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Sentenza

La valutazione circa la sussistenza dell’ipotesi ex art. 609 bis, comma III, c.p. è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito
La valutazione circa la sussistenza dell’ipotesi ex art. 609 bis, comma III, c.p. è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 febbraio – 11 aprile 2013, n. 16466
Presidente Teresi – Relatore Mulliri

Ritenuto in fatto

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato - Con la sentenza impugnata, la Corte d'appello ha confermato la condanna inflitta al ricorrente nella misura di anni 4 di reclusione per avere, in qualità di insegnante presso la scuola primaria, compiuto atti sessuali con vari bambini a lui affidati per tale ragione, palpeggiandoli nelle parti intime e facendo sedere i bambini sulle gambe a contatto con i propri organi genitali ovvero masturbando alcuni di loro.
In particolare, la decisione impugnata ha respinto l'unico motivo di appello consistente nella richiesta di un trattamento sanzionatorio più mite.
2. Motivi del ricorso - Avverso tale decisione, il condannato ha proposto ricorso, tramite il difensore deducendo:
1) vizio di motivazione (art. 606 lett. e) c.p.p.) in relazione al mancato riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui al terzo comma dell'art. 609 bis c.p.. Dopo avere riportato l'intero contenuto dei motivi di appello, il ricorrente fa notare che la sentenza impugnata manca di motivazione circa l'entità del danno patito dalle vittime e si limita ad affermare che esso è "facilmente intuibile" ed "indelebile" "sia pure "difficilmente accettabile";
2) vizio di motivazione (art. 606 lett. e) c.p.p.) circa la mancata considerazione della attenuanti generiche come prevalenti anziché semplicemente equivalenti, come riconosciute. A detta del ricorrente, si sarebbe dovuto tener conto del comportamento dell'imputato che ha reso piena confessione ed ha, così, risparmiato ai minori un imbarazzante excursus di valutazione della loro attendibilità. Egli, inoltre, ha intrapreso percorsi terapeutici ed anche il mancato risarcimento alle vittime è dovuto solo a ragioni obiettive documentate dalla difesa.
Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata.
Con atto depositato il 31.1.13, il difensore ha depositato motivi aggiunti insistendo nell'accoglimento dei motivi di ricorso già proposti, anche alla luce di una recente pronunzia di questa S.C. (n. 34236/12) che, in una fattispecie analoga ha annullato con rinvio.

Considerato in diritto

3. Motivi della decisione - Il ricorso non merita accoglimento.
Anche alla luce dei parametri richiamati dalla sentenza citata dal ricorrente, infatti, la decisione regge al vaglio di legittimità.
Con riferimento alla riconoscibilità dell'attenuante in parola, esiste ormai una ricca elaborazione giurisprudenziale piuttosto uniforme che ha enucleato il principio secondo cui, non essendo possibile delineare aprioristicamente una categoria generale alla quale ricondurre i “casi di minore gravità”, la loro individuazione è rimessa, volta per volta, alla discrezionalità del giudice di merito da esercitarsi con razionale riferimento agli elementi considerati determinanti per la soluzione adottata e con obbligo di puntuale motivazione.
In altri termini, premesso che la minore gravità del fatto può ravvisarsi in presenza di una più lieve compromissione della libertà sessuale della vittima e dello sviluppo del minore, resta fermo che essa è il risultato di una valutazione che deve tenere conto di tutte le componenti del reato, oggettive e soggettive, nonché degli elementi indicati nell'art. 133 (sez. 3, 1.7.99, Scacchi, Giust. pen. 2000, II, 725; Sez. 3, 3.10.06, Rv. 235031; Sez. 3, 7.11.06, Cass. pen. 2008, 1415; Sez. 3, 19.12.06, Cass. pen. 2008, 1415).
Si è, peraltro, precisato che, nell'utilizzare i parametri di cui all'art. 133 c.p. (ai firn dei riconoscimento dell'attenuate speciale m parola), si deve avere riguardo solo agli elementi di cui al primo comma in quanto, quelli del secondo comma, possono essere impiegati solo per la commisurazione complessiva della pena (sez. 4, 4.5.07, rv. 236730).
Merita, infine, di essere rammentata anche l'ulteriore precisazione per cui l'attenuante in discussione "non risponde ad esigenze di adeguamento del fatto alla colpevolezza del reo", ma concerne la "minore lesività del fatto in concreto" rapportata al bene giuridico tutelato e, quindi, assumono particolare importanza: la qualità dell'atto compiuto (più che la quantità di violenza fisica), il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni (fisiche e mentali) di quest'ultima, le caratteristiche psicologiche (valutate in relazione all'età), l'entità della compressione della libertà sessuale ed il danno arrecato alla vittima anche in termini psichici (sez. 3, 29.2.00, Priello della Rotonda, Riv. pen. 2000, 1088; Sez. 3, 24.3.00, Improta, Cass. pen. 2002, 1427; Sez. 3, 28.10.03, Cass. pen. 2005, 866).
Tanto precisato appare evidente come, nel caso di specie, la Corte abbia fatto buon uso di tali parametri.
Ed infatti, la conferma del diniego dell'attenuante speciale è avvenuta a seguito della valorizzazione del “consistente arco temporale in cui gli abusi si sono perpetrati” ed il fatto che essi sono stati commessi “in danno di numerose vittime”. Altro elemento negativo è stato ravvisato nel fatto che gli abusi si sono svolti in un ambiente “protetto” per definizione (una scuoia primaria) e, per di più, da parte di una persona che dovrebbe ingenerare normalmente affidamento, vale a dire, l'insegnante.
È stata opportunamente evidenziata, poi, la natura subdola dei gesti “camuffati da coccole“ che sono stati posti in essere durante le ore di insegnamento (quando, cioè, i minori sono del tutto "affidati" alla figura di riferimento quale dovrebbe essere il maestro).
Non è, quindi, impropria l'affermazione dei giudici di merito secondo i quali si è determinato “un grave sviamento della funzione di protezione tipica della figura del maestro” ditalché, anche se le ripercussioni negative sullo sviluppo dei minori sono difficilmente accettabili, esse non possono che essere, in effetti, “facilmente intuibili e, senza dubbio, indelebili”.
La doglianza che il ricorrente svolge, quindi, con il primo motivo, è infondata e non accoglibile anche perché, implicitamente, punta ad ottenere da questa S.C. una rivisitazione dei dati processuali per trame conseguenze diverse e più favorevoli ma, ove questa S.C. accedesse ad un siffatto indirizzo, finirebbe inevitabilmente per invadere l'area di giudizio riservata al giudice di merito che, invece, è intangibile quando abbia dato contezza della propria decisione in modo adeguato, aderente alle risultanze processuali e non manifestamente illogico.
Identico discorso vale per le conclusioni raggiunte dalla Corte in punto di giudizio di bilanciamento delle attenuanti generiche con le aggravanti. A tale ultimo proposito, è appena il caso di sottolineare che la valorizzazione della confessione dell'imputato ha un carattere suggestivo visto che si è trattato di mera ammissione di dati obiettivi accertati grazie a riprese filmate. Anche il secondo motivo è, quindi, da respingere.
Alla predetta decisione, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili che si liquidano in Euro 2000, quelle sostenute dalla parte G.M. , oltre accessori di legge, ed in Euro 3500, per le restanti parti civili, oltre ad accessori di legge.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p..
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, liquidate in Euro 2000, quelle sostenute dalla parte G.M., oltre accessori di legge, ed in Euro 3500, per le restanti patti civili, oltre ad accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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