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Sentenza

Madre detenuta. No al rinvio dell'esecuzione della pena perchè non aveva affidata la figlia di 6 mesi.
Madre detenuta. No al rinvio dell'esecuzione della pena perchè non aveva affidata la figlia di 6 mesi.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 aprile – 20 maggio 2013, n. 21367
Presidente Chieffi – Relatore Rocchi

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, con ordinanza del 21/8/2012, respingeva l'istanza di differimento obbligatorio di pena avanzata da M.V. , detenuta per un cumulo di pene di anni tre, mesi undici e giorni 24 di reclusione.
Il Magistrato di Sorveglianza di Roma aveva in precedenza respinto istanza avanzata ai sensi dell'art. 684, comma 2, cod. proc. pen., osservando che la figlia della condannata, venuta alla luce nel gennaio 2012, era di fatto affidata ad altri, come dimostrava che, in occasione dell'arresto della M. , la bambina non era stata ospitata presso l'asilo nido della Casa Circondariale di Roma Rebibbia.
Il Tribunale rilevava che, al momento dell'arresto della M. , era stata riscontrata la presenza di una bambina che, peraltro, non era stata identificata nella figlia della condannata; né alcuno dei bambini presenti nell'abitazione della donna che le aveva dato ospitalità era stato indicato come figlio della M. . La condannata, pur avendo avuto numerosi colloqui con il suo convivente e con l'altra figlia, nata nel XXXX, non aveva mai visto la neonata, che non gli era stata mai portata: ciò induceva a ritenere che la piccola fosse di fatto affidata a persone diverse dallo stesso convivente, nonostante questi avesse affermato il contrario, pur indicando un domicilio diverso da quello indicato dalla M. .
Sussistendo, quindi, la circostanza indicata dall'art. 146, ultimo comma, cod. pen., l'istanza veniva respinta.
2. Ricorre per cassazione M.V. , deducendo la violazione ed erronea interpretazione dell'art. 146, comma 2, cod. pen. e il difetto di motivazione.
Il rigetto dell'istanza si fondava sull'affidamento di fatto della neonata, mentre la norma deve essere interpretata nel senso di richiedere un affidamento formale, come risulta dall'inserimento della previsione in un elenco di provvedimenti o eventi di natura civilistica.
Le risultanze del procedimento erano state, poi, travisate: il verbale di arresto faceva riferimento alla presenza di una "bambina", espressione che il Tribunale aveva arbitrariamente interpretato come indicante una bambina di età superiore a quello di una neonata, mentre i due termini sono sinonimi; quindi la bambina presente nel domicilio della M. era la neonata I. , di mesi sei. Il fatto, poi, che il giorno dell'arresto la bambina non si trovasse nello stesso luogo in cui si nascondeva la M. era irrilevante, potendo derivare da scelta della madre. Tale circostanza era stata ritenuta prevalente sulla dichiarazione, resa nelle forme di atto notorio, del convivente che affermava che la bambina conviveva con lui e con la madre presso il medesimo indirizzo. Le conclusioni dell'ordinanza erano, quindi, basate su congetture.
La ricorrente conclude per l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
3. Il Procuratore generale, nella requisitoria scritta, conclude per il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.
L'interpretazione dell'art. 146, comma 2, cod. pen. proposta dalla ricorrente, per cui solo l'affidamento formale del figlio minore di anni uno ad altre persone impedisce il differimento obbligatorio della pena nei confronti della madre, non trova alcun aggancio nel testo della norma - che, non a caso, non richiama gli istituti giuridici civilistici concernenti l'affidamento dei minori - né è giustificato dalla ratio della previsione.
La norma, infatti, è diretta a tutelare il rapporto del figlio con la madre, sia durante la gravidanza che dopo il parto, ritenendo che detto rapporto, nel primo anno di vita del bambino, rivesta importanza tale, per la tutela dell'integrità psicofisica del minore, da sopravanzare l'interesse dello Stato ad eseguire una pena ormai definitivamente stabilita; ma tale eccezione - così come quella prevista dall'art. 146, comma 1, n. 3 cod. pen. - si giustifica solo con riferimento alla situazione concreta ed effettiva in cui la madre e il figlio si trovano, cosicché la veste giuridica eventualmente assunta da tale situazione fattuale è irrilevante.
Ovviamente, un provvedimento formale di affidamento del bambino adottato da un giudice civile sarebbe indicativo di una situazione di fatto sottostante corrispondente a quanto disposto, ma la mancanza di tale provvedimento non impedisce di ritenere che un affidamento di fatto ad altri vi sia stato, così da valutare insussistente l'esigenza di tutela del minore approntata dall'art. 146 cod. pen..
2. Le censure concernenti il travisamento della situazione concreta del rapporto tra madre e figlio precedente all'arresto della M. sono infondate: il Magistrato di Sorveglianza e il Tribunale di Sorveglianza hanno individuato specifiche circostanze di fatto sulla base delle quali, con motivazione niente affatto manifestamente illogica o contraddittoria con atti del processo, hanno ritenuto che il figlio della M. sia di fatto affidato ad altre persone.
Il ricorso deve, quindi, essere respinto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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