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Sentenza

Litiga con la moglie e chiama il cognato per notiziarlo del pestaggio e che lo stava raggiungendo per picchiarlo. Il cognato riceve uno schiaffo e gli spara contro un intero caricatore.
Litiga con la moglie e chiama il cognato per notiziarlo del pestaggio e che lo stava raggiungendo per picchiarlo. Il cognato riceve uno schiaffo e gli spara contro un intero caricatore.
Corte di Cassazione, Sez. I Penale, sentenza 16 – 22 aprile 2013, n. 18326
Presidente Bardovagni – Relatore Boni

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza resa il 17/01/2012 la Corte di Assise di Appello di Bari riformava parzialmente quella emessa all'esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato dal G.U.P. del Tribunale di Bari in data 3/2/2011, che confermava nel resto, e riduceva ad anni nove e mesi otto di reclusione la pena inflitta a E.G. , ritenuto responsabile dei delitti di detenzione e porto abusivi di arma da sparo e di omicidio volontario in danno del cognato C.R. , deceduto perché attinto da numerosi colpi di arma da fuoco, sparati dall'E. nel corso di una lite in (omissis).
1.1 In punto di fatto entrambe le sentenze avevano fondato la decisione su quanto riferito da E.M. , la quale aveva descritto l'aggressione violenta patita ad opera del marito C.R. allorché egli alla presenza dei due figli minori nel pomeriggio del (omissis) durante il tragitto di rientro da un pranzo al ristorante l'aveva percossa ed aveva chiamato al cellulare il di lei fratello G. , già in passato intervenuto in sua difesa durante altro episodio analogo, per informarlo in modo arrogante che stava picchiando la moglie e che stava per raggiungerlo. Il prosieguo della vicenda era stato riferito dallo stesso E. quando era stato individuato dopo il rinvenimento della persona del C. gravemente ferito a bordo della sua autovettura; egli aveva dichiarato che, ricevuta la chiamata del cognato che lo aveva informato in tono minaccioso che aveva picchiato la propria moglie e che era intenzionato a picchiare anche lui, alla sua richiesta di dove fosse gli aveva risposto di essere al lavoro ed il cognato l'aveva ivi raggiunto a bordo della sua autovettura, con la quale aveva preso ad urtare il cancello dell'azienda, intimandogli di uscire e minacciandolo. A quel punto egli aveva cercato di calmarlo per poter apprendere l'accaduto, ma il C. aveva continuato a ripetere che "aveva schiattato.. " sua sorella e che ora ".. toccava a lui e a tutti quelli che avrebbero preso le sue difese.. ", al che aveva aperto il cancello, ma aveva ricevuto uno schiaffo, cui aveva risposto con una spinta; il C. era però risalito a bordo della propria autovettura e, riavviato il motore, aveva cercato di investirlo, ma nella concitazione del momento aveva spento il motore ed egli, approfittando di tale momento favorevole, aveva prelevato da un bidone dell'immondizia situato nelle vicinanze una pistola che aveva lì nascosto e gli aveva esploso contro tutti i colpi contenuti nel caricatore, al che il C. , pur ferito, si era allontanato con la sua autovettura ed egli, temendo di averlo ucciso, si era reso irreperibile sino a che era stato fermato con l'accusa di omicidio, posto che il cognato, nonostante le cure, era deceduto il (…).
1.2 Entrambe le sentenze di merito escludevano la possibilità di riconoscere all'imputato l'attenuante della provocazione in ragione dell'inattendibilità delle dichiarazioni rese dall'imputato in ordine al momento ed al modo in cui si era armato; non era, infatti, credibile che egli avesse occultato l'arma in un punto adiacente a quello dello scolo delle acque piovane perché ciò l'avrebbe resa inservibile e non immediatamente disponibile in caso ne avesse dovuto fare uso nell'espletamento delle mansioni lavorative, per cui doveva concludersi che egli era già armato all'arrivo del C. e l'aveva volutamente affrontato, dopo avere allontanato la figlia, aprendo il cancello che era chiuso, anziché trattenersi all'interno dell'area recintata o chiamare le forze dell'ordine per il danneggiamento in corso del cancello da parte del cognato, in quanto determinato, a seguito dei maltrattamenti posti in essere ai danni della sorella e delle offese e minacce rivolte contro la sua persona, a porre termine alla descritta situazione con accettazione della sfida lanciatagli dalla vittima. L'accettazione della sfida l'aveva posto in una situazione di illiceità tale da escludere potesse beneficiare dell'attenuante della provocazione.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del suo difensore il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 62 n. 2 e 575 cod. pen. in quanto la Corte di Assise di Appello aveva basato la decisione di diniego dell'attenuante della provocazione sull'ultima fase della vicenda senza considerare i pregressi episodi contro la sorella e la sua persona, mentre la possibilità di chiedere l'intervento delle forze dell'ordine escludeva gli estremi della legittima difesa, ma non lo stato d'ira suscitato dai comportamenti sprezzanti ed offensivi della vittima.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e va respinto.
1 -Il gravame muove una sola censura alla sentenza impugnata per sostenere l'illegittima e contraddittoria esclusione della circostanza attenuante della provocazione, ma si risolve nella prospettazione di questioni di fatto, non consentite nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondate.
1.1 Invero, il ricorrente sostiene che sia "veramente eccessivo" valorizzare la inattendibilità della versione dei fatti dallo stesso resa circa l'incontro con il cognato ed i successivi eventi verificatisi per escludere la relazione causale tra la condotta della vittima e la propria reazione, ma ciò non equivale a proporre specifici argomenti di fatto o di diritto a sostegno della tesi della provocata reazione omicida, quanto una critica generica svincolata dall'accurato ed analitico percorso motivazionale presente nella sentenza gravata.
1.2 In particolare, i giudici di secondo grado hanno rilevato come la rinuncia a coltivare il motivo di appello diretto ad invocare il riconoscimento della scriminante della legittima difesa offrisse elementi per ritenere corretta la ricostruzione fattuale operata dal primo Giudice, che trovava ulteriore aggancio dimostrativo nella inverosimiglianza della versione dei fatti fornita dall'imputato circa l'avvenuto occultamento della pistola usata contro il C. nei pressi di un canale di scolo delle acque piovane perché il contatto con tali scarichi l'avrebbe resa inservibile e comunque non prontamente inutilizzabile per gli scopi dichiarati di difendere lo stabilimento da eventuali malintenzionati per la sua collocazione all'esterno della postazione di custode. Inoltre, hanno evidenziato che l'avere, contro ogni regola di prudenza, aperto il cancello chiuso, pur sapendo che il C. era fermamente intenzionato ad aggredirlo, come preannunciato al telefono, dimostrava che l'imputato, giunto sul luogo di lavoro unitamente alla figlia, appositamente allontanata e già previamente armatosi, dopo avere allontanato la figlia, aveva atteso l'arrivo del cognato e poi, vistosi sfidato ad un confronto fisico, aveva accettato la sfida, ma aveva colpito lo sfidante scaricandogli addosso l'intero caricatore della pistola.
L'accettazione della sfida, ponendo l'agente consapevolmente in una condizione di illiceità, dalla quale è prevedibile attendersi il verificarsi di una situazione concreta richiedente un intervento difensivo rispetto all'altrui aggressione, in sé esclude l'applicabilità della provocazione, anche se la condotta sia stata preceduta da un fatto dell'avversario (Cass. sez. 1, n. 45514 del 13/11/2007, Menes, rv. 238135; Sez. 1, n. 16123 del 12/04/2012, Samperi, Rv. 253210, sez. 1, n. 10406 del 18/1/2005, Cattina ed altri, rv. 231097; sez. 1, n. 2764 del 14/1/1998, Doino, rv. 209997), tant'è che, come correttamente rilevato anche nella sentenza impugnata, l'attenuante in esame non può essere ravvisata a favore del corrissante e di chi compia altri reati nel corso di una rissa.
1.3 Oltre a tali rilievi, la sentenza impugnata ha ulteriormente osservato che l'azione omicida si era posta in termini del tutto sproporzionati ed eccessivi rispetto al fatto ingiusto della vittima, tale anche se raffrontata con i maltrattamenti cui aveva sottoposto la sorella dell'imputato, in quanto un divario abnorme tra offesa e reazione induce ad escludere il necessario rapporto di causalità psicologica e ad addebitare la condotta criminosa a sentimenti quali l'odio, il rancore, la vendetta, diversi dallo stato d'ira, provocato dall'altrui comportamento ingiusto. Tale conclusione è stata giustificata in punto di fatto in ragione della smisurata reazione tenuta dall'E. rispetto all'entità dell'offesa personale e familiare subita, tenuto conto del fatto che il C. era giunto disarmato e pronto ad uno scontro fisico con l'avversario, il quale lo aveva, invece, crivellato di colpi di pistola senza nemmeno un contatto diretto.
1.4 La conclusione così raggiunta è rispettosa dei dati fattuali disponibili e dell'interpretazione offerta dalla giurisprudenza di questa Corte, cui si ritiene di dover aderire, secondo la quale secondo la quale l'attenuante in esame "non ricorre ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d'ira, ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l'ira". In altri termini, per quanto i criteri di adeguatezza e proporzione fra fatto ingiusto e reazione non siano propri della circostanza in esame, ciò nonostante una evidente e macroscopica differenza tra tali termini a raffronto induce a ritenere che non sia lo stato d'ira prodotto dal fatto altrui a scatenare la reazione lesiva, quanto altri sentimenti, quali la vendetta, il malanimo, il desiderio di sopraffazione, con esclusione quindi del rapporto di derivazione causale della condotta criminosa e del fatto antecedente (Cass. sez. 1, n. 30469 del 15/07/2010, Luciano, rv. 248375; sez. 1, n. 1214 del 6/11/2008, Sanchez, rv. 242622; sez. 4, n. 24693 del 2/3/2004, Vannozzi, rv. 228861; sez. 1, n. 1305 del 15/11/1993, Marras, rv. 197245; sez. 1, n. 8773 del 16/6/1992, Unggironi, rv. 191576).
1.5 Nessuno dei superiori argomenti ha ricevuto pertinente e specifica smentita con l'atto di gravame, che va respinta con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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