No all'affidamento terapeutico ex art. 94 DPR 309/90 se il soggetto è pericoloso.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 marzo – 22 aprile 2013, n. 18342
Presidente Bardovagni – Relatore Barbarisi
Ritenuto in fatto
1. — Con ordinanza deliberata in data 10 maggio 2012, depositata in cancelleria il 22 maggio 2012, il Tribunale di Sorveglianza di Palermo rigettava l'istanza avanzata nell'interesse di M.R. volta a ottenere l'affidamento terapeutico al servizio sodale ex art. 94 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Il giudice argomentava la propria decisione rilevando che il prefato aveva abbandonato il precedente programma terapeutico che, seppur per una ragione che poteva apparire anche plausibile, come l'impossibilità di pagare la retta per il mantenimento in un programma residenziale, non l'aveva sostituito tuttavia con un programma di natura ambulatoriale.
2. — Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione M.R. chiedendone l'annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.
In particolare è stato rilevato dal ricorrente che l'interruzione del programma residenziale era dovuto a motivi di forza maggiore (incapienza patrimoniale), mentre il SERT non gli aveva proposto alcun programma ambulatoriale, peraltro non adatto al tipo di tossicodipendenza del prefato.
Osserva in diritto
3. — Il ricorso è fondato e merita accoglimento: l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Palermo.
3.1. — Questa Corte di legittimità ha più volte ribadito il principio secondo cui la pericolosità rende inidonea la misura ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94. Il legislatore, con la L. n. 49 del 2006, proprio in riferimento all'istituto dell'affidamento terapeutico, disciplinato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94, prevede infatti al comma 4 che tale programma debba assicurare la prevenzione dei reati, così uniformandosi alla giurisprudenza di questa Corte, che più volte aveva segnalato come il giudice, ben lungi dall'accettare supinamente il programma stesso, dovesse valutare la pericolosità del condannato, la sua attitudine a intraprendere positivamente un trattamento, al fine di garantire un effettivo reinserimento nel consorzio civile (cfr. Cass., Sez. 1, 4 aprile 2001, Di Pasqua; Sez. 1, 10 maggio 2006, n. 18517). La Corte Costituzionale, con sentenza 5 dicembre 1997, n. 377, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 32 Cost., dell'art. 67 L. 24 novembre 1981 n. 689, in relazione all'art. 47 bis L. 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, nonché all'art. 94 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ha chiarito che la ratio dell'affidamento "terapeutico" di persona tossicodipendente o alcooldipendente, è quella appunto di perseguire la cura del reo, per cui il programma di recupero assume un ruolo di centralità nella applicazione della misura vista sempre nell'ottica di un affrancamento del soggetto vuoi dalla droga e/o dall'alcool vuoi dal mondo della devianza. A fronte però di una valutazione a priori di pericolosità del condannato, il programma terapeutico diviene di per sé inidoneo ad arginare, per sua natura, le attitudini criminose del soggetto, posto che la riuscita del progetto di recupero dipende dalla collaborazione del medesimo interessato, negata in radice dalla sua stessa condizione di persona pericolosa. Inoltre va osservato che il testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94), nelle più recente versione offerta dal D.L. 30 dicembre 2006, n. 272, convertito con modificazioni nella L. 21 febbraio 2006, n. 49, ha sottoposto la concessione dell'affidamento in prova in casi particolari a condizioni sicuramente più rigide rispetto al passato e tali da impedire un ricorso strumentale all'istituto al fine di ottenere benefici altrimenti non concedibili, specie in relazione a scadenze di pena che non consentono la concessione di altre misure alternative. Ferma restando la natura discrezionale del provvedimento, l'art. 94 citato richiede, ai fini dell'ammissione al beneficio, oltre al fatto che la domanda provenga da un condannato tossicodipendente o alcooldipendente, anche che questi abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda soggiacersi e che alla domanda sia allegata una certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata accreditata attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza, la procedura con la quale è stato accertato l'uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche, l'andamento del programma concordato eventualmente in corso e la sua idoneità ai fini del recupero del condannato (comma primo). È del resto giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass., Sez. 1, 24 Maggio 1996, Bartolomeo) ritenere che l'istituto persegua l'obbiettivo non tanto di creare una nuova figura di misura alternativa, quanto piuttosto di ampliare e parzialmente modificare l'ambito applicativo della ordinaria misura dell'affidamento in prova di cui all'art. 47 L. 354/75.
3.2. — Alla luce di questi principi il giudice dell'esecuzione ha valutato in modo ostativo l'istanza senza approfondire le tematiche dianzi indicate in punto di pericolosità e delle ragioni di abbandono del programma residenziale proposto, limitandosi a formulare una prognosi negativa della carenza di una concreta volontà di recupero desumibile presuntivamente dal solo fatto di non aver voluto frequentare, dopo l'uscita dal programma detto, per motivi di indisponibilità finanziaria, un programma ambulatoriale. Nessun rilievo è stato cioè formulato in modo concreto dal giudice né sulla sufficienza e affidabilità dei rilievi addotti dall'Istante, né sulla personalità del soggetto di intraprendere un effettivo recupero che vada al di là di una semplice e superficiale valutazione presuntiva.
Addirittura del tutto negletta da parte del Tribunale è stata poi la richiesta ulteriore del M. di detenzione domiciliare, parimenti avanzata, che sarebbe dovuta essere per contro oggetto di attenta disamina, posto peraltro che, dal tenore del provvedimento gravato, già di per sé qui censurato per insufficienza motivazionale, nulla è inferibile per il diniego anche di tale invocato istituto.
4. — Ne consegue che deve adottarsi pronunzia ai sensi dell'art. 623 cod. proc. pen. come da dispositivo.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Tribunale di Sorveglianza di Palermo.
25-04-2013 23:20
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