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Sentenza

Muore sul lavoro il capocantiere per non aver utilizzato l’imbragatura di sicurezza nella disponibilità dell’operaio edile. Non è esclusa la responsabilità del datore di lavoro.
Muore sul lavoro il capocantiere per non aver utilizzato l’imbragatura di sicurezza nella disponibilità dell’operaio edile. Non è esclusa la responsabilità del datore di lavoro.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 aprile – 6 giugno 2013, n. 25134
Presidente Romis – Relatore Dell'Utri

Ritenuto in fatto

1. - Con sentenza resa in data 27.5.2009, il tribunale di Trapani, sezione distaccata di Alcamo, ha condannato U.M. alla pena di un anno di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, in relazione al reato di omicidio colposo commesso, in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di G.S. , in (omissis) .
All'imputato, in qualità di datore di lavoro di G.S. e di amministratore unico della Ugri s.n.c. (società appaltatrice dei lavori di rimozione della tettoia in eternit dell'edificio della società Colomba s.r.l., sito in (omissis) ) era stata contestata, oltre ai tradizionali parametri della colpa generica, la violazione dell'art. 16 d.p.r. n. 164/56, per non aver predisposto, pur essendo in esecuzione lavori a un'altezza superiore ai due metri, idonee opere provvisionali o comunque precauzionali atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone e di cose; nonché dell'art. 70 d.p.r. n. 164/56, per non aver accertato, prima di procedere all'esecuzione dei lavori di rimozione della copertura del tetto, la resistenza della stessa copertura a sostenere il peso dei lavoratori addetti e per non aver posto in essere le opere provvisionali atte a garantire la sicurezza dei lavoratori addetti, in particolare per non aver disposto al di sotto delle aperture e delle lastre di copertura, sottopalchi o reti di protezione, e comunque per non aver predisposto idonei dispositivi di ancoraggio delle cinture di sicurezza a parti stabili del capannone.
In particolare, per effetto di tali violazioni, il lavoratore G.S. , intento a rimuovere le lastre di eternit poste a copertura del tetto a un'altezza di circa 8 metri da terra, appoggiava i piedi su una parte della copertura del tetto non protetta in vetroresina, che si sfondava sotto il suo peso e precipitava al suolo riportando lesioni che ne determinavano la morte.
Con sentenza in data 5.4.2012, la corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha disposto la liquidazione in separato giudizio del danno arrecato all'Inail, confermando nel resto la decisione del primo giudice.
Avverso la sentenza d'appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato sulla base di due motivi di impugnazione.
2.1. - Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge in relazione agli artt. 589 c.p., 16 e 70 d.p.r. n. 164/56, nonché vizio di motivazione per travisamento della prova.
In particolare, si duole il ricorrente che la corte d'appello abbia rilevato come il lavoratore deceduto fosse caduto per il crollo verificatosi a seguito dello sfondamento di una lastra di eternit, laddove, secondo le corrette risultanze istruttorie, il lavoratore era caduto dalla copertura dell'edificio su cui era impegnato per effetto dello sfondamento di un lucernario in vetroresina, in precedenza dallo stesso lavoratore erroneamente e imprudentemente cosparso con una vernice di colore rosso, viceversa destinata a ricoprire le sole parti della copertura dell'edificio destinate ad essere rimosse.
Per effetto di tale errore, il lavoratore era incorso nella grave imprudenza di non segnalare la presenza di tali lucernari che lo stesso lavoratore aveva colpevolmente omesso di ricoprire con le tavole di legno appositamente prescritte nel programma di formazione fornito a tutti i lavoratori.
Peraltro, lo stesso lavoratore era incorso nell'ulteriore grave imprudenza costituita dell'omettere di agganciare la propria imbracatura di sicurezza al punto di trattenuta appositamente predisposto, così sfondando il lucernario erroneamente verniciato e non adeguatamente perimetrato, crollando al suolo.
Tale serie di imprudenze commesse dal lavoratore dovevano ritenersi pertanto tali da escludere, in ragione della relativa impreve-dibilità ed eccezionalità, ogni possibile responsabilità dell'odierno imputato.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole che la corte territoriale abbia riconosciuto la responsabilità penale dell'imputato per aver consentito che si procedesse alle lavorazioni di dismissione della copertura dall'esterno dell'edificio, in modo asseritamente difforme dal piano operativo di sicurezza (POS) predisposto; laddove, viceversa, proprio il piano operativo di sicurezza prevedeva che l'accesso e la discesa dal tetto sarebbero dovuti avvenire in tal modo, con la conseguenza che le modalità di accesso al tetto non hanno avuto alcuna efficienza causale, rispetto all'infortunio mortale occorso al lavoratore, le cui cause andavano viceversa rinvenute, da una parte, nella non corretta operazione di verniciatura delle lastre di vetroresina poste sulla copertura dell'edificio e, dall'altra, nella mancata o non corretta utilizzazione dei dispositivi di protezione individuale ritualmente forniti al lavoratore.
Proprio a tale riguardo, nel corso del giudizio di primo grado -pacificamente accertata l'impossibilità di elidere il rischio di caduta dal tetto mediante la predisposizione di reti o altre simili opere provvisionali - era stata comprovata la circostanza (inspiegabilmente ed erroneamente trascurata o travisata dalla corte d'appello) della corretta consegna al lavoratore dei dispositivi di sicurezza idonei ad eliminare le conseguenze dannose di eventuali cadute, ossia, in particolare, "un'imbracatura di sicurezza completa di cordino e gancio", da ritenersi pacificamente utilizzabile, in caso di impossibilita di predisporre adeguati impalcature o ponteggi, a tutela dei lavoratori impiegati in lavorazioni da eseguirsi a più di due metri dal suolo.
In tal senso, spettava alla corte territoriale superare il ragionevole dubbio che la corretta utilizzazione dell'imbracatura di sicurezza disponibile avrebbe scongiurato l'evento mortale, con la conseguente elisione del nesso di causalità tra le omissioni colpose contestate all'imputato e l'avvenuto decesso del lavoratore.
Da ultimo, il ricorrente si duole che la corte d'appello abbia ritenuto irrilevante, ai fini dell'attestazione della responsabilità penale dell'imputato, la circostanza costituita dalle funzioni di capo cantiere in concreto esercitate dal lavoratore deceduto: funzioni a loro volta comprensive del compito di vigilare sul rispetto delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il cui grave inadempimento, da parte dello stesso responsabile, non poteva non incidere, nei termini di un integrale assorbimento, sulla responsabilità del datore di lavoro.
2.2. - Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 62-bis e 133 c.p., con particolare riguardo al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche rispetto alla circostanza aggravante di cui all'art. 589, comma 2, c.p..
In particolare, il ricorrente si duole che la corte territoriale non abbia valorizzato la circostanza costituita dal concorso di colpa del lavoratore nella produzione dell'evento mortale, in tal modo omettendo di procedere a un'adeguata considerazione del caso concreto nella prospettiva di un più favorevole esito del giudizio di bilanciamento tra le circostanze.
2.3. - Con memoria depositata in data 11.4.2013, l'Inail, costituito parte civile, ha concluso per il rigetto del ricorso, con la conferma dell'accertata responsabilità civile dell'imputato in relazione ai danni subiti dalle parti civili, oltre alla condanna dello stesso alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dall'istituto, secondo i termini della nota allegata.
2.4. - All'odierna udienza, le parti civili hanno depositato una comparsa conclusionale e la prescritta nota spese.

Considerato in diritto

3.1. - Il primo motivo di ricorso è infondato.
Le deduzioni del ricorrente riferite ai concorrenti profili di responsabilità del lavoratore deceduto (con particolare riguardo all'errata verniciatura delle lastre di vetroresina o alla erronea utilizzazione dei ganci o delle imbracature di sicurezza allo stesso resi disponibili) devono ritenersi, alla luce dei profili ascrivibili alla colpa dell'imputato e all'idoneità causale della relativa condotta (rispetto all'evento mortale verificatosi), del tutto prive di fondamento.
E invero, muovendo preliminarmente dai profili della colpa specifica ascritti in sede d'imputazione e da quelli relativa alla colpa generica (pure contestati all'U. ), secondo l'insegnamento di questa corte di legittimità, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora le lavorazioni devono essere eseguite ad altezza superiore a due metri, all'obbligo di apprestare (quando possibile) impalcature, ponteggi o altre opere provvisionali, non può sostituirsi l'uso delle cinture di sicurezza, previsto solo sussidiariamente o in via complementare (Cass., Sez. 4, n. 6532/1990, Rv. 184235; Cass., Sez. 4, n. 11968/1986, Rv. 174167).
Nel caso di specie, diversamente da quanto asserito dal ricorrente, nessuna impossibilità è rimasta comprovata, nel corso del giudizio, in ordine alla concreta realizzabilità, in corrispondenza della copertura dell'edificio oggetto delle lavorazioni de quibus, di opere provvisionali (reti, ponteggi, impalcature, etc.) idonee a scongiurare il crollo al suolo dei lavoratori impegnati in lavorazioni da eseguire ad altezze superiori a due metri, essendo unicamente emerso un mero difetto di convenienza, pratica o economica, alla realizzazione di tali opere a tutela dei lavoratori impegnati in quota, per la presenza, all'interno dell'edificio della società committente, di una rete di ponteggi fissi.
Peraltro, lo stesso sistema d'imbracatura dei lavoratori impegnati nelle lavorazioni sulla copertura dell'edificio de quo - indicato dall'odierno ricorrente come asseritamente sufficiente e atto a scongiurare la caduta del lavoratore deceduto - è apparso totalmente inidoneo allo scopo, avendo i giudici del merito correttamente sottolineato la totale inidoneità funzionale e precauzionale del sistema approntato dall'imputato, siccome privo di agganci a punti fissi della struttura dell'edificio (ma anzi congegnato in modo tale da costringere il lavoratore, al fine di spostarsi nello spazio, di sganciare e riagganciare di continuo l'imbracatura, così ponendo in essere un ulteriore fattore di rischio oggettivamente non cautelato), come indirettamente confermato dalla successiva realizzazione, su indicazione dell'autorità amministrativa preposta (e a seguito dell'infortunio oggetto dell'odierno esame), di una struttura costituita da un cavo di acciaio legato a due gru, destinato a fornire un punto di aggancio (costante e a strutture fisse) delle cinture dei lavoratori impegnati nelle lavorazioni eseguite all'altezza della copertura dell'edificio.
Su tali punti, la motivazione della corte d'appello può ritenersi pienamente integrata dall'approfondita disamina contenuta nella sentenza del giudice di primo grado (con essa realizzando un unico corpo motivazionale), avendo la corte territoriale fatto riferimento a criteri di valutazione omogenei a quelli usati dal primo giudice, ripercorrendone l'itinerario logico e i fondamentali passaggi argomentativi (cfr., ex multis, Cass., Sez. 3, n. 13926/2011, Rv. 252615).
Dalle considerazioni che precedono segue l'assoluta correttezza, sul piano logico-giuridico, dell'affermazione della corte territoriale secondo cui il comportamento imprudente del lavoratore deceduto non ha spiegato alcuna efficacia interruttiva del nesso causale tra le gravi omissioni contestate all'odierno imputato e l'evento mortale allo stesso ascritto, non avendo detto comportamento integrato alcuna forma di abnormità idonea a incidere in termini giuridicamente rilevanti sullo sviluppo del rapporto condizionalistico tra le condotte omissive contestate all'imputato e il decesso del lavoratore, trattandosi di comportamento rientrante nell'ambito del segmento lavorativo attribuito al G. e del tutto privo dei caratteri della stranezza e dell'assoluta imprevedibilità (cfr, ex multis, Cass., Sez. 4, n. 23292/2011, Rv. 250710).
Quanto alla censura avanzata dal ricorrente, relativa alla pretesa idoneità della qualità di capocantiere, rivestita dal lavoratore deceduto, ad assorbire le responsabilità precauzionali del datore di lavoro, è appena il caso di richiamare l'insegnamento di questa corte di legittimità, ai sensi del quale, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il “capo cantiere” è titolare di un'autonoma posizione di garanzia, in quanto egualmente destinatario, seppure a distinti livelli di responsabilità, dell'obbligo di dare attuazione alle norme dettate in materia di sicurezza sul lavoro. Peraltro, la nomina di un “capo cantiere” non implica di per sé il trasferimento a quest'ultimo della sfera di responsabilità propria del datore di lavoro (cfr. Cass., Sez. 4, n. 39606/2007, Rv. 237878), atteso che l'esistenza sul cantiere di un preposto - salvo che non vi sia la prova rigorosa di una delega espressamente e formalmente conferitagli, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale, e di una sua particolare competenza - non comporta il trasferimento in capo allo stesso degli obblighi e delle responsabilità incombenti sul datore di lavoro, essendo a suo carico (peraltro, neppure in maniera esclusiva quando l'impresa sia di dimensioni molto modeste) soltanto il dovere di vigilare a che i lavoratori osservino le misure e usino i dispositivi di sicurezza e gli altri mezzi di protezione, comportandosi in modo da non creare pericolo per sé e per gli altri (Cass., Sez. 4, n. 3602/1998, Rv. 210641).
Nel caso di specie, correttamente i giudici del merito hanno evidenziato come nessuna prova rigorosa di tale espressa e formale delega con pienezza di poteri e autonomia decisionale, né di alcuna particolare competenza del G. , è stata fornita dall'imputato, a tacere delle dimensioni particolarmente modeste dell'impresa dell'odierno imputato, caratterizzata della forma della società in nome collettivo e dotata di livelli occupazionali esauriti da poche unità di lavoratori dipendenti.
3.2. - Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Su tale punto, è appena il caso di evidenziare come la corte territoriale abbia escluso la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche riconosciute nel caso di specie, in considerazione della particolare gravità del fatto colposo ascritto all'imputato, che la stessa corte ha giudicato responsabile di un comportamento altamente imprudente e spregiudicato, così radicando, il giudizio a tal fine condotto, sulla base di circostanze di fatto coerenti alle previsioni di cui all'art. 133 c.p., in forza di una motivazione pienamente coerente sul piano logico e dotata di adeguata linearità argomentativa.
4. - Il riscontro dell'integrale infondatezza dei motivi d'impugnazione illustrati con il ricorso proposto in questa sede, impone il rigetto dello stesso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; segue altresì la condanna del ricorrente stesso al rimborso delle spese in favore delle parti civili liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Lo condanna inoltre a rimborsare alle parti civili P.M. , G.R. e G.V. le spese di questo giudizio che si liquidano in complessivi Euro 3.500,00 oltre I.V.A. e C.P.A. (Euro 2.500,00 per una parte civile, oltre Euro 5.00,00 quale aumento per ciascuno delle altre due parti civili).
Avv. Antonino Sugamele

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