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Sentenza

Lavori effettuati per realizzare la sala riunioni del regno dei testimoni di Geova: anche l'associazione religiosa è tenuta a rispettare le norme antinfortunistiche.
Lavori effettuati per realizzare la sala riunioni del regno dei testimoni di Geova: anche l'associazione religiosa è tenuta a rispettare le norme antinfortunistiche.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 settembre - 15 ottobre 2013, n. 23372
Presidente Miani Canevari – Relatore Bandini

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 7.8.1993 Di.Gi.Et. , premesso che, nel corso della prestazione lavorativa svolta nell'ambito dei lavori di realizzazione della sala riunioni del regno dei Testimoni di Geova, era caduto dal tetto di un immobile procurandosi lesioni fisiche, convenne in giudizio l'Associazione Studenti Biblici d'Abruzzo (qui di seguito, per brevità, indicata anche come Associazione), quale esecutrice dei lavori, R.A. , quale direttore dei lavori, S.N. , quale capo cantiere, la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova (qui di seguito, per brevità, indicata anche come Congregazione), quale proprietaria dell'immobile, e L.M. , quale dirigente del cantiere e responsabile della sicurezza, chiedendo la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni subiti.
L'adito Tribunale di Teramo, con sentenza depositata il 16.1.2006, in parziale accoglimento della domanda, condannò l'Associazione, il R. e il S. al risarcimento dei danni (biologico, non patrimoniale, da inabilità temporanea assoluta e da inabilità temporanea parziale) in favore degli eredi dell'originario attore, costituitisi a seguito del decesso di quest'ultimo.
Con sentenza del 16.12.2009 - 26.5.2010, la Corte d'Appello dell'Aquila rigettò il gravame proposto dall'Associazione e dal S. ; accogliendo quello svolto dal R. , rigettò la domanda spiegata nei suoi confronti; accogliendo parzialmente il gravame incidentale proposto dagli eredi del Di.Gi. , condannò l'Associazione, in solido con il S. e con la Congregazione, al pagamento della somma complessivamente già liquidata in prime cure, oltre agli interessi sulle somme anno per anno rivalutate sino alla sentenza di primo grado, nonché al risarcimento del danno patrimoniale subito dall'infortunato, con gli interessi sulle somme anno per anno rivalutate sino alla pronuncia in grado d'appello.
A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui rileva, la Corte territoriale ritenne quanto segue:
- l'assenza di vincoli gerarchici all'interno dell'Associazione non era sufficiente per escludere il nesso causale fra l'evento lesivo e la condotta omissiva dell'appaltatrice, "non potendo quest'ultima sottrarsi, mediante l'adozione di una forma organizzativa caratterizzata da spiccato spontaneismo, all'osservanza delle norme in materia di prevenzione"; infatti l'Associazione, nel momento in cui aveva inteso esplicare attività d'impresa, avrebbe dovuto dotarsi di un'organizzazione aziendale, gerarchicamente strutturata, distinta dalla compagine associativa, necessaria per il corretto funzionamento dell'impresa e per l'osservanza delle norme poste a tutela della salute dei lavoratori; proprio l'adozione di una struttura organizzativa totalmente priva di vincoli gerarchici aveva integrato una particolare modalità di violazione delle norme in parola, atteso che per tale via l'imprenditore si era posto nella consapevole impossibilità di esercitare il controllo sull'osservanza delle norme antinfortunistiche e di imporne il rispetto; doveva dunque essere ravvisata la sussistenza sia dell'elemento soggettivo, stante la negligenza o imprudenza implicite nell'essersi posta l'Associazione nell'impossibilità di far osservare le norme di prevenzione, sia del nesso causale, posto che l'assenza della necessaria struttura gerarchica aveva fatto sì che la condotta potenzialmente pericolosa del lavoratore non fosse impedita dall'attività di controllo e di interdizione che avrebbe dovuto essere esercitata dall'organizzazione imprenditoriale; salvo il caso di un'iniziativa totalmente imprevedibile, peraltro non ravvisabile nella specie proprio perché insita nel programmato spontaneismo descritto dagli stessi appellanti principali, la condotta del danneggiato, quand'anche intrinsecamente pericolosa, non avrebbe quindi potuto interrompere il nesso causale con l'omessa attività di controllo e di interdizione dell'imprenditore; il rilievo causale di tale omissione era evidente, sia nella gravità della decisione assunta da altri due lavoratori di soprassedere alla realizzazione dell'impalcatura sottostante la copertura in eternit, sia nell'assenza di qualsiasi controllo o intervento volto ad impedire la messa in atto di tale iniziativa e, più in generale, la potenziale violazione delle prescrizioni antinfortunistiche implicita in tale modus operandi; era evidente, sul piano fattuale, la riconducibilità del sinistro alla mancata realizzazione dell'impalcatura, omissione a sua volta riconducibile alla violazione delle prescrizioni dell'art. 17 dpr n. 164/56, sul dovere dell'imprenditore di provvedere alla diretta sorveglianza sui lavori di montaggio delle opere provvisionali e di impedire che i lavoratori operassero prima che fossero stati predisposti adeguati sistemi di sicurezza;
- quanto alla posizione del S. , doveva considerarsi che il capo cantiere, riconducibile al modello legale del "preposto" di cui all'art. 4 dpr n. 547/55, rientra tra i destinatari degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni e, in particolare, fra i destinatari degli obblighi, previsti dalle norme dell'art. 4 di detto decreto, di disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione previsti dalla legge e messi a loro disposizione; da tale obbligo il preposto non poteva considerarsi esonerato per il fatto di essersi limitato a impartire semplici direttive programmatiche a inizio giornata e a lasciare ai singoli la decisione sulle modalità di esecuzione di tali direttive, atteso che proprio tale limitata ingerenza si era risolta in un'omissione realizzata in sostanziale violazione delle norme antinfortunistiche; nella specie la posizione di capo cantiere da parte del S. , già risultante dal rapporto degli ispettori del lavoro, aveva trovato conferma, oltre che nelle dichiarazioni di un teste, nelle stesse affermazioni dell'interessato, nella parte in cui aveva riconosciuto di aver assunto posizioni di direzione e controllo all'interno dell'organizzazione aziendale, sia pure nella, forma - inadeguata ai fini dell'osservanza della normativa di prevenzione - delle mere "direttive programmatiche" di inizio giornata;
- con riferimento a quanto dedotto dagli appellanti incidentali, secondo cui l'Associazione Studenti Biblici d'Abruzzo non costituiva un'impresa edile, ma un'associazione senza scopo di lucro caratterizzata dalla finalità di promuovere lo studio della Bibbia e della sua diffusione, doveva considerarsi che, in materia di infortuni sul lavoro, il committente è obbligato a verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa prescelta, con la conseguenza che, ove la scelta cada su un'impresa che non offra le necessarie garanzie in ordine al rispetto della normativa antinfortunistica, il committente stesso deve considerarsi corresponsabile dell'infortunio; nella specie doveva ritenersi pacifica la caratterizzazione dell'azienda dell'appaltatrice nel senso della spontaneità delle iniziative dei singoli lavoratori e dell'assenza di adeguati vincoli gerarchici, caratteristiche, che, evidentemente note ai correligionari della committente, rendevano del pari evidente l'inidoneità dell'appaltatrice a far rispettare i precetti posti a tutela della sicurezza dei lavoratori; doveva quindi ritenersi la responsabilità solidale, ex art. 2043, della Congregazione nella produzione del danno, non potendo essere opposta al terzo danneggiato la clausola liberatoria, in favore della committente, contenuta nel contratto di appalto ed essendo la sua efficacia comunque condizionata all'idoneità tecnica, risultata insussistente, dell'appaltatrice;
- all'invalidità permanente riportata dal lavoratore nella misura accertata dal CTU del 100%, seguiva il danno patrimoniale da lucro cessante, inevitabilmente subito per effetto della necessaria ripercussione della lesione all'integrità fisica sulle sue potenzialità di guadagno, trattandosi di soggetto che svolgeva attività lavorativa di muratore e che, presumibilmente, avrebbe continuato a svolgere detta attività per tutto il periodo di efficienza fisica; in assenza di prove sull'entità di tale pregiudizio, poteva farsi applicazione del criterio del triplo della pensione sociale;
- al diritto al risarcimento del danno, correttamente liquidato all'attualità quanto alla sua valutazione complessiva, si accompagnava il diritto del danneggiato al pagamento degli interessi sulle somme via via rivalutate sino alla liquidazione contenuta in sentenza, nonché agli interessi ulteriori su quest'ultima somma.
Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, la Congregazione Cristiana del Testimoni di Geova ha proposto ricorso fondato su sette motivi e illustrato con memoria.
Avverso la medesima sentenza l'Associazione Studenti Biblici d'Abruzzo e S.N. hanno proposto ricorso fondato su sei motivi e illustrato con memoria.
O.G. , D.G.E. , D.G.V. , D.G.M.L. e D.G.G. , quali eredi di Di.Gi.Et. , hanno resistito con distinti controricorsi, depositando memoria.

Motivi della decisione

1. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti, siccome proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 cpc).
2. Con il primo motivo la Congregazione ricorrente denuncia vizio di motivazione in relazione al dedotto passaggio in giudicato del capo della pronuncia di primo grado relativo alla sua esclusione di responsabilità, non avendo la sentenza impugnata trattato tale questione.
Con il secondo motivo la Congregazione ricorrente denuncia plurime violazioni di norme processuali, assumendo l'avvenuto passaggio in giudicato del capo della pronuncia di primo grado relativo alla sua esclusione di responsabilità, stante l'avvenuta notifica dell'appello incidentale svolto dagli eredi del Di.Gi. solo a seguito dell'ordine di integrazione del contraddittorio impartito all'udienza collegiale del 2.4.2008.
Con il terzo motivo la Congregazione ricorrente denuncia plurime violazioni di norme processuali, sempre in ordine al ridetto passaggio in giudicato della pronuncia di prime cure, assumendo l'erronea applicazione da parte della Corte territoriale degli artt. 102 e 331 cpc e deducendo che l'applicazione dell'art. 332 cpc, trattandosi di cause scindibili, sarebbe stata consentita solo qualora non fossero già decorsi, come invece era avvenuto nella specie, i termini per proporre impugnazione.
Con il quarto motivo la Congregazione ricorrente denuncia violazione dell'art. 2043 cc, nonché vizio di motivazione, deducendo che erroneamente la Corte territoriale aveva ravvisato a suo carico una culpa in eligendo, stante la mancanza di un'organizzazione del lavoro verticistico-gerarchica dell'Associazione incaricata dei lavori; per contro avrebbe dovuto rilevarsi che quest'ultima, giusta le previsioni dello statuto sociale, era istituzionalmente deputata a "costruire appositamente locali per le riunioni religiose" e che sia l'allora presidente dell'Associazione, sia i soci dell'affidataria, compreso lo stesso Di.Gi. , erano praticamente tutti soggetti competenti ed esperti dal punto di vista tecnico. Con il quinto motivo la Congregazione ricorrente denuncia violazione di plurime norme di diritto, deducendo: a) l'assenza di un qualsiasi rapporto di lavoro fra il Di.Gi. e l'Associazione; b) l'avvenuto rispetto delle norme di sicurezza e, in particolare, la predisposizione dei dispositivi di protezione indicati dall'art. 70 dpr n. 164/56, attraverso l'impiego di apposite tavole sopra le orditure; c) l'assenza del nesso di causalità, interrotto dalla condotta imprevedibile e gravemente imprudente del danneggiato.
Con il sesto motivo la Congregazione ricorrente denuncia violazione di plurime norme di diritto nella liquidazione del danno biologico, assumendo che lo stesso avrebbe dovuto essere rapportato al periodo di vita effettivamente trascorso dalla data del sinistro ((OMISSIS)) a quella del decesso dell'infortunato ((OMISSIS)).
Con il settimo motivo la Congregazione ricorrente denuncia violazione di plurime norme di diritto, nonché vizio di motivazione, in ordine alla liquidazione del danno patrimoniale, assumendo che non era stata fornita alcuna prova che il Di.Gi. svolgesse un'attività produttiva di reddito e, tanto meno, che fosse impiegato quale muratore alle dipendenze di una qualche ditta edile ovvero in proprio.
Con il primo motivo l'Associazione ed il S. denunciano vizio di motivazione in relazione alla ritenuta violazione della normativa antinfortunistica e alla responsabilità dell'infortunio occorso per effetto dell'adozione di una struttura organizzativa totalmente priva di vincoli gerarchici.
Con il secondo motivo l'Associazione ed il S. denunciano violazione di plurime norme di diritto, deducendo che la Corte territoriale non aveva precisato quali norme a tutela dei lavoratori sarebbero state violate; peraltro la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare che, sia in base all'art. 4 dpr n. 1124/65, sia in base all'art. 1 dpr n. 164/56, nessuna responsabilità contrattuale avrebbe potuto essere ravvisata nella specie, stante l'assenza di un rapporto di lavoro subordinato con il Di.Gi. ; sotto diverso profilo doveva essere considerato che l'art. 70 dpr n. 164/56 consente all'imprenditore di decidere quali misure di prevenzione siano in concreto da adottare, contemplando anche la disposizione di tavole sopra le orditure e non imponendo affatto la realizzazione di un'impalcatura; nel caso di specie, del resto, l'unico lavoratore caduto era stato il Di.Gi. , che, per sua scelta, non aveva utilizzato le passerelle.
Con il terzo motivo l'Associazione ed il S. denunciano violazione di plurime norme di diritto, deducendo, per le "medesime ragion?' di cui al precedente mezzo, l'assenza anche di una responsabilità extracontrattuale e insistendo, in particolare, sull'assunzione di un rischio elettivo da parte del Di.Gi. , la cui condotta era stata da sola idonea a cagionare l'incidente, sia per non avere utilizzato le passerelle, sia perché la sua condotta era stata estranea alle mansioni che aveva scelto di svolgere, concordando di lavorare a terra occupandosi del getto di calcestruzzo, sia perché lo stesso non aveva tenuto conto delle indicazioni di altri lavoratori a non salire sopra le lastre di eternit.
Con il quarto motivo l'Associazione ed il S. denunciano violazione di plurime norme di diritto, nonché vizio di motivazione, deducendo che nessuno dei lavoratori presenti nel luogo dell'incidente aveva confermato che il S. fosse il responsabile del cantiere e che l'istruttoria svolta conduceva a ritenere che egli non aveva neppure sostanzialmente svolto le funzioni di capo cantiere, dovendo peraltro rilevarsi come non avrebbe potuto ravvisarsi un capo cantiere di fatto in un soggetto che si assumeva non avesse mai esercitato un reale potere direttivo, avendo la stessa Corte territoriale escluso la sussistenza di un'organizzazione gerarchica.
Con il quinto motivo l'Associazione ed il S. denunciano violazione di plurime norme di diritto, deducendo che la Corte territoriale non aveva tenuto conto, ai fini della liquidazione del danno riconosciuto in prime cure, della condotta del danneggiato (in violazione dell'art. 1227 cc) e della necessità di rapportare il pregiudizio al periodo di vita effettivamente trascorso dalla data del sinistro ((OMISSIS)) a quella del decesso dell'infortunato ((OMISSIS)); né, in relazione all'intervenuta liquidazione del danno patrimoniale, la Corte territoriale aveva considerato che non era stata fornita alcuna prova che il Di.Gi. svolgesse un'attività produttiva di reddito.
Con il sesto motivo l'Associazione ed il S. denunciano violazione di plurime norme di diritto, assumendo che l'avvenuta rivalutazione del credito accertato in prime cure non poteva consentire il riconoscimento della spettanza anche degli interessi legali.
3. Il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso della Congregazione possono essere esaminati congiuntamente, concernendo la stessa questione processuale.
3.1 Quanto alla dedotta omissione di motivazione (primo motivo), la stessa deve ritenersi estranea all'ambito del vizio denunciato (riconducibile al paradigma di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, cpc), in quanto il vizio di motivazione deducibile in cassazione concerne solo la motivazione in fatto, posto che quella in diritto può sempre essere corretta, ovvero meglio esplicitata, sia in appello che in cassazione, senza riflesso alcuno sull'esito della pronuncia impugnata; in altri termini, rispetto alla questione di diritto rileva unicamente la correttezza della soluzione adottata, ancorché malamente e per nulla spiegata, e, per contro, la soluzione accolta, se erronea, tale resterà quand'anche suggestivamente argomentata, onde il vizio conseguente sarà non già di motivazione, bensì di violazione o falsa applicazione di norme di diritto (sostanziali o processuali a seconda dei casi).
Nel caso di specie la parte ricorrente lamenta, in realtà, solo vizi di diritto (svolgendo peraltro al riguardo le successive censure) e riconduce inammissibilmente il denunciato vizio di motivazione alla mancata spiegazione delle ragioni giuridiche che sostengono (seppur implicitamente) il decisum.
3.2 Quanto al secondo e al terzo motivo, deve osservarsi che il dedotto passaggio in giudicato del capo della sentenza impugnata relativo all'esclusione della responsabilità della Congregazione ricorrente viene ricollegato al fatto che gli appellanti incidentali non avevano notificato il gravame ad essa ricorrente, se non a seguito dell'ordine di integrazione del contraddittorio disposto dalla Corte territoriale, oltre i termini di cui agli artt. 325 e 327 cpc; nel caso all'esame, infatti, non avrebbe potuto farsi applicazione del disposto dell'art. 331 cpc, trattandosi di cause scindibili. Osserva la Corte che la sentenza del Tribunale di Teramo era stata depositata il 16.1.2006, onde il termine per proporre impugnazione, ai sensi dell'art. 327 cpc (nel testo in allora vigente) era di un anno. Fu quindi tempestiva la proposizione dell'appello incidentale svolto con la prima comparsa di costituzione, depositata il 24.10.2006 (art. 343 cpc).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, quando l'appello incidentale sia stato tempestivamente proposto nei confronti di parti non presenti nel giudizio di secondo grado, è necessario distinguere a seconda che l'impugnazione abbia ad oggetto una sentenza pronunciata in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti, ovvero se abbia per oggetto una sentenza resa in cause scindibili; nel primo caso il giudice deve assegnare all'appellante incidentale il termine per integrare il contraddittorio nei confronti degli avversi litisconsorti necessari, a norma dell'art. 331 cpc, mentre, nel secondo caso, l'appellante incidentale deve provvedere alla notifica dell'impugnazione nei termini perentori di cui agli artt. 325 o 327 cpc (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 7127/1994; 9649/2011).
Ancora la giurisprudenza di legittimità ha rilevato la dipendenza delle cause (comportante una situazione di litisconsorzio necessario processuale, che rende necessaria la loro prosecuzione unitaria anche in sede di gravame, una volta che siano state iniziate e decise in primo grado in un unico processo) qualora la decisione dell'una funga da presupposto logico della decisione dell'altra, come si verifica, tra l'altro, in ipotesi di obbligazioni solidali interdipendenti, pur se derivanti da titoli diversi (cfr, ex plurimis, Cass., 15624/2002; 15734/2004; 4794/2006).
Nel caso che ne occupa deve effettivamente ravvisarsi una situazione di dipendenza delle cause, posto che l'affermazione della responsabilità della Associazione appaltatrice per violazione degli obblighi di prevenzione antinfortunistica costituisce l'ineludibile presupposto logico giuridico della (eventuale) responsabilità solidale della Congregazione committente.
3.3 Consegue quindi il rigetto dei motivi all'esame.
4. Il quinto mezzo svolto dalla Congregazione ed il primo, il secondo e il terzo svolti dall'Associazione e dal S. , possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro connessione.
4.1 Al riguardo giova ricordare il disposto dell'art. 3 dpr n. 547/55 (abrogato dall'art. 304 dl.vo n. 81/08, ma in vigore all'epoca dei fatti per cui è causa), secondo cui, sotto la rubrica "Definizione di lavoratore subordinato", "Agli effetti dell'art. 1, per lavoratore subordinato si intende colui che fuori del proprio domicilio presta il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione altrui, con o senza retribuzione, anche al solo scopo di apprendere un mestiere, un'arte o una professione.
Sempre agli effetti dell'art. 1 sono equiparati ai lavoratori subordinati: a) i soci di società e di enti in genere cooperativi, anche di fatto, che prestino la loro attività per conto delle società e degli enti stessi; (...)".
Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte (cfr, in particolare,
Cass., n. 4129/2002, nonché le sentenze della Cassazione penale ivi richiamate) ha già avuto modo di rilevare che il dettato normativo del suddetto art. 3 dpr n. 547/55, nel definire lavoratore subordinato "colui che, fuori del proprio domicilio, presta il proprio lavoro alle dipendenze e sotto la direzione altrui, con o senza retribuzione", consente, attraverso l'esclusione della indispensabilità del carattere oneroso e continuativo, di allargare la tutela non solo ai "tradizionali" lavoratori subordinati, ma anche a tutti i soggetti terzi che, non abusivamente, vengano a trovarsi nella situazione di pericolo creata dall'attività esercitata che necessita di prevenzione; onde l'obbligo di tutela antinfortunistica deve essere esteso a tutti gli addetti, anche solo di fatto, a una data attività lavorativa, prescindendo dalle modalità di assunzione al lavoro e dall'eventuale mancato perfezionamento del contratto.
Ritiene il Collegio di dovere dare continuità a tale orientamento i ermeneutico, avendo la Corte territoriale accertato che l'Associazione aveva inteso esplicare attività d'impresa ed essendo incontestato che in tale ambito si era svolta la prestazione lavorativa del Di.Gi. , ancorché senza compenso e per puro spirito religioso, come rilevato già dal primo Giudice.
La mancata conclusione nella specie di un formale contratto di lavoro subordinato non può dunque condurre all'esclusione dell'obbligo imprenditoriale di osservazione delle norme antinfortunistiche.
4.2 Quanto alla mancata osservanza di queste ultime, la Corte territoriale ha espressamente individuato, nei termini diffusamente ricordati nello storico di lite e con accertamento in fatto, la mancata realizzazione (per effetto della decisione adottata in tal senso da altri due lavoratori) di soprassedere alla realizzazione dell'impalcatura sottostante la copertura in eternit, e, al contempo, l'assenza di qualsiasi controllo o intervento volto ad impedire la messa in atto di tale iniziativa, con ulteriore violazione del dovere imprenditoriale di provvedere alla diretta sorveglianza sui lavori di montaggio delle opere provvisionali e di impedire che i lavoratori operassero prima che fossero stati predisposti adeguati sistemi di sicurezza; al riguardo il contrario assunto secondo cui, nel caso di specie, avrebbe dovuto ritenersi sufficiente l'apprestamento di tavole sopra le orditure, presuppone all'evidenza una valutazione di merito non consentita in questa sede di legittimità.
4.3 Peraltro, quand'anche tale misura di prevenzione fosse stata da reputarsi adeguata alla fattispecie all'esame, resta il fatto che, a mente dell'art. 4, lett. c), dpr n. 547/55, i datori di lavoro, i dirigenti ed i preposti devono "disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione", cosicché il datore di lavoro deve non soltanto predisporre le misure necessarie a garantire l'incolumità del lavoratore, ma anche vigilare sulla loro osservanza da parte di quest'ultimo (cfr, ex plurimis, Cass., n. 10097/2011).
Obbligo che la Corte territoriale ha puntualmente escluso essere stato osservato nel caso all'esame, stante l'adozione da parte dell'Associazione, nell'espletamento dell'appalto, di una forma organizzativa caratterizzata da spiccato spontaneismo, che l'aveva posta nell'impossibilità di esercitare il controllo sull'osservanza delle norme antinfortunistiche e di imporne il rispetto.
4.4 Sotto tale profilo deve essere dunque rilevata l'infondatezza del denunciato (da parte dell'Associazione e dal S. ) vizio di motivazione, posto che proprio il rilievo della peculiare modalità organizzativa adottata comprovava la violazione di tali obblighi.
4.5 Sempre in relazione a tale peculiare organizzazione dell'attività di impresa, la Corte territoriale, con accertamento fattuale che, siccome congruamente motivato, non è sindacabile in questa sede di legittimità (cfr, ex plurimis, Cass., n. 2451/2011), ha rilevato come nella fattispecie non fosse neppure riscontrabile una iniziativa del lavoratore contraddistinta da imprevedibilità, posto che tale carattere (di imprevedibilità, appunto) veniva ad essere insita nello spontaneismo organizzativo adottato.
Ciò fermo restando che il rischio elettivo, come tale idoneo ad escludere il nesso di causalità, non è ravvisabile nell'omissione di cautele da parte del lavoratore in presenza di una condotta colposa dell'imprenditore che non abbia provveduto all'adozione di tutte le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di svolgimento del lavoro, essendo ravvisabile solo quando l'attività non sia in rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti di esso (cfr, ex plurimis, Cass., n. 21694/2011); condizione, quest'ultima, che, come già rilevato, la sentenza impugnata ha escluso proprio in relazione al carattere spontaneistico dell'attività imprenditoriale, in contemplazione della quale risulta evidentemente priva di rilievo la circostanza che il Di.Gi. avesse scelto di occuparsi del getto di calcestruzzo, non risultando che, comunque, vi fosse stata una qualsivoglia opposizione a che il medesimo si fosse portato a lavorare sul tetto dell'immobile.
4.6 I motivi all'esame, nei distinti profili in cui si articolano, vanno pertanto disattesi.
5. In ordine al quarto motivo svolto nel ricorso dell'Associazione e del S. (ma in effetti pertinente alla sola posizione di quest'ultimo) deve rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, l'attribuzione a un soggetto della qualità di preposto, ai fini del suo assoggettamento agli obblighi previsti dall'art. 4 dpr n. 547/55, va fatta, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell'ambito dell'impresa e non in base alla formale qualificazione giuridica attribuita (cfr, Cass., nn. U440/2000; 2251/2012).
In linea con tale orientamento la Corte territoriale, nei termini già ricordati nello storico di lite, ha dunque ritenuto di attribuire al S. la qualifica di capo cantiere (e, quindi, di preposto) sulla base delle dichiarazioni testimoniali e di quelle dello stesso interessato, nella parte in cui aveva riconosciuto di aver assunto posizioni di direzione e controllo all'interno dell'organizzazione aziendale, impartendo delle "direttive programmatiche" di inizio giornata, ancorché in una forma inadeguata ai fini dell'osservanza della normativa di prevenzione.
Il suddetto avviso è stato criticato, rilevando che le risultanze istruttorie non avrebbero consentito tali conclusioni; in sostanza viene richiesta quindi a questa Corte una nuova valutazione, nel senso prospettato, delle emergenze probatorie.
Ma proprio tale valutazione delle risultanze istruttorie non può essere svolta in questa sede, poiché, giusta il costante orientamento di questa Corte, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360, comma 1, n. 5, cpc, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità, cosicché risulta del tutto estranea all'ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 11789/2005; 19681/2009).
Al contempo, deve ribadirsi il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 5231/2001; 11933/2003; 7201/2004; 5286/2007; 7600/2008; 19681/2009).
Ne a diverse conclusioni può condurre il rilievo secondo cui non avrebbe potuto ravvisarsi un capo cantiere di fatto in un soggetto che non aveva mai esercitato un reale potere direttivo, per avere la stessa Corte territoriale escluso la sussistenza di un'organizzazione gerarchica, posto che, una volta accertata l'attribuzione al soggetto interessato della qualifica di preposto, la violazione dei connessi obblighi non resta esclusa per avere il medesimo accettato di operare, inadeguatamente ai fini de quibus, nel ridetto concreto contesto organizzativo.
Anche il motivo all'esame va pertanto disatteso.
6. In ordine al quarto motivo del ricorso svolto dalla Congregazione deve rilevarsi che la Corte territoriale, come già indicato nello storico di lite, ha ritenuto la culpa in eligendo sulla base della pacifica caratterizzazione dell'azienda dell'appaltatrice nel senso della spontaneità delle iniziative dei singoli lavoratori e dell'assenza di adeguati vincoli gerarchici, il che rendeva evidente la sua inidoneità a far rispettare i precetti posti a tutela della sicurezza dei lavoratori.
A fronte di tale accertamento fattuale, la parte ricorrente prospetta l'asserita rilevanza di altre emergenze probatorie (la previsione istituzionale della costruzione di locali per le riunioni religiose; la competenza tecnica del presidente dell'Associazione e dei suoi soci, ivi compreso lo stesso lavoratore infortunato), che avrebbero dovuto condurre ad escludere la colpa di essa ricorrente.
Al riguardo valgono tuttavia le stesse considerazioni in diritto già svolte nell'ambito del motivo di ricorso precedentemente esaminato, risolvendosi la doglianza nella inammissibile richiesta di un riesame di alcune emergenze probatorie (peraltro palesemente prive del requisito della decisività), a fronte di una motivazione coerente con gli elementi di giudizio considerati ed immune da vizi logici e giuridici, anche con riferimento all'inopponibilità al terzo danneggiato della clausola liberatoria stipulata tra committente ed appaltatrice.
7. Il sesto e il settimo motivo del ricorso della Congregazione, nonché il quinto articolato motivo del ricorso dell'Associazione e del S. , possono essere esaminati congiuntamente, riguardando, almeno in parte, le medesime questioni.
7.1 Il primo profilo del quinto motivo svolto dall'Associazione e dal Sul pizi, vertente sulla ritenuta necessità di tener conto, ai fini della liquidazione del danno riconosciuto in prime cure, della condotta del danneggiato, giusta la previsione di cui all'art. 1227, comma 1, cc, investe una questione non trattata dalla Corte territoriale.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso (di cui al primo comma dell'art. 1227 cc) va distinta da quella (disciplinata dal secondo comma della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, giacché, mentre nel primo caso il giudice deve procedere d'ufficio all'indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso, la seconda di tali situazioni forma oggetto di un'eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 4799/2001; 12714/2010).
La suddetta rilevabilità d'ufficio è tuttavia pur sempre soggetta alle preclusioni processuali maturate; ne discende, pertanto, che, se il giudice di primo grado abbia omesso di rilevare le circostanze a lui prospettate, dalle quali si sarebbe potuto desumere eventualmente il concorso di colpa, la parte ha l'onere di impugnare la sentenza per tale omissione e, qualora non lo faccia, la questione resta preclusa e non può essere sollevata nell'ulteriore corso del giudizio (cfr, Cass., nn. 2947/1973; 672/1976; 12267/1992; 1684/1999).
Nel caso che ne occupa i ricorrenti non hanno indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, se e in che termini, a fronte di una liquidazione del danno da parte del primo Giudice che non aveva tenuto conto della condotta del lavoratore ai fini dell'eventuale concorso di colpa del medesimo, avessero svolto uno specifico motivo di appello al riguardo, risultando per contro, sempre dal ricorso introduttivo, che la questione era stata prospettata, in via di subordine, con la comparsa conclusionale depositata in grado d'appello e, perciò, tardivamente.
Dal che discende l'inammissibilità del profilo di doglianza all'esame.
7.2 Considerazioni sostanzialmente analoghe valgono anche in relazione alla questione, parimenti non trattata nella sentenza di merito, relativa alla pretesa rapportabilità del danno non patrimoniale al periodo di vita effettivamente trascorso dalla data del sinistro ((OMISSIS)) a quella del decesso dell'infortunato ((OMISSIS)).
Non è stato infatti indicato se e in che termini la questione, implicante un accertamento di fatto, fosse stata ritualmente portata alla disamina del Giudice del gravame, né da parte degli appellanti principali (gli odierni ricorrenti Associazione e S. ), né da parte dell'appellata incidentale (la Congregazione odierna ricorrente).
Ulteriore e concorrente ragione di inammissibilità della doglianza è costituita dalla circostanza che, in relazione al principio di diritto invocato (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 517/2006; 6946/2007; 18163/2007), presupponente che la morte del danneggiato sia stata conseguenza delle lesioni patite, non sono state indicate, in entrambi i ricorsi, le emergenze probatorie da cui dovrebbe desumersi tale rapporto di consequenzialità.
7.3 Circa il risarcimento del danno patrimoniale deve rilevarsi che la Corte territoriale lo ha desunto, in via presuntiva, dal riflesso dell'entità delle lesioni patite, comportanti un'invalidità del 100%, sulla potenzialità di guadagno di un soggetto che svolgeva attività lavorativa di muratore e tale conclusione non viene scalfita dal rilievo, assolutamente privo di decisività, secondo cui il danneggiato aveva prestato gratuitamente la propria attività a favore dell'Associazione, non escludendo evidentemente tale gratuita prestazione la sussistenza di ulteriori concrete potenzialità di guadagno in relazione alla professionalità posseduta, vanificate tuttavia proprio dalle lesioni subite.
7.4 Va quindi ritenuta l'inaccoglibilità delle censure all'esame nei distinti profili in cui si articolano.
8. Anche il sesto motivo di ricorso svolto dall'Associazione e dal S. non merita accoglimento, atteso che la statuizione della Corte territoriale relativa al diritto del danneggiato al pagamento degli interessi sulle somme via via rivalutate è conforme all'orientamento largamente maggioritario della giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, di questa Corte (cfr, fra le moltissime, Cass., SU, n. 1712/1995; Cass., nn. 2780/1997; 13470/1999; 492//2001; 18445/2005; 18490/2006; 4791/2007; 16894/2010).
9. In definitiva entrambi i ricorsi vanno rigettati.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 11.050,00 (undicimilacinquanta), di cui Euro 11.000,00 (undicimila) per compenso, oltre accessori come per legge.
Avv. Antonino Sugamele

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