Lite giornalistica sul numero annuo delle intercettazioni. Per il GUP di Roma legittima la critica, ma i dati erano certificati dal Ministero. La Cassazione annulla con rinvio.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 settembre – 3 ottobre 2013, n. 40930
Presidente/Relatore Bardovagni
Ritenuto in fatto
1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di A.P. e M.T. «per reati di cui agli artt. 595 comma 3° cod. pen., 13 legge 47/'48 poiché il P. quale direttore responsabile del quotidiano “Il Fatto Quotidiano”" ed il secondo quale autore dell'articolo apparso su detto quotidiano il 4.7.'10 dal titolo “TG1, la M. di complemento” affermando, tra l'altro: “... ieri sera il TG1 per supportare le balle del Banana al TG4 sulle intercettazioni ha sparato cifre a casaccio spacciandole per dati ufficiali del Ministero della Giustizia” offendevano la reputazione di G.G. giornalista del TG1 che aveva letto la notizia in occasione della trasmissione in data 3.7.'10 di detto TG di cui M.A. è direttore». Con sentenza del 18.10.2011 il G.U.P. del Tribunale di Roma ha dichiarato non luogo a procedere per non esservi elementi di prova idonei a sostenere l'accusa in dibattimento.
1.1. Su ricorsi del P.M. e delle parti civili costituite G. e M. la V Sezione di questa Corte, con sentenza n. 18978 del 4.4.2012, ha annullato con rinvio per vizio di motivazione in quanto il G.U.P. non aveva tenuto conto del tenore complessivo dell'articolo, in cui aveva pur incidentalmente rilevato espressioni eccedenti il diritto di cronaca, limitando la disamina alle frasi letteralmente trascritte nel capo d'imputazione senza considerare che questo, con l'inciso “tra l'altro”, attribuiva alle dette frasi mero carattere esemplificativo, e non esaustivo della condotta offensiva. La Corte aggiungeva che l'accoglimento dei motivo di ricorso sull'ambito della cognizione devoluta con il capo d'imputazione assorbiva le residue questioni in tema di applicabilità della scriminante del diritto di cronaca e critica.
1.2. Giudicando in sede di rinvio, il 24.1.2013 il G.U.P. ha dichiarato non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato. Premesso che la critica giornalistica è cosa diversa dalla cronaca, per il contenuto non di mera divulgazione di fatti, ma di manifestazione di opinioni personali su avvenimenti di pubblico interesse che necessariamente risentono dell'opinione personale dell'autore della critica, ha osservato che, nello specifico, essa rifletteva il dibattito politico sulla funzione del servizio pubblico radiotelevisivo e sui condizionamenti politici che - secondo il giornalista - ne compromettono l'imparzialità; in particolare, veniva censurata la posizione di appoggio ad orientamenti governativi, tendenti a limitare l'impiego delle intercettazioni telefoniche per un asserito abuso fattone dall'autorità giudiziaria, attraverso una lettura fuorviante dei dati statistici. In sostanza, pur essendo “vero” il dato di partenza (130.000 utenze masse sotto controllo in un anno), era arbitrario sostenere, come aveva fatto la G., che, essendo ascoltati anche gli interlocutori degli apparecchi captati, “i 130.000 devono essere moltiplicati e si arriva a milioni di italiani”; infatti, il numero delle utenze non coincide con il numero dei soggetti controllati, verificandosi spesso che una sola persona abbia più utenze, ed è quindi errato partire dal primo dato per fare una stima numerica dei soggetti “ascoltati” (ad esempio è noto che, nell'ambito del narcotraffico, le utenze vengono continuamente cambiate per eludere le indagini). Segue una dettagliata disamina dell'articolo, all'esito della quale si conclude per la legittimità della critica, espressiva di una severa censura all'appiattimento dell'informazione fornita dal TG1 sotto la gestione del M. rispetto alle tesi delle forze politiche governative e di un differente punto di vista circa l'asserito abuso delle intercettazioni e il loro costo (che sarebbe dovuto al noleggio delle apparecchiature - in luogo dell'acquisto da parte dell'amministrazione - e alla mancata imposizione della gratuità del servizio ai concessionari). Quanto poi alla forma delle espressioni usate, esse non supererebbero il limite del rispetto alla dignità della persona, sia pure con espressioni connotate da ironia e sarcasmo, ammissibili nell'ambito di una satira politica.
2. Hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica e, con unico atto del comune difensore Avv. F.V., le parti civili. Con un primo motivo, comune ai due consonanti gravami, viene denunciata erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 51 e 595, comma terzo, cod. pen.. Poiché i dati esposti dalla G. sono risultati “veri”, il carattere “truffaldino” loro attribuito dal T. non ha fondamento fattuale e non può quindi costituire presupposto del diritto di critica invocato; critica del resto manifestata in termini largamente eccedenti la continenza espressiva. Né era citato a proposito, quale alternativa causa di giustificazione, il diritto di satira: infatti, la satira è fondata sulla scoperta inverosimiglianza dei fatti rappresentati per suscitare ilarità, situazione di certo non ravvisabile nella fattispecie né compatibile con la critica che, per essere lecitamente esercitata, non può prescindere dalla verità del fatto quale indefettibile presupposto da cui muovere censure all'altrui operato.
Con un secondo motivo il ricorso delle parti civili censura come contraddittoria e manifestamente illogica la motivazione della sentenza, che giustifica la critica del T. pur riconoscendo che muove da un presupposto non veritiero.
2.1. Questa Corte, discusso il ricorso all'odierna udienza camerale, previa assegnazione della stesura della sentenza al Presidente del collegio ha deciso come da dispositivo.
Considerato in diritto
3. Le doglianze dei ricorrenti in punto di mancanza del presupposto della “verità” del fatto da cui ha preso le mosse la critica giornalistica sono almeno in parte fondate. In sostanza, si addebita al T. di avere attribuito alla G. l'uso di dati non veritieri né corrispondenti alle statistiche ufficiali, sicché la critica alle conseguenze trattane era radicalmente sprovvista del substrato fattuale giustificativo. Si tratterebbe, in particolare, delle cifre concernenti il numero annuo delle utenze intercettate ed i costi conseguentemente sostenuti dall'amministrazione. Quanto a quest'ultimo dato, in realtà non emerge dalla sentenza impugnata che ne fosse negata dal giornalista la veridicità, ma soltanto che egli lo riteneva ingannevole e fuorviante (“truffaldino”) perché conseguente a prassi non virtuose dell'amministrazione, che ne avevano provocato una non necessaria dilatazione. Trattasi di valutazione di merito - espressa, in osservanza del disposto della sentenza di annullamento, in base ad una complessiva disamina del contenuto dell'articolo - in sé non implausibile e come tale non censurabile nel giudizio di legittimità.
3.1. Diversamente va detto quanto alla cifra delle utenze intercettate. Non può che riferirsi a questa, infatti, l'affermazione che la giornalista del TG1 “ha sparato cifre a casaccio spacciandole per dati ufficiali del Ministero della Giustizia”. Ora, una volta accertato che il numero degli obbiettivi sottoposti a controllo su base annua era veritiero (e la notizia non poteva che avere la sua fonte nel competente Ministero) ne segue che alla giornalista è stato attribuito, contrariamente al vero, l'uso di cifre individuate arbitrariamente (“a casaccio”) e la loro falsa attribuzione alla fonte ministeriale, con lesione della sua immagine professionale; ciò a prescindere dalla verifica circa l'oggetto dell'ulteriore qualificazione di “dato farlocco”, se cioè rivolta al dato di base o alle conseguenze trattane - pretestuosamente, secondo l'imputato - dalla G.
Ora, per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. per tutte Sez. V, n. 7662 del 31/01/2007, Iannuzzi), in tema di diffamazione a mezzo stampa l'esercizio del diritto di critica richiede la verità del fatto attribuito e assunto a presupposto delle espressioni critiche, in quanto non può essere consentito ascrivere ad un soggetto specifici comportamenti mal tenuti o espressioni mai pronunciate, per poi esporlo a critica come se quei fatti o quelle espressioni fossero effettivamente a lui riferibili; pertanto, limitatamente alla verità del fatto, non sussiste una sostanziale differenza tra l'esimente del diritto di critica e quella del diritto di cronaca, costituendo per entrambe presupposto di operatività.
Neppure può ravvisarsi l'esimente del diritto di critica nella forma satirica qualora essa, ancorché a sfondo scherzoso e ironico, sia fondata su dati storicamente falsi, tale esimente può, infatti, ritenersi sussistente quando l'autore presenti in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione delle persone di alto rilievo, una situazione e un personaggio, senza proporsi alcuna funzione informativa, non quando si diano informazioni che, ancorché presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino false e, pertanto, tali da non escludere la rilevanza penale (cfr. Sez. V, n. 3676/2011 del 27/10/2010, Padellaro).
Nè può prendersi in considerazione la rilevanza politica della questione trattata; infatti, ai fini dell'applicazione dell'esimente di cui all'art. 61 cod. pen., la critica politica - che nell'ambito della polemica fra contrapposti schieramenti può anche tradursi in valutazioni e commenti tipicamente “di parte”, cioè non obiettivi - deve pur sempre fondarsi sull'attribuzione di fatti veri, posto che nessuna interpretazione soggettiva, che sia fonte di discredito per la persona che ne sia investita può ritenersi rapportabile al lecito esercizio del diritto di critica, quando tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti opposta alla verità (Sez. V, n. 7419/2010 del 03/12/2009, Cacciapuoti; per un “affievolimento” - non esclusione - del rilievo della verità del fatto nell'ambito della critica politica, da valutare congiuntamente al rispetto della dignità altrui, cfr., della stessa Sezione, il n. 4938/2011 del 28.10.2010, Simeone).
La sentenza impugnata quindi incorsa in errore di diritto là dove non ha considerato che, in materia di diffamazione, la critica che si manifesti attraverso la esposizione di una personale interpretazione ha valore di esimente, nella ricorrenza degli altri requisiti, senza che possa pretendersi la verità oggettiva di quanto sostenuto, ma da tale requisito non può prescindersi, viceversa, quando - come nel caso di specie - un fatto obiettivo sia posto a fondamento della elaborazione critica (Sez. V, n. 29383 del 06/06/2006, Moncalvo).
3.2. Poiché, peraltro, in tema di diffamazione a mezza stampa, nel caso in cui il fatto narrato risulti obiettivamente falso non è esclusa la possibilità di applicare la scriminante prevista dall'art. 51 cod. pen. sotto il profilo putativo ex art. 59, primo comma, stesso codice, sempre che il cronista abbia assolto all'onere di controllare accuratamente la notizia data, senza che l'errore circa la verità sia frutto di negligenza, imperizia o comunque colpa non scusabile (v., ex multis, Sez. V, n. 1952/2000 del 02/12/1999, Latella), la sentenza impugnata va annullata con rinvio, affinché il G.U.P. valuti, ai fini della decisione, se tale controllo sia mancato, tenendo presente che, in un contesto contrassegnato da una concitata risposta (pubblicata il giorno dopo la trasmissione) su argomento di attualità a forte impatto sull'opinione pubblica e di non trascurabile rilevanza politica, la necessità di immediatezza e tempestività può comportare un affievolimento, in nome dell'interesse alla notizia, dell'accuratezza della verifica della sua verità (cfr., per analoga affermazione in tema di cronaca in generale, Sez. V, n. 8042/2006 del 15/12/2005, Perna).
Restano assorbite le ulteriori questioni in punto di continenza espressiva.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, Prima Sezione penale, annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al G.U.P. del Tribunale di Roma.
06-10-2013 18:38
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