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Sentenza

Litisconsorzio necessario nel condominio debbono essere citate tutte le parti.
Litisconsorzio necessario nel condominio debbono essere citate tutte le parti.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 9 luglio – 13 novembre 2013, n. 25454
Presidente Rovelli – Relatore D'Ascola

Svolgimento del processo

1) G..S. , premesso che la Cooperativa edilizia Azzurra srl, che aveva realizzato il fabbricato sito in (omissis) , gli aveva assegnato un box (mappale 85) cui si accedeva tramite uno spazio condominiale (mappale 97 o 94), ha agito nell'aprile 1993 contro G.P..D.G. , chiedendo che fosse dichiarato che tutta la consistenza della particella 94, di cui alla concessione edilizia 42/88 del Sindaco di Otranto, costituiva area condominiale; che il convenuto ne aveva illegittimamente occupata una porzione; che doveva essere ordinato all'occupante di abbattere il muretto di recinzione edificato.
D.G. ha resistito, eccependo che egli era comproprietario dell'area, come delimitata, in forza di assegnazione del 28. 3. 1991, precedente alla assegnazione in favore dello S. e basata sul secondo accatastamento dell'immobile, il quale, a differenza del primo, era conforme alle autorizzazioni edilizie comunali.
1.1) Il tribunale di Lecce ha accolto le deduzioni di parte convenuta e rigettato la domanda.
La locale Corte di appello il 13 aprile 2005 ha confermato la sentenza di primo grado. Il 29 maggio 2006 S. ha notificato tempestivo ricorso per cassazione, affidato a due complessi motivi.
D.G. ha resistito con controricorso.
Acquisita memoria del ricorrente, la causa è stata discussa il 14 novembre 2012 e, su rilievo del P.g., che ha ipotizzato la configurabilità di un'ipotesi di litisconsorzio necessario, è stata rimessa al primo Presidente, il quale l'ha destinata alle Sezioni Unite, poiché quest'ultima questione è contrassegnata da contrasti giurisprudenziali.

Motivi della decisione

2) La questione su cui le Sezioni Unite sono state interpellate dalla Seconda Sezione (ordinanza n. 22825/12) concerne la configurabilità del litisconsorzio necessario, nei confronti di tutti i comprorietari, relativamente a una controversia introdotta da un condomino contro altro condòmino, per far accertare che un tratto di area di parcheggio condominiale, da destinare a spazio di manovra, era stato inglobato abusivamente dal convenuto nella propria autorimessa, con la condanna dell'occupante alla rimozione dei manufatti a tal fine realizzati.
Il problema va riguardato sia con riferimento al profilo dell'esercizio dell'azione, che con riferimento alla legittimazione passiva, chiedendosi se debbano essere evocati in giudizio tutti i condomini e, in caso di risposta positiva, se l'azione sia esercitabile nei confronti del solo amministratore.
3) Può giovare prendere le mosse da quanto efficacemente sintetizzava, nel 1996, Cass. n. 7705.
Ivi si legge: “In tema di controversie relative a questioni condominiali bisogna distinguere tra ipotesi in cui non è necessario il litisconsorzio, e quindi la chiamata in giudizio di tutti i partecipanti al condominio (come quando si controverta tra condomini per il diritto all'uso della cosa comune (Cass. 27.1.1988 n. 734; 15.6.1968 n. 1930) ovvero l'azione sia stata proposta a difesa dei diritti, anche reali, del condominio nei confronti di terzi (Cass. 25.6.1994 n. 6119: 7.6.1988 n. 3862) oppure a tutela della proprietà comune (Cass. 28.4.1993 n. 5000; 18.2.1987 n. 1757) per la eliminazione di opere abusive), e ipotesi in cui tale partecipazione è indispensabile perché altrimenti la sentenza sarebbe inutiliter data, trattandosi di litisconsorzio necessario (come quando il singolo condomino, convenuto in rivendicazione di un bene condominiale, eccepisca la sua proprietà esclusiva di detto bene (Cass. 7.7.1988 n. 4475; 9.3.1982 n. 1511); ovvero la domanda sia diretta all'accertamento della proprietà condominiale di un bene (Cass. 26.10.1992 n. 11626; 14.10.1988 n. 5566); oppure il giudizio sia promosso da un condomino per sentirsi riconoscere comproprietario del bene comune posseduto da altro condomino, il quale deduca, in via riconvenzionale, la vendicatasi usucapione del bene (Cass. 21.10.1992 n. 11509; 24.8.1991 n. 9092) in suo esclusivo favore”.
3.1) Secondo la sentenza citata, fautrice di un orientamento che a quel tempo era dominante, in un caso come quello odierno, che vede il convenuto resistere alla azione di rivendicazione semplicemente negando la condominialità del bene e affermandosene proprietario esclusivo, senza tuttavia agire con domanda riconvenzionale per apposita declaratoria, sussisteva un'ipotesi di litisconsorzio necessario con tutti i condomini (cfr. Cass. 8666/01; 2925/01; 8468/00; 8119/99; 4520/98; 12255/97; 10609/96;).
Almeno a partire dai commenti critici alla sentenza 7705/96, si è andata affermando una distinzione di notevole rilievo, puntualmente evidenziata nell'ordinanza di rimessione, volta a ravvisare "la necessità di integrare il contraddittorio soltanto nel caso in cui il convenuto proponga a sua volta domanda riconvenzionale per l'accertamento della proprietà esclusiva del bene (cfr. Cass. 12439/2000; 5190/02; 19460/05; 27447/06)".
3.2) Il contrasto si è radicato, cosicché occorre ora registrare, come segnalato tempestivamente dall'ufficio del Massimario, a favore dell'affermazione del litisconsorzio necessario: Cass. 6056/06, la quale ha affermato che l'aver posto in discussione l'esistenza della condominialità e, quindi, di un rapporto soggettivo unico ed inscindibile impone l'integrazione del contraddittorio con tutti i condomini, indipendentemente dalla mancata proposizione di una domanda riconvenzionale di riconoscimento della proprietà esclusiva.
Cass. 6607/12, che ha affermato che “il giudizio deve svolgersi nei confronti di tutti gli altri partecipanti al condominio stesso, i quali, nel caso di esito della lite favorevole agli attori, non potrebbero altrimenti né giovarsi del giudicato, ne1 restare terzi non proprietari rispetto al convenuto venditore-costruttore, che era stato convenuto da alcuni soltanto dei condomini per far dichiarare la condominialità di un vicolo di accesso pedonale al fabbricato”.
Cass. 10996/13, che ha ripreso il precedente del 2006.
3.3) Sul versante opposto si pongono, tra i più recenti arresti della stessa Seconda Sezione, Cass. 17465/12 e Cass. 4624/13, per le quali l'eccezione riconvenzionale di proprietà esclusiva sollevata da un condomino non da corpo a un'ipotesi di litisconsorzio necessario dei restanti condomini, che si verificherebbe, invece, ove egli proponesse, ai sensi degli artt. 34 e 36 cod. proc. civ., una domanda riconvenzionale diretta a conseguire la dichiarazione di proprietà esclusiva del bene, con effetti di giudicato estesi a tutti i condomini. Si è quindi osservato che se il convenuto oppone il proprio diritto al solo fine di far respingere la pretesa altrui, ne scaturisce un accertamento domandato incidenter tantum, al solo fine di paralizzare la pretesa avversaria.
A tal fine è stato ricordato che la parte convenuta in un giudizio di carattere reale può utilmente contrastare l'azione cosi1 esercitata nei suoi confronti, anche sollevando un'eccezione riconvenzionale di usucapione, senza necessità di formulare la relativa domanda (Cass. 20330/07). Inoltre si è precisato che il giudice, nell'esercizio del suo potere-dovere di controllare d'ufficio il rispetto del principio del contraddittorio nei casi di litisconsorzio necessario, deve prendere in considerazione esclusivamente le domande proposte dalle parti e non anche le eventuali eccezioni, ancorché riconvenzionali (Cass. n. 26422 del 2008).
4) Le Sezioni Unite ritengono che si debba comporre il contrasto dando seguito all'orientamento da ultimo riassunto.
La disciplina della materia muove dall'art. 102 cpc (che al primo comma reca: “Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo”), una norma in bianco che non specifica quando si sia in presenza di un rapporto unico con pluralità di parti, ma avverte che queste ultime devono essere chiamate tutte in giudizio quando tale rapporto sia ravvisabile. E la sussistenza di tale rapporto è questione di diritto sostanziale, che viene risolta, di volta in volta, cercando di individuare quand'è che una sentenza sia inutiliter data, perché resa in assenza di alcune delle parti "in confronto" delle quali avrebbe dovuto essere pronunciata.
La verifica del rispetto della norma risiede quindi, secondo l'intuizione chiovendiana prevalsa nella scienza processualcivilistica, nell'utilità che può derivare da una pronuncia qualora il giudizio si svolga in assenza di altri soggetti potenzialmente coinvolti nel rapporto.
4.1) Non è questa la sede per dar conto dei distinguo emersi in ordine: al rapporto tra l'art. 81, norma fondamentale sulla legittimazione, e art. 102; ai limiti della nozione di inutilità della sentenza; alla scindibilità in rapporti giuridici bilaterali di taluni rapporti giuridici unici, ma con più parti.
Si può però affermare, in accordo con la dottrina e confermando il percorso che la giurisprudenza sembra avere intrapreso, che per stabilire se una sentenza sia utile occorre rintracciare gli effetti che ciascuna azione può conseguire e in relazione ad essi "individuare i soggetti che debbono partecipare al processo".
Ciò sposta l'attenzione, è stato scritto, dalla causa petendi al petitum, dalla astratta configurazione del rapporto all'attitudine del provvedimento giurisdizionale invocato a soddisfare la pretesa che sia riconosciuta come fondata.
Si spiega così che in dottrina e giurisprudenza si possano registrare, senza peccare di incoerenza, dinieghi o affermazioni della necessità del litisconsorzio, in relazione a come si atteggiano le domande.
4.2) Restando nel campo che ci impegna, conviene concentrare l'attenzione sulle domande relative all'accertamento di un diritto reale, tenendo presente che si discute di una fattispecie in cui la conseguente richiesta di condanna è proposta nei confronti del solo convenuto.
In questa materia è stata affermata la necessità del litisconsorzio in caso di domanda volta all'accertamento negativo e di situazione sostanziale sorretta da un titolo di legittimazione in senso formale.
In una condizione siffatta è inutile una sentenza che affermi, in ipotesi, l'usucapione da parte di Tizio nei confronti di Caio, che vantava un titolo di acquisto ed era quindi in grado di alienare l'immobile a terzi di buona fede, se pronunciata in assenza degli aventi causa di Caio. La dottrina che ha proposto questo esempio ha osservato opportunamente come sia da considerare inutile, nella varie ipotesi di conflitto tra titolo formale e situazione di fatto, una pronuncia quando il convenuto non sia titolare esclusivo della situazione giuridica di cui l'attore contesta l'esistenza.
In tali casi l'affermazione della prevalenza del diritto dell'attore non consegue la finalità dell'azione, che è quella di sancire il diritto dell'attore mediante l'eliminazione del titolo di legittimazione che fonda la proprietà e gli altri diritti reali eventualmente "imputabili congiuntamente a più soggetti".
4.3) Nulla di tutto ciò si verifica quando, a Tizio che si affermi comproprietario del bene, il convenuto in revindica opponga un diniego volto soltanto a resistere alla domanda, senza svolgere domanda riconvenzionale e quindi senza mettere in discussione, con finalità di ampliare il tema del decidere e di ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato, la proprietà degli altri soggetti.
Vista dal lato del convenuto la partecipazione al giudizio degli altri soggetti (nella specie: i condomini) non è necessaria, perché egli resta soddisfatto dal rigetto della pretesa attorea, che implica il mantenimento della sua situazione favorevole di possesso del bene, contro la quale l'attore si era attivato; non è necessario, per conseguire questo già rilevante risultato, ottenere un titolo giudiziale opponibile ai comproprietari.
4.4) Anche vista dal punto di vista dell'attore, la integrazione del contraddittorio non è necessaria, poiché egli mira solo a far valere la propria posizione di comproprietario e non mira a far accertare la comproprietà dei condomini non partecipi al giudizio.
La pronuncia non può essere tacciata di inutilità.
Qualora l'attore riesca vincitore, otterrà il riconoscimento della propria condizione di comproprietario e la demolizione dei manufatti, posti in essere dal convenuto al fine di delimitare l'area che quest'ultimo afferma di avere acquistato e che gode in via esclusiva.
Qualora risulti vincitore il convenuto, questi resta esposto ad analoghe iniziative giudiziarie del condominio o di altri comproprietari, ma avrà comunque conseguito l'utile effetto di respingere la pretesa del soggetto più determinato a rivendicare il bene, senza stimolare un accertamento in confronto di soggetti allo stato disinteressati, accertamento che potrebbe risultare quindi del tutto superfluo.
5) È comprensibile a questo punto perché la Corte non abbia portato subito l'attenzione, ai fini di valutare la configurabilità del litisconsorzio, sul lato attivo della pretesa, tanto per i profili relativi all'accertamento della proprietà, quanto per quelli relativi alla condanna al rilascio.
Alla luce di questa ricostruzione, risulta più chiaro come sia condivisibile e da mantenere l'orientamento, risalente agli anni '50, secondo cui le azioni a tutela della proprietà e del godimento della cosa comune e in particolare l'azione di rivendica
possano essere promosse anche soltanto da uno dei comproprietari, senza che si renda necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini (Cass. 2106/00; 11199/00; 4354/99).
Ciò si è detto vuoi perché “il diritto di ogni partecipante al condominio ha per oggetto la cosa comune intesa nella sua interezza, pur se entro i limiti dei concorrenti diritti altrui” (Cass. 14765/12; 19460/05); vuoi perché compete ad ogni condomino la tutela dei diritti comuni(Cass. 8842/01; 7795/02; 3574/99; 629/99; 9510/97), sussistendo il principio della "rappresentanza reciproca" (Cass. 7827/03); ed ancora perché essa non tende a una pronuncia con effetti costitutivi (Cass. 6697/02).
5.1) Il Collegio ha riconsiderato attentamente la serrata critica che un'arguta dottrina ha portato, negli anni '70, alla tesi accolta, che è stata accusata di incoerenza.
È stato osservato che nell'azione di rivendica l'attore deduce il diritto di proprietà, allo stesso modo in cui lo espone il convenuto che resista e agisca in via riconvenzionale contestando la comproprietà di altri soggetti. L'accertamento sollecitato dall'attore condomino sarebbe sufficiente a coinvolgere nel processo gli altri comproprietari. La tesi non convince: tralasciata la querelle sull'oggetto del giudizio di rivendica, non essenziale ai nostri fini, in primo luogo si può obiettare che sul comproprietario che agisce per l'accertamento del suo diritto e il conseguente rilascio incombe la prova dell'acquisto di una quota del bene e non di quale sia l'esatto regime proprietario del bene stesso.
Non chiede quindi che sia accertata con efficacia di giudicato la posizione degli altri comproprietari.
Ma vi è di più. Il fondo, non celato, della tesi che sostiene la configurabilità del litisconsorzio ogni qualvolta l'azione abbia come presupposto l'accertamento della proprietà è il seguente: sarebbe compromessa la situazione del comproprietario pretermesso e risulterebbe sconveniente l'accertamento del rapporto giuridico in assenza di soggetti che ne sono partecipi.
Negata la rilevanza del concetto di sentenza inutiliter data, la attenzione viene trasferita sulla sconvenienza che sarebbe riconoscibile nel pregiudizio che comunque subirebbero i comproprietari non evocati in giudizio.
Senonchè questa dottrina è costretta ad ammettere che il pregiudizio è configurabile essenzialmente in via di fatto e a sottolineare la opportunità pratica della soluzione postulata, negando la distinzione chiovendiana tra necessità giuridica e opportunità pratica e assumendo che alla base dell'istituto del litisconsorzio vi sono solo esigenze pratiche che possono essere presidiate dal giudice, in deroga al principio dispositivo, ordinando l'integrazione del contraddittorio.
5.2) In questo modo si torna alla storica partizione che oppose i maestri della materia, tra l'indirizzo chiovendiano legato alle esigenze funzionali dell'istituto del litisconsorzio e quello contrapposto, imperniato su esigenze di convenienza ed opportunità pratica. Questa seconda impostazione è però non affidabile, perché ancorata a criteri meno verificabili di quelli funzionali; processualmente costosa perché prigioniera di possibili tattiche dilatorie; superata dalle molte sfaccettature giurisprudenziali cui l'orientamento privilegiato ha mostrato di saper dare risposta.
Basta richiamare esemplarmente, in quest'ottica, la recente sentenza di questo Collegio n. 11523/13, che ha sottolineato la rilevanza, ai fini dell'affermazione della sussistenza del litisconsorzio necessario, dell'interesse concreto delle parti, così regolando la complessa applicazione dell'istituto nelle controversie relative all'interposizione fittizia di persona nella vendita.
Va pertanto negata la necessità di integrare il contraddittorio con gli altri condomini, senza che possa assumere valore dirimente la possibilità teorica che dopo il rigetto dell'azione del singolo rimanga concepibile che a esperire analoga azione, questa volta con successo, sia il condominio e che in via di fatto il primo soccombente venga a giovarsene.
6)Venendo all'esame della controversia, va subito detto che contrariamente a quanto dedotto in ricorso (p. 12) sin dall'atto di citazione la materia del contendere ha ruotato intorno all'accertamento della proprietà. È sufficiente leggere lo stringato atto di citazione per constatare che in sede di conclusioni veniva richiesto al tribunale di: "dichiarare" che la particella 641 sub 94 (o 97) facente parte del complesso edilizio realizzato dalla Coop. Azzurra in Otranto, con licenza edilizia n. 42/80, "costituisce area condominiale"; "ordinare" al convenuto di abbattere il muretto di recinzione per renderne possibile il godimento a tutti i condomini; dunque è riscontrabile il contenuto proprio, quantomeno, di un'azione di accertamento della proprietà e restituzione di parte di essa abusivamente occupata.
E in ogni caso l'accertamento suddetto è stato richiesto da parte convenuta in via di eccezione riconvenzionale, poiché essa si è difesa opponendo i diritti portati da "un atto notarile che riconosce al D.G. la proprietà di quello spazio". Coerentemente a queste richieste si sono poste le pronunce di merito, che hanno qualificato la controversia nel senso che qui si esplicita, come è fatto palese dalle declaratorie rese in sentenza.
7) Il primo motivo di ricorso denuncia, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 18 l. 765/67 come specificato dall'art. 26 L. n. 47/85, dell'art. 9 L. 122/89; degli artt. 817, 818, 819 cod. civ., vizi di motivazione - Extrapetizione.
Sostiene che i vincoli tra unità immobiliari e area di manovra sorgono quando si costruisce il parcheggio e non con il provvedimento autorizzatorio; quest'ultimo servirebbe a individuare solo l'unità immobiliare di riferimento.
Ne desume che la Corte di appello avrebbe trascurato che l'area era entrata in uso dei condomini nelle forme indicate nel primo accatastamento, dal quale già risultava l'asservimento dell'area contesa ad uso condominiale. Le censure non meritano accoglimento.
Il cuore della decisione, che regge alla critica, è giuridicamente ineccepibile. Esso è costituito non dalle inconferenti e superflue osservazioni relative all'ampliamento e non alla diminuzione di area strettamente adibita a parcheggio che si sarebbe avuta con il secondo accatastamento, ma dal criterio utilizzato per individuare quale sia l'area condominiale o privata riservata al parcheggio.
Rilevano in tal senso le coerenti risultanze della concessione edilizia (o comunque dell'atto autorizzatorio), che identifica le aree vincolate alla destinazione prescritta dalla normativa in tema di parcheggi (art. 41 sexies L. 1150/42) e l'accatastamento (il secondo) già esistente al momento in cui il D.G. ebbe ad acquistare il suo appartamento.
È bene chiarire che a determinare quale sia l'area destinata a parcheggio è proprio e soltanto l'atto concessorio che vincola il costruttore a questa destinazione e che è il riferimento cui ancorare ogni controversia circa la natura condominiale o privata delle parti della costruzione.
Un'eventuale discrasia tra l'accatastamento, cioè la dichiarazione presentata dal costruttore/proprietario agli Uffici finanziari (nel tempo UTE, Agenzia del territorio, Agenzia delle Entrate) e la concessione edilizia va risolta avendo riguardo a quest'ultima, perché essa designa la entità della costruzione assentita e la destinazione impressa e approvata del bene da edificare.
L'edificazione avvenuta in conformità concretizza l'atto di assenso e l'acquirente che voglia verificare la legittimità del bene che va ad acquistare deve assicurarsi in primo luogo della corrispondenza materiale e documentale al provvedimento autorizzatorio.
È quindi nel giusto la Corte di Lecce nel portare la sua attenzione, come già il primo giudice, alla conformità tra progetto approvato e planimetria catastale redatta con il secondo accatastamento, già in essere, peraltro, al momento dell'acquisto S. .
Il secondo frazionamento, aveva già osservato il primo giudice, era valso a "ripristinare la legalità", regolarizzando la situazione.
6.1) Ciò basta a sorreggere correttamente la decisione impugnata e a smentire le contrarie tesi esposte in ricorso.
Superflue sono le osservazioni del giudice d'appello in ordine alla inesistenza di alcuna nullità ex art. 17 della legge 47/85, che non era in gioco, poiché non era stata eccepita e comunque era irrilevante ai fini dell'accertamento della proprietà della piccola porzione contesa, edificata grazie a concessione, indipendentemente dalla immediata destinazione effettiva, coerente o meno con quella assentita.
7) Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
Con una artificiosa lettura della sentenza 5933/91, parte ricorrente pretende che sia affermato che al proprietario esclusivo di un'area di parcheggio sia inibito recintarla ove ciò rechi qualche pregiudizio ad altro condomino.
Non è questo il contenuto della sentenza citata, che ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto una siffatta pretesa, proprio osservando che la recinzione era stata eseguita negli spazi di proprietà esclusiva dei due condomini, in assenza di un qualche divieto posto dal contratto d'acquisto o da un regolamento di condominio avente efficacia contrattuale.
In ogni caso, la suggestiva tesi sostenuta, che mira ad affermare che il singolo assegnatario non avrebbe diritto di recintare il proprio spazio di parcheggio acquistato in proprietà esclusiva, va respinta, non risultando dimostrato alcun limite alla proprietà risultante dal titolo di acquisto o dal regolamento condominiale.
La difficoltà di parcheggio conseguente alla recinzione, che non è denunciata quale atto emulativo, solo conseguenza di un acquisto effettuato confidando su un accatastamento superato e infedele, non opponibile al convenuto. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso.
Le spese di lite possono essere compensate, atteso che la sentenza impugnata, contenendo imprecisioni e sovrapposizioni argomentative, rendeva inappagante la decisione e che la questione sottoposta alle Sezioni Unite proveniva da contrasto giurisprudenziale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Spese compensate.
Avv. Antonino Sugamele

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