Minacciare di rendere di dominio pubblico la relazione sessuale intrattenuta con una donna, per "sputtanarla" integra il reato di minaccia.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 5 marzo - 6 giugno 2013, n. 24917
Presidente Casucci – Relatore Taddei
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 13.4.2012, la Corte di appello di Potenza, confermava la sentenza del Tribunale di Matera, datata 1.7.2009, che aveva assolto R.G. dal delitto di cui agli artt. 81 cpv, 609-bis cod.pen. perché, in tre specifiche occasioni, con violenza e minacce abusava sessualmente di C.M.R. ; la prima volta, quando con la C. non era ancora iniziato alcun tipo di relazione, presentandosi a casa della C. con una scusa, improvvisamente la prendeva di forza per un braccio e la spingeva verso la camera da letto ed ivi, afferrandola per i capelli e bloccandole la testa, riusciva a spogliarla ed a costringerla ad un rapporto sessuale vaginale; nelle altre occasioni, quando con la C. era iniziata una sorta di relazione sentimentale, prendendola per i capelli la costringeva ad inginocchiarsi, a girarsi e poi subire rapporti sessuali anali; In (omissis) (delitto denunciato solo nel (omissis) ma connesso a quello di cui al capo b) ai sensi dell'art. 12 c.p.p. seconda parte, riavviandosi l'unico disegno criminoso nel voler porre la p.o. in uno stato di prostrazione psicologica allo scopo di ottenere profitti indicati nel capo che segue);
e lo aveva condannato alla pena di anni sei di reclusione ed Euro. 1400,00 di multa per il reato di del delitto di cui agli artt. 81 cpv, 629 c.p. perché, minacciando costantemente C.M.R. di riferire in tutto il paese che ella aveva rapporti sessuali con lui, ed in una occasione percuotendola con calci e pugni, costringeva la C. a versargli continuamente danaro ed a donargli gioielli ed in particolare a consegnargli tutti i risparmi da lei conservati sul libretto (…) per un ammontare 62.518.950 di lire, il danaro proveniente dalla riscossione di alcuni buoni postali di cui lei era titolare e per l'ammontare di lire 67.500.000, la somma mensile di 1.000.000 di lire che detraeva dal suo stipendio (nel periodo (omissis)) per l'ammontare di 45.000.000 di lire ed infine preziosi del valore di lire 1.500.000, così procurandosi l'ingiusto profitto della somma di 176.518.950 di lire ai danni della stessa. In (omissis) .
1.1 Avverso tale sentenza propone ricorso il difensore di fiducia dell'imputato chiedendo l'annullamento della sentenza e deducendo a motivo:
la violazione dell'articolo 606 c. 1 lettera e) cod.proc.pen. per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione per travisamento della prova, omessa valutazione di prove assunte e incompletezza dell'apparato argomentativo. Lamenta il ricorrente che la Corte d'appello non ha tenuto conto delle incongruenze insite nelle dichiarazioni della parte lesa, che è stata risentita in appello proprio in ragioni di tali incongruenze e che comunque tali dichiarazioni non sono state adeguatamente riscontrate perché non sono provati i prelievi di danaro dalle disponibilità della donna e gli accrediti sul libretto del R. .
1.2 La motivazione della Corte,inoltre, poiché insiste sulla prostrazione psichica in cui versava la parte lesa della quale ha abusato l'imputato, giustifica una ipotesi di circonvenzione d'incapace e non quella di estorsione, tanto più che nessuna valutazione é stata fatta dalla Corte circa l'idoneità della minaccia di "sputtanamento" denunciata dalla parte lesa. Infine non é adeguatamente motivato il diniego delle generiche a fronte dello stato di incensuratezza dell'imputato che la Corte non ha considerato degno di valutazione a fronte della considerevole somma estorta e della mancata resipiscenza dell'imputato.
Considerato in diritto
2. Il ricorso è inammissibile perché vengono dedotti motivi affatto generici non consentiti nel giudizio di legittimità.
2.1 Il ricorrente, infatti, si limita a denunciare assertivamente il vizio della motivazione senza peraltro precisare in che termini si concretizza l'illogicità manifesta ovvero la contraddittorietà della motivazione. Inoltre il ricorrente censura le dichiarazioni rese dalla C. ma non precisa quali sono le parti viziate, interdicendo, in tal modo, il controllo di questa Corte che non ha un autonomo potere di scelta degli atti da sottoporre al vaglio.
2.2 Per contro la Corte territoriale, con una motivazione attenta e priva di manifesta illogicità, ha precisato che la necessità di risentire la parte lesa era stata determinata dall'esigenza di approfondire temi solo sfiorati dall'analisi di primo grado e non certo da una valutazione di scarsa credibilità della teste.
2.3 In merito alla minaccia, che qualifica il reato di estorsione e che come esattamente posto in luce in motivazione può assumere le configurazioni più diverse, la Corte ha ritenuto, in fatto, che la minaccia di propalare nel paese la relazione con la donna, in modo da "sputtanarla", andava contestualizzata nel modo seguente "in un paese di provincia, ha avuto come protagonista femminile una donna quarantatreenne, scarsamente acculturata, timida, introversa e riservata, priva di ogni significativa esperienza di vita, per di più vittima, a causa della recente perdita della madre, di una stato di acuta prostrazione fisica e morale, la quale si è imbattuta in un giovane venticinquenne, pseudo parente, col quale ha intrapreso una relazione del tutto sommersa, priva di manifestazioni esterne, consumatasi domesticamente all'interno dell'abitazione della donna ed i cui riflessi sono stati a mala pena percepiti dai prossimi congiunti e da una vicina di casa della donna" e che l'ambito oggettivo e soggettivo della fattispecie, così individuato, ha sicuramente determinato nella parte lesa "un'effettiva compressione della sua libertà di autodeterminazione in conseguenza della quale ella abbia deciso di accettare un male minore consistito nelle dazioni di denaro richiestele dal R. " (vedi pag. 6).
2.4 La motivazione addotta dalla Corte non presenta motivi di illogicità manifesta perché é giustificata da una motivazione congrua ed esaustiva; al contrario di quanto affermato in ricorso, essa prospetta fatti, quali l'accurata volontà di mantenere segreta e non visibile all'esterno la relazione intima, che letti anche alla luce dei passaggi di valori tra la parte lesa ed il R. , rendono assolutamente congrua e convincente la ricostruzione formulata dalla Corte. Rimane, pertanto, assolutamente esclusa la possibilità di virare i fatti sotto specie di circonvenzione di incapace, che tale non era la parte lesa e che comunque é fattispecie delittuosa non ravvisabile quando l'atto pregiudizievole é indotto con la violenza e la minaccia, come nel caso in esame.
2.5 D'altra parte vale qui ricordare che il controllo di legittimità della Corte di cassazione non ha come scopo di stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione in esame sia, come nel caso di specie, compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. Restano escluse da tale controllo sia l'interpretazione degli elementi a disposizione del Giudice di merito sia le eventuali incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato. Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti né su altre spiegazioni, per quanto plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal ricorrente. (Sez. 6, Sentenza n. 1762 del 15/05/1998 Cc. - dep. 01/06/1998 -Rv. 210923; sì vedano anche Cass. Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
2.6 Ciò vale anche per il motivo relativo al diniego delle attenuanti generiche, che la Corte ha formulato con riferimento oggettivo, al protrarsi per lungo tempo della condotta criminosa ed alla elevata consistenza del danno cagionato alla parte lesa, e soggettivo, con riferimento all'intensità del dolo ed alla assoluta incapacità dell'imputato di apprezzare il disvalore della propria condotta. Il ricorrente si limita a contestare il giudizio dato dalla Corte contrapponendo la incensuratezza dell'imputato, in tal modo reiterando il vizio del motivo di ricorso che mira solo ad accreditare una diversa lettura degli elementi valutati dalla Corte. 3. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile: ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).
3.1 Il ricorrente va anche condannato a rifondere alla parte civile le spese del grado che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende nonché alla rifusione in favore della parte civile C.M.R. , delle spese del grado che si liquidano in Euro 2500,00 oltre e IVA e CPA.
07-06-2013 23:32
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