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Sentenza

Ottiene i soldi dalla Regione, ma poi non paga le rate del mutuo. Con la vendita forzata perde la casa ed il contributo.
Ottiene i soldi dalla Regione, ma poi non paga le rate del mutuo. Con la vendita forzata perde la casa ed il contributo.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 16 luglio – 10 settembre 2013, n. 20691
Presidente Salmè – Relatore Cristiano

Svolgimento del processo

La Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia dichiarò B.F. decaduto, ai sensi dell'art. 39 della l. reg. n. 75/82, dal finanziamento concessogli a titolo di contributo all'acquisto della prima casa, per non aver rispettato l'obbligo, cui il beneficio era condizionato, di residenza per almeno un quinquennio nell'immobile ed ottenne dal Presidente del Tribunale di Trieste l'emissione di un decreto ingiuntivo con il quale intimò al B. la restituzione della somma di L. 24.300.000 erogatagli, maggiorata degli interessi legali.
L'opposizione proposta dall'intimato al provvedimento monitorio fu respinta dal tribunale.
La Corte d'Appello di Trieste, con sentenza dell'8.7.06, ha a sua volta respinto l'appello avanzato dal B. contro la decisione di primo grado. La corte territoriale ha ritenuto irrilevante che l'appellante non avesse potuto rispettare l'obbligo di risedere almeno cinque anni nell'alloggio acquistato a causa della sottoposizione del bene a pignoramento e del suo conseguente trasferimento a terzi in sede di vendita coattiva; ha osservato in proposito che tale circostanza non era idonea a configurare causa di non imputabilità dell'inadempimento del B. all'obbligo cui era subordinata la concessione del contributo, posto che la vendita forzata era stata determinata da un comportamento colpevole del beneficiario, che aveva omesso il pagamento dei crediti vantati nei suoi confronti dalla banca procedente.
La sentenza è stata impugnata da F..B. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui la Regione Friuli ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1) Con i primi due motivi, che sono fra loro connessi e possono essere congiuntamente esaminati, F..B. lamenta che la corte territoriale abbia ricompreso la vendita forzata dell'immobile fra i casi sanzionati con la decadenza del beneficiario dal finanziamento ottenuto per il suo acquisto; rileva che, ai sensi dell'art. 39 della l. r. Friuli Venezia Giulia n. 75/82, al proprietario era fatto divieto, a pena di decadenza, unicamente di non trasferire la propria residenza, di non locare e di non vendere l'immobile per un periodo di cinque anni e sostiene che tale ultima ipotesi, che si riferisce ad un'alienazione volontaria, non può essere equiparata alla vendita all'incanto del bene a seguito della sua sottoposizione ad esecuzione forzata. Lamenta, inoltre, che la corte territoriale abbia fatto ricorso all'analogia, vietato in materia di sanzioni amministrative.
I motivi vanno dichiarati inammissibili.
La corte territoriale, infatti, rilevando espressamente che non v'era alcuna necessità di far ricorso all'analogia, ha osservato che le ipotesi di decadenza previste dalla legge (mancato rispetto dell'obbligo di residenza continuativa per dieci anni, trasferimento a terzi dell'immobile) si erano comunque verificate e che l'appellante, per poter essere esonerato dall'obbligo di restituzione del finanziamento, avrebbe dovuto dimostrare che erano dipese da fatti a lui non imputabili, atteso che anche nelle obbligazioni negative vige il principio della presunzione di colpa, che non è esclusa dal fatto del terzo nel caso in cui il debitore abbia posto in essere la condotta che ha consentito al terzo di interferire sull'osservanza dell'obbligo di non facere.
Le censure, che non rivolgono alcuna critica alla motivazione sulla quale la corte di merito ha fondato la decisione, sono pertanto prive del requisito di specificità richiesto dall'art. 366 I comma n. 4 c.p.c..
2) Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell'art. 12 co. 2 preleggi, contesta che possa essergli imputato il fatto involontario (vendita forzata) a seguito del quale gli è stata comminata la sanzione e deduce che il precedente giurisprudenziale richiamato dalla corte di merito a sostegno della decisione ((Cass.
n. 1991/3724, che ha affermato la legittimità del provvedimento di decadenza dalla concessione di un contributo erogato per la ristrutturazione di un immobile e subordinato al mantenimento della sua destinazione alberghiera, mutata dal terzo che si era aggiudicato il bene all'incanto, a seguito di esecuzione forzata promossa contro il beneficiario del finanziamento) non sarebbe applicabile al caso di specie, nel quale l'ipotesi prevista come causa di decadenza (vendita volontaria dell'immobile a terzi) non si è mai verificata, mentre se ne è verificata una diversa, consistente, per l'appunto, nella vendita forzata.
Il motivo è infondato e deve essere respinto.
Il B. dimentica, in primo luogo, che la decadenza dal beneficio è stata pronunciata in ragione del mancato rispetto dell'obbligo, posto a suo carico, di risiedere nell'immobile per almeno cinque anni, ovvero per un fatto oggettivo, verificatosi (come nel caso richiamato dal giudice a qua) a causa della vendita forzata del bene.
Più in generale, deve comunque rilevarsi come la normativa regionale, nel prevedere la decadenza dal contributo (finalizzato all'abbattimento degli interessi dovuti dal privato sulle rate del mutuo concessogli dalla banca per l'acquisto della prima casa) in caso di mancato rispetto dell'obbligo di residenza e dei divieti di locazione ed alienazione, abbia inteso legare il beneficio non solo all'acquisto, ma anche all'effettiva occupazione dell'immobile: l'interesse pubblico sotteso all'emanazione, della legge é infatti quello di agevolare il privato nell'accesso alla proprietà della casa in cui abitare, e non di favorire l'acquisto della prima casa indipendentemente dalle J finalità per le quali si compie l'acquisto.
Se l'immobile non è abitato dal beneficiario, viene meno la ragione del finanziamento: e, una volta verificatasi tale situazione, si determina in via automatica la decadenza dal beneficio, impropriamente definita dal ricorrente una sanzione, visto che non si è in presenza di un illecito amministrativo e che l'obbligo restitutorio è riconducibile, piuttosto, al paradigma dell'indebito oggettivo (cfr. Cass. n. 9205/99).
Erra, poi, il B. nel ritenere che il fatto che ha dato luogo alla decadenza non possa essergli imputato solo perché la vendita dell'immobile è avvenuta in sede di esecuzione forzata: la banca procedente ha infatti pignorato il bene a seguito del mancato pagamento da parte del ricorrente delle rate del mutuo che gli era stato erogato per l'acquisto della casa (ed al cui rimborso egli era tenuto per la quota parte concernente il capitale), sicché, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, era sicuramente a lui imputabile la situazione che ha consentito alla creditrice di interferire sull'osservanza degli obblighi di non tacere (ivi compreso il divieto di alienazione) cui era condizionato il finanziamento regionale.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, va in definitiva affermata la piena equiparabilità, ai fini della perdita del beneficio, della vendita forzata alla vendita volontaria.
3)Resta assorbito il quarto motivo del ricorso, con il quale il B. deduce nuovamente, questa volta sotto il profilo del vizio di motivazione, che la corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto applicabile la sanzione della decadenza ad una fattispecie non prevista dalla l. reg. n. 75/82.
4) Infondato, infine, è il quinto mezzo di censura, con il quale il ricorrente, denunciando ulteriore vizio di motivazione della sentenza impugnata, lamenta che la corte territoriale, per respingere il motivo d'appello in cui egli aveva insistito per la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, si sia limitata a rilevare che non ricorrevano ragioni per derogare al principio della soccombenza.
Il giudice a quo ha infatti ritenuto insussistenti le ragioni della compensazione (individuate dal B. nella pretesa novità dell'interpretazione dell'art. 39 della l. reg. n. 75/82 compiuta dal giudice di primo grado) "alla stregua dei principi esposti”, con ciò chiaramente rinviando alla propria motivazione, che escludeva che la pronuncia di decadenza dell'appellante dal contributo si fondasse su di un'interpretazione estensiva od analogica della norma regionale.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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