi ritentiva) di cui il bambino era stato affetto. Peraltro la corte ha richiamato questa "lettura alternativa offerta dalla difesa circa la diversa origine della ragade e della riscontrata dilatazione dell'ano" nel bambino, motivando sulla base degli esiti probatori per disattenderla ("non è pertinente al caso, perché come ha chiarito il Dott. B. la prima non avrebbe potuto riferirsi a lesione da encopresi in quanto tale disturbo evacuativo avrebbe potuto provocarla nei primissimi anni di vita del bambino, sì da non lasciare successive tracce, e la seconda era da imputarsi al fenomeno opposto del rilassamento dello sfintere in presenza di manovre introduttive osservato dallo specialista in un momento in cui l'alveo fecale era libero": motivazione, pagine 7 - 8). E d'altronde la prospettazione del ricorrente in ordine alla ragade parte dal presupposto, ancora apodittico, della inesistenza di una terapia adeguata subita dal bambino per la encopresi ritentiva. Rileva poi il ricorrente che la corte non ha attribuito certezza a tali dati patologici (motivazione, pagina 8: "la presenza della ragade e del rilassamento anale non costituiscono indici di certezza dell'avvenuta penetrazione, ma di sola compatibilita e tuttavia devono ritenersi elementi idonei di riscontro") deducendone che per l'accusa non sono sufficienti "elementi esclusivamente probabilistici per suffragare le dichiarazioni unilaterali, indotte e potenzialmente mendaci che possono essere state rese dai minori in sede di incidente probatorio": da ciò consegue la contraddittorietà della motivazione della corte laddove conferma la sentenza pur ammettendo che gli unici riscontri obiettivi non sono di certezza ma di compatibilità con atti penetrativi; e nessun riscontro sussisterebbe poi per gli altri atti non penetrativi. La censura è del tutto infondata poiché la corte non ha espresso un ragionamento contraddittorio rilevando la mera compatibilità, dal momento che, come già più volte ricordato, le dichiarazioni testimoniali della parte offesa non necessitano di riscontri esterni; e ancora una volta apodittico, del resto, è l'asserto che tali dichiarazioni siano state "indotte". Anche il secondo motivo risulta pertanto chiaramente infondato.
3.3 Il terzo motivo censura la motivazione perché i criteri valutativi delle dichiarazioni rese dalla moglie e dai figli dell'imputato sarebbero stati diversi rispetto a quelli su di esse utilizzati in ordine alla posizione del coimputato C. , che è stato assolto per non aver commesso il fatto:in tal modo la corte avrebbe basato la sua decisione su una motivazione totalmente contraddittoria. La censura non corrisponde all'effettivo contenuto della motivazione della sentenza impugnata: rileva infatti la corte territoriale (con un argomento che trova corrispondenza pure nella motivazione della sentenza di primo grado) che la sincerità dei minori non è stata smentita dall'assoluzione del coimputato, poiché per lui "si è posto un problema di certezza dell'individuazione del soggetto concorrente indicato dai minori con il solo nome di F.G. " (motivazione, pagina 6). Anche questo ultimo motivo risulta pertanto privo di consistenza.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento devono omettersi le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
04-12-2013 10:55
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