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Sentenza

Medico non dispone il parto cesareo, ma dalla perizia non emerge la certezza che avrebbe evitato la morte del feto.
Medico non dispone il parto cesareo, ma dalla perizia non emerge la certezza che avrebbe evitato la morte del feto.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 31 gennaio - 30 maggio 2013, n. 23339
Presidente Brusco – Relatore Dovere

Ritenuto in fatto

1. G.M. è stato giudicato dal Tribunale di Torino responsabile della morte del piccolo F.P. , perché, quale dirigente medico in servizio presso il reparto di ostreticia e ginecologia dell'ospedale (omissis) , la notte tra il (omissis) , per colpa generica ed in particolare per non aver correttamente interpretato il tracciato cardiotocografico del feto e quindi ritardando senza apparente motivo il parto con taglio cesareo, ha causato la morte del neonato, sopraggiunta il (OMISSIS) quale exitus dello stato di grave ipossia e compromissione generalizzata, in particolare cerebrale.
La Corte di Appello di Torino ha riformato tale decisione unicamente in relazione al trattamento sanzionatorio, che ha ridotto a mesi sei di reclusione, confermandola nel resto.
2. Avverso la sentenza di secondo grado ricorre per cassazione il G. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Fabrizio Mastro.
2.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 40 e 589 cod. pen., censurando il giudizio concernente il nesso causale tra la condotta ascritta all'imputato e l'evento prodottosi. Ad avviso dell'esponente la Corte di Appello, richiamandosi al principio secondo il quale il nesso causale sussiste ogni qualvolta il tempestivo e corretto intervento sanitario sarebbe stato idoneo a produrre serie ed apprezzabili possibilità di successo per salvare la vita del paziente anche se non la piena certezza, applica un principio giuridico superato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, a partire dalla sentenza in causa Franzese (SU n. 30238/2002), per la quale la sussistenza del nesso causale deve poter essere affermata con alto grado di credibilità razionale o probabilità logica.
2.2. Con un secondo motivo deduce vizio motivazionale in relazione a talune risultanze processuali. In particolare la Corte di Appello ha assento che la gravità delle condizioni patologiche del bambino erano state proporzionali alla durata della sofferenza determinata dal ritardo imputabile al G. ; ritardo che aveva impedito di recuperare la vitalità del feto, mentre il danno era ancora reversibile. Rileva l'esponente che l'assunto è smentito dalle conclusioni dei cc.tt., in particolare quelli del p.m., che hanno esplicitato come la scienza medica non permetta di escludere con certezza che i sintomi patologici riscontrati alle ore 5,20 - per i giudici di merito decisivo cardine temporale della vicenda - non fossero già in se stessi idonei a condurre al gravissimo insulto ipossico e alle conseguenze ad esso correlate. In assenza di una legge scientifica di copertura l'elevato grado di credibilità razionale non può raggiungersi dimostrando la coerenza e la tenuta complessiva dell'impianto probatorio. Nel caso di specie resta il dato dell'assenza di acquisizioni scientifiche in forza delle quali poter affermare la idoneità ex ante di un taglio cesareo eseguito d'urgenza ad impedire lesioni gravissime ad esito mortale ad un feto che ha già subito un grave insulto ipossico. Inoltre, svariati elementi probatori, analiticamente esposti dal ricorrente, deponendo per l'esistenza di una sofferenza fetale importante antecedente alle ore 5,20, escludono che possa dirsi conseguito un alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica in ordine alla sussistenza del nesso causale, sotto il profilo dell'efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito.
Né sarebbe corretto affermare la sussistenza del nesso causale sulla scorta del criterio dell'aumento di chanches di salvezza del comportamento alternativo lecito - come, ad avviso dell'esponente, ha fatto il giudice di prime cure - perché si tratta di un criterio non accettato dall'ordinamento nazionale.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
3.1. I motivi articolati con il ricorso manifestano l'acquiescenza dell'imputato rispetto all'affermazione di una sua condotta colposa, consistita nell'aver ritardato la decisione e l'esecuzione del parto cesareo, pur in presenza di una gamma di indicatori che ne segnalavano la necessità e l'urgenza. Invero, il profilo della colpa in senso oggettivo è risultato incontroverso già nel corso del giudizio di primo grado, come segnalato dal Tribunale.
Si può far quindi riferimento alla ricostruzione dei fatti operata dai giudice di merito.
La signora C..M. , in attesa del terzo figlio, a seguito di una gravidanza svoltasi regolarmente, venne invitata dal ginecologo che l'aveva seguita, Dott. Br..Gi. , a presentarsi presso l'ospedale (OMISSIS) . In tale occasione venne riscontrata una riduzione del liquido amniotico e deciso il ricovero per il giorno seguente. Il (OMISSIS) la donna venne visitata dal dottor G. , il quale rilevò l'assenza di contrazioni uterine e le annunzio l'utilizzo di tecniche per l'induzione del parto spontaneo, fermo restando che ove questo non fosse intervenuto, alle ore 8,00 del XXXXXXXX si sarebbe proceduto con parto cesareo. La M. iniziò ad avere le prime contrazioni nella tarda serata del XX giugno; alle ore 4,15 venne visitata da un'ostetrica, senza che fossero rilevate particolarità (contrazioni irregolari, BFC presente e regolare); un'ulteriore visita venne eseguita alle ore 5,05, registrando contrazioni uterine irregolari, 3 cm. di dilatazione, rottura spontanea delle membrane con scolo di liquido fortemente tinto; un quarto d'ora dopo, in presenza di una dilatazione di 4 cm., di contrazioni uterine irregolari, di BCF regolare, ed eseguito un monitoraggio CTG fetale, venne somministrato Syntocinon SUI. Altri controlli vennero eseguiti alle 6,10, alle 6,50, alle 7,15, constatando un progressivo ampliamento della dilatazione (sino a 9 cm.) e contrazioni regolari. Alle 7,45 venne tuttavia rilevata una brachicardia e si procedette all'estrazione del feto.
Il bambino nacque con un giro di funicolo attorno al collo e un giro a bandoliera, con indice APGAR 1 e 4, liquido amniotico fortemente tinto di meconio all'espulsione. Subito rianimato ed intubato, il neonato risultò non reattivo agli stimoli; alle ore 12,00 ebbe una crisi convulsiva; alle ore 14,00 fu rilevata ipertermia e tachicardia, in sede di consulenza neuropsichiatrica venne diagnosticato stato di coma, con postura discretamente ipotonica, assenza di motricità spontanea e riflessa, pupille fisse in miosi; il referto dell'elettroencefalografia delle ore 12,05 fu di grave depressione dell'elettrogenesi, conseguente a sofferenza cerebrale acuta. Poi le condizioni di salute del neonato peggiorarono sino alla morte del (OMISSIS) , per una grave insufficienza respiratoria in soggetto con grave compromissione cerebrale, la cui causa fu individuata in un insulto ipossico grave e prolungato, verosimilmente risalente ad ostruzione acuta e di recente insorgenza del flusso ematico nel cordone ombelicale.
3.2. Secondo il giudizio scaturito dal doppio grado di merito, al più tardi alle ore 5,30 vi erano indicazioni per procedere con urgenza all'esecuzione del parto cesareo. Infatti erano presenti più fattori di sofferenza fetale, in concomitanza ad un travaglio che non consentiva di prospettare come prossimo un parto naturale. Di particolare importanza, tra questi, il tracciato eseguito alle ore 5,20, incontrovertibilmente patologico, giacché la frequenza cardiaca fetale era corrispondente al massimo del range ritenuto normale e rassicurante (una lieve tachicardia costituisce una delle risposte del feto all'ipossia); la variabilità del ciclo cardiaco, che da indicazioni sul benessere dell'organismo del feto, era nel caso di specie intorno o lievemente inferiore a valore cinque ed anche questo era un segnale di Ipossia; le accelerazioni della frequenza cardiaca, anch'essa indicativa del benessere fetale, erano assenti; le decelerazioni, la cui interpretazione è più complessa, nel caso specifico inducevano comunque ad un giudizio di gravità delle stesse. A ciò si aggiungeva la rottura della membrana alle ore 5,05, che aveva evidenziato liquido amniotico tinto di meconio,che in rapporto sinergico con il tracciato cardiografico patologico dava conferma di una condizione di sofferenza fetale.
In conclusione, nella condotta dell'imputato sono stati ravvisati più profili di colpa: nonostante una serie di indicatori che imponevano uno stretto monitoraggio della situazione egli aveva affidato per circa due ore la puerpera alle cure esclusive di un'ostetrica rimanendo assente anche in prossimità della fase espulsiva; tale comportamento evidenziava una sottovalutazione del rischio, sfociato in un atteggiamento attendista costituente imperizia e imprudenza di particolare gravità, posto che la sofferenza fetale segnalata dai due indicatori combinati poteva essere affrontata attraverso il parto cesareo d'urgenza mentre invece fu perseguita la strada del parto naturale, con ulteriore assunzione del rischio legato al trattamento farmacologico che, secondo la letteratura e comune esperienza, è fattore di accrescimento dello stress per il feto durante il travaglio. Inoltre il G. era incorso in una grave negligenza anche quando aveva mancato a lungo ed ingiustificatamente di porre attenzione all'evoluzione della situazione, nonostante la pregressa conoscenza del caso clinico della paziente e delle sue diminuite energie per i disagi fisici e psichici affrontati nei due giorni di ricovero. In particolare, il giudice dell'appello rimarcava che l'imputato aveva colposamente errato nel procrastinare l'intervento e nel somministrare alla puerpera dell'ossitocina.
3.3. Già i giudici di merito hanno rimarcato come il punto maggiormente controverso sia quello relativo al nesso di causalità, sotto il profilo della idoneità del comportamento alternativo lecito ad evitare la grave patologia cerebrale e quindi le successive complicanze. Il ricorrente contesta la soluzione rinvenuta dai giudici, per due e convergenti ragioni. Da un canto, l'indisponibilità di una legge scientifica di copertura in forza della quale poter affermare la idoneità ex ante di un taglio cesareo eseguito d'urgenza ad impedire lesioni gravissime ad esito mortale ad un feto che ha già subito un grave insulto ipossico; dall'altro l'irricevibilità nell'ordinamento nazionale del criterio dell'aumento di chanches, al quale si riconduce il giudizio per il quale la condotta doverosa mancata dal G. avrebbe avuto "serie ed apprezzabili possibilità di successo per salvare la vita del paziente anche se non la piena certezza".
Orbene, tali censure chiamano in causa il c.d. giudizio contro-fattuale, il quale impone di accertare se la condotta doverosa che non è stata tenuta fosse stata in grado, qualora eseguita, di evitare l'evento concretamente verificatosi.
3.4. L'operazione intellettuale che va sotto il nome di giudizio contro-fattuale richiede che venga preliminarmente descritto ciò che è accaduto; solo dopo aver accertato che cosa è successo (si propone al riguardo la definizione di giudizio esplicativo) è possibile chiedersi cosa sarebbe stato se fosse intervenuta la condotta doverosa (giudizio predittivo). Si tratta di una puntualizzazione tutt'altro che neutrale sul piano delle implicazioni. Basti pensare che se del giudizio predittivo si ammette la validità anche in presenza di esiti non coincidenti con la certezza processuale (oltre ogni ragionevole dubbio), sicché può dirsi che la condotta doverosa avrebbe avuto effetto impeditivo anche se tanto può affermarsi solo con elevata probabilità logica, per il giudizio esplicativo la certezza processuale (nei sensi sopra indicati) deve essere raggiunta. Ove si tratti di reati omissivi impropri può dirsi che la situazione tipica, donde trae origine l'indifferibilità dell'adempimento dell'obbligo di facere, deve essere identificata in termini non dubitativi; ove così non fosse non sarebbe possibile neppure ipotizzare l'omissione tipica.
Si tratta di piani correlati ma distinti; e non sembra ammissibile che i deficit di conoscenza che incidono sul giudizio esplicativo possano essere colmati da una particolare evidenza dell'attitudine salvifica del comportamento doveroso mancato, perché in realtà senza una preliminare incontroversa delineazione del quadro fattuale quell'attitudine si può predicare solo in termini astratti.
3.5. È appunto quanto si rinviene nel caso che occupa. La sentenza impugnata appare carente nella parte in cui argomenta intorno alla descrizione dell'accaduto, o meglio ancora del suo nucleo decisivo, ovvero il momento di insorgenza della sofferenza fetale. In assenza di una adeguata individuazione del momento di insorgenza dell'ipossia è impossibile sostenere che alle ore 5,20 il danno fosse ancora suscettibile di ulteriore ingravescenza piuttosto che stabilizzatosi in quello che risulterà accertato alla nascita del piccolo. È peraltro palese che se la compromissione delle condizioni di salute del feto fosse stata già alle ore 5,20 tale da non poter trovare rimedio in un sollecito parto cesareo, la condotta colposa del G. risulterebbe priva di effettiva incidenza causale.
La Cotte di Appello ha affermato che "il danno, se si fosse agito tempestivamente, era sicuramente reversibile alle 5,20... c'erano dati che confortavano l'ipotesi di inizio di ipossia alle 5,20, per cui si doveva intervenire, con tempestività, attraverso il taglio cesareo".
Il Collegio distrettuale non indica però quali siano i dati che "conforterebbero l'ipotesi” che l'ipossia fosse iniziata alle ore 5,20, di talché un pronto intervento avrebbe garantito la reversibilità del danno. Il giudizio esplicativo risulta molto più simile ad un'asserzione autoreferenziale che ad una connessione di fatti certi; sicché il giudizio in ordine all'efficacia impeditiva di un tempestivo intervento risulta elaborato a partire da un presupposto non adeguatamente corroborato dall'accertamento processuale.
È da ritenere che anche su questo specifico punto il giudice di secondo grado abbia inteso richiamarsi alla decisione del Tribunale, della quale ha condiviso pressocchè integralmente l'impianto.
Tuttavia la lacuna appena ravvisata non viene colmata neppure dalla sentenza di primo grado, che anzi incorre in una palese contraddittorietà. La pregevole tessitura della trama che sostiene il giudizio di responsabilità, irrobustita da una puntuale ricognizione degli elementi della colpa e persi no ornata di un congruo richiamo ai principi che sovrintendono all'accertamento del nesso causale, manifesta perdita di tenuta ed anzi una frattura logico-giuridica lì dove si tratta di fissare la pietra d'angolo del giudizio contro-fattuale.
Il Tribunale ricorda che i consulenti tecnici del pubblico ministero si erano espressi nel senso che "non è possibile stabilire, neppure in termini di mera verosimiglianza, attorno a quale ora il danno ipossico è diventato incompatibile con la vita". Proprio per tale ragione gli esperti si erano astenuti dal fare affermazioni sulla valenza dell'intervento: "non possiamo peraltro dire se un anticipo della nascita di due ore avrebbe modificato gli esiti dal momento che il tracciato cardiotografico già presentava anomalie che sono spesso associate con esiti molto gravi", aggiungendo che già alle ore 5,20 vi erano i segni di patologia chiara, indicatori che già in quel momento il feto doveva essere ipossico e già anche acidotico.
Rispetto a tali indicazioni il Tribunale opera quella che definisce ragionevole interpretazione delle stesse, in virtù della quale quelle permetterebbero di affermare che "non essendo dato conoscere il momento esatto iniziale della sofferenza, non si potrebbe escludere che anche un cesareo effettuato attorno alle ore sei non avrebbe scongiurato lesioni cerebrali di una certa consistenza e gravità, così come non potrebbe peraltro escludersi che non vi sarebbero stati invece danni apprezzabili".
Ma, all'evidenza, una simile interpretazione - che, sembra di capire, vorrebbe concorrere a rendere persuasivo il giudizio causale - è invero incapace di risolvere il dubbio circa l'insorgenza dell'ipossia già prima delle ore 5,20 (ad esempio subito dopo le ore 4,15, momento al quale risalgono le ultime ascultazioni del battito cardiaco) e la sua gravità a tal ora. Da un canto conferma che anche per il Tribunale (e quindi per la Corte di Appello) l'accertamento processuale non ha consentito di individuare il momento di insorgenza della sofferenza; dall'altro pretende di trarre da siffatta incertezza un fattore non pregiudicante il giudizio contro-fattuale.
Il dato di valore assorbente sembra essere, per i giudici di merito, l'esistenza di una relazione diretta tra ritardo ed entità delle conseguenze a carico del feto. Non vi è ragione di dubitare di ciò; ma l'utilizzo nel caso concreto ed ai fini del giudizio contro-fattuale della legge scientifica che accredita l'aggravarsi delle conseguenze patologiche al protrarsi dell'ipossia richiede pur sempre che sia possibile affermare la natura non ancora irreversibile della compromissione della salute del feto alle ore 5,20.
Né è risolutivo affermare, come ha fatto il Tribunale, che "se non si riconoscesse efficacia sotto il profilo causale al perdurare della condizione lesiva, equiparandosi un insulto ipossico di pochi minuti a quello protratto per ore, risulterebbe difficile spiegare il mancato verificarsi di una morte intrauterina o in concomitanza del parto". Infatti, anche quest'affermazione postula la conoscenza del momento di insorgenza dell'insulto ipossico, la quantificazione della sua durata, l'esplicitazione della relazione tra questa e sopravvenienza della morte.
Quanto all'affermazione che ricava "una condizione di normalità fino ad un momento prossimo alla rottura delle membrane" dalla sopravvivenza del neonato e dall'aumento di peso ponderale nei due mesi successivi al parto, essa non risulta accompagnata dalla esplicazione della legge scientifica che permette di instaurazione un simile rapporto causa-effetto, nonostante il Tribunale mostri di dare ad essa un ruolo decisivo nell'intero impianto motivazionale (pg. 17-18).
Appare poi monca l'ampia citazione delle osservazioni formulate dalla difesa con l'ausilio del proprio consulente tecnico (pg. 16 e 17), posto che quelle non sembrano prima facie militanti in senso accusatorio e non ne viene esplicato il reclutamento in favore del giudizio di responsabilità; e, soprattutto, che esse non vengono analizzate in funzione del giudizio esplicativo.
4. La sentenza deve quindi essere annullata, con rinvio alla Corte di Appello di Torino perché proceda, ove possibile e alla luce dei principi qui posti, in via preliminare all'accertamento della efficienza impeditiva della condotta che il G. avrebbe dovuto tenere secondo le legis artis, ad una nuova formulazione del giudizio esplicativo, con particolare riferimento al momento di insorgenza della ipossia cerebrale del feto.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Torino per nuovo esame.
Avv. Antonino Sugamele

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