La reintegrazione della quota legittima, qualora venga effettuata mediante conguaglio in denarodeve essere adeguato al mutato valore (debito di valore).
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 aprile - 7 giugno 2013, n. 14449
Presidente Bucciante – Relatore Mazzacane
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 5-4-1994 L.S.B. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo il germano F..L.S. chiedendo dichiararsi che le parti erano eredi, sia per successione testamentaria che legittima, di P.M.A. , deceduta in (omissis) , e che le somme depositate dalla predetta nel libretto di deposito a risparmio acceso presso la Banca Sicula, cointestato alla "de cuius" ed a L.S.F. , appartenevano per metà ciascuno ad entrambi i figli o, comunque, in via subordinata, nella misura di un quarto all'esponente; chiedeva inoltre ordinarsi al convenuto di presentare il rendiconto relativo alle suddette somme a far data dalla istituzione del libretto, condannarsi L.S.F. alla restituzione in proprio favore delle somme dovute, chiedeva dichiararsi che i mobili che si trovavano nell'appartamento di via Tunisi 4 appartenevano per metà ciascuno all'attore ed al convenuto, disponendo la divisione ed attribuendo le relative quote previa redazione di inventario; chiedeva ancora dichiararsi che la presenza di detti mobili nell'appartamento di proprietà di L.S.B. aveva impedito a quest'ultimo di utilizzare l'immobile stesso, e condannarsi il convenuto al rimborso di una somma equivalente al valore di mercato dell'affitto dell'appartamento, a decorrere dalla morte della P. fino a quando i predetti arredi sarebbero rimasti nel suddetto immobile; chiedeva infine dichiararsi che i gioielli relitti dalla "de cuius" appartenevano per metà a ciascuna delle parti, condannando il convenuto a consegnare all'esponente la quota di sua spettanza.
Costituendosi in giudizio F..L.S. contestava le domande attrici e in via riconvenzionale introduceva una domanda di riduzione per lesione della propria legittima, assumendo che il testamento del 4-5-1983 pubblicato il 3-12-1993 con il quale la testatrice aveva disposto dei propri beni era lesivo della quota di riserva a lui spettante, e pertanto chiedeva che ne venisse disposta la reintegrazione; sempre in via riconvenzionale chiedeva ordinarsi all'attore, ove fosse stata accolta la richiesta di rendiconto, anche il rendiconto relativo al libretto presso la Banca Sicula di cui il fratello Baldassarre era cointestatario con la madre, condannandolo alla restituzione delle somme spettanti alla "de cuius" e, quindi, all'eredità, oltre rivalutazione ed interessi; chiedeva inoltre la condanna della controparte al valore venale dei frutti provenienti dai cespiti relitti dal premorto comune genitore che, oggetto della transazione del 28-12-1981, non aveva versato in favore della madre in vita, oltre rivalutazione ed interessi; chiedeva infine la condanna dell'attore al pagamento della sua quota di spese funerarie e dei debiti ereditari pagati dal convenuto con rivalutazione ed interessi.
Il Tribunale adito con sentenza del 13-2-2000 dichiarava che i germani L.S.B. e F..L.S. erano eredi testamentari e legittimi di M.A..P. , dichiarava la mancanza di lesione della quota di legittima spettante al convenuto, includeva nella formazione della massa la metà del totale dei due libretti a risparmio, pari ad Euro 29.404,31, il valore degli arredi in Euro 7.952,59 e quello dei gioielli in Euro 23.857,78, condannava il convenuto al pagamento in favore dell'attore della somma di Euro 5.164,57 per risarcimento danni comprensivi di rivalutazione ed interessi all'attualità, condannava infine L.S.F. a corrispondere a B..L.S. la somma di Euro 2.554,97 quale quota sui gioielli, lasciando intatta la riserva di legittimario, e rigettava ogni altra domanda riconvenzionale.
Proposta impugnazione da parte di F..L.S. cui resisteva B..L.S. la Corte di Appello di Palermo con sentenza del 1-1-2007, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato le domande proposte da quest'ultimo nel giudizio di primo grado e, in accoglimento della domanda riconvenzionale formulata da L.S.F. , ha ridotto la disposizione testamentaria di cui al testamento olografo di M.A..P. del 4-5-1983 con la quale era stata attribuita a B..L.S. la metà indivisa dell'appartamento sito in (OMISSIS) , mediante attribuzione della quota indivisa dei 218,195 millesimi della metà del suddetto immobile in favore dell'appellante, e per l'effetto ha dichiarato che quest'ultimo era comproprietario del bene in oggetto nei limiti di detta quota.
Per la cassazione di tale sentenza B..L.S. ha proposto un ricorso affidato a cinque motivi illustrato successivamente da una memoria cui F..L.S. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione, sostiene che il giudice di appello ha ritenuto la sussistenza di una lesione della quota di riserva in pregiudizio di S.F. pari ed Euro 22.650,29 sulla base di una adesione acritica alla seconda CTU espletata nel giudizio di secondo grado, che aveva reso una diversa valutazione degli immobili ereditari di via (omissis) anche sotto il profilo dell'esatta estensione delle relative superfici senza dare adeguata giustificazione del proprio operato e senza tenere in nessun conto gli accertamenti eseguiti dalla CTU svolta nel primo grado di giudizio.
La censura è inammissibile.
La sentenza impugnata ha rilevato che non risultava specificatamente contestato dalle parti il valore al momento dell'apertura della successione degli immobili ereditari relitti da P.M.A. come stimati dalla CTU espletata nel secondo grado di giudizio, ed ha quindi determinato la metà della piena proprietà dell'appartamento di via (omissis) in lire 160.000.000 e la metà della piena proprietà dell'appartamento di via ... in lire 201.000.000; orbene la ricorrente, al fine di censurare specificatamente tale statuizione, aveva l'onere, in realtà non assolto, di dedurre in quale atto e con quali modalità avesse contestato le suddette valutazioni del CTU onde consentire a questa Corte la veridicità di tale asserzione prima di esaminare la fondatezza o meno della questione sollevata.
Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo vizio di motivazione e violazione degli artt. 194 c.p.c. e 24 Cost., assume che la CTU espletata nel giudizio di appello era caratterizzata da errori ed incongruenze in merito alla stima del fondo in contrada (omissis) , cui era stato attribuito un valore di lire 9.000.000 ad ettaro omettendo di considerare il tipo di cultura di tale fondo, il reddito di cui il fondo godeva nel 1993, ed i valori indicati dall'INEA (Istituto Nazionale Economie Agricole), che per la provincia di Agrigento nell'anno 1993 erano pari a lire 12.400.000; inoltre fa presente che le molteplici attività preparatorie del CTU (ricerche presso agenzie e mediatori locali, comparazione tra atti notarili riguardanti immobili similari a quelli in esame e così via) cui ha fatto riferimento la sentenza impugnata erano state svolte all'insaputa delle parti, impedendo loro l'esercizio della difesa anche a mezzo di proprie indagini e comunque precludendo ad esse di verificare quanto dichiarato dallo stesso CTU.
La censura è infondata.
Il giudice di appello ha premesso che il CTU incaricato di un rinnovo delle operazioni peritali aveva correttamente valutato gli immobili ereditari, tra i quali il fondo in contrada (OMISSIS) , al tempo di apertura della successione, ha poi evidenziato che, ai fini della stima di tale fondo, l'accertamento peritale si era basato su di una estesa indagine di mercato tramite la consultazione di agenzie specializzate nel settore e l'utilizzo di dati acquisiti da istituti ufficiali come ad esempio l'INEA, tenendo conto delle condizioni sia intrinseche (ovvero la presenza o meno di reti di servizio) sia estrinseche (quali ad esempio la coltura prevalente della zona); ha quindi rilevato che in base a tali criteri di valutazione il CTU aveva accertato che per terreni aventi le stesse caratteristiche del fondo suddetto erano stati praticati nel comune commercio e nelle libere contrattazioni di compravendita nell'anno 1993 prezzi oscillanti tra lire 8.000.000 e lire 9.000.000 ad ettaro, cosicché aveva ritenuto equo applicare a tale terreno il valore di lire 9.000.000 ad ettaro.
Avendo quindi la sentenza impugnata espresso in modo esaustivo i criteri e le fonti delle valutazioni rese dal CTU al riguardo, si deve ritenere che la sua adesione a tali conclusioni è adeguatamente e logicamente motivata, e dunque immune dai rilievi sollevati dal ricorrente.
Deve poi rilevarsi l'infondatezza degli asseriti vizi procedimentali delle operazioni peritali, da un lato non essendo stata neppure dedotta la mancata comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali né una opposizione da parte del CTU all'intervento delle parti stesse allo svolgimento di tali operazioni (secondo quanto previsto dall'art. 194 secondo comma c.p.c.), e dall'altro essendo sempre possibile per le parti contestare, anche tramite i propri consulenti di fiducia, gli accertamenti svolti dal CTU.
Con il terzo motivo B..L.S. , denunciando vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per non aver sufficientemente espresso le ragioni per le quali ha escluso l'inserimento nella massa ereditaria di gioielli di famiglia di rilevante valore economico, in contrasto con le deposizioni di F..M. e G..M. , con le stesse deduzioni della controparte nella comparsa di costituzione del giudizio di primo grado, e con l'esplicito riferimento ad essi nel testamento di G..L.S. ; a tale ultimo riguardo il ricorrente ritiene contraddittoria l'affermazione della Corte territoriale secondo la quale tale testamento proverebbe l'esistenza di gioielli nel patrimonio di G..S. e non di M.A..P. ; infatti quest'ultima era la legittima erede di G..S. , con la conseguenza che i gioielli compresi nella massa ereditaria di quest'ultimo concorrevano a formare anche la massa ereditaria della P. .
La censura è infondata.
La Corte territoriale ha rilevato che, a parte la considerazione che non era stata fornita alcuna prova dell'esistenza dei suddetti gioielli e tantomeno della loro presenza nell'asse ereditario di M.A..P. , detti beni, ove realmente esistenti, sarebbero appartenuti al comune genitore delle parti L.S.G. , cosicché non avrebbero potuto concorrere alla formazione della massa ereditaria di una persona diversa.
Tale convincimento, frutto di un accertamento di fatto sorretto da sufficiente motivazione, è anche del tutto corretto sul piano logico, in quanto l'eventuale presenza di tali beni nell'asse ereditario di G..L.S. non comporta evidentemente alcuna certezza, neppure di natura presuntiva, in ordine ad una loro acquisizione al patrimonio di M.A..P. , e tantomeno ad una loro appartenenza all'asse ereditario da quest'ultima relitto.
Con il quarto motivo il ricorrente, deducendo vizio di motivazione, assume che erroneamente il giudice di appello ha indicato come facenti parte dell'asse ereditario metà del libretto cointestato alla P. ed all'esponente acceso presso la Banca Sicula e metà del libretto cointestato alla P. ed al germano L.S.F. aperto presso la stessa banca, in quanto i libretti suddetti erano il frutto dei risparmi della "de cuius" e dunque in essi erano depositate somme di denaro di sua proprietà esclusiva che pertanto avrebbero dovuto essere comprese per intero nell'asse ereditario; inoltre il ricorrente assume di aver sempre contestato la sussistenza all'epoca dell'apertura della successione di un libretto intestato all'esponente ed alla di lui madre, posto che la documentazione prodotta consentiva di ritenere che il deposito del libretto esisteva in data 23-3-1992, e non al momento del decesso della P. .
La censura è inammissibile.
Invero, premesso che il giudice di appello in proposito ha dato semplicemente atto che i beni mobili lasciati da P.M.A. erano costituti da un libretto di deposito a risparmio aperto presso la Banca Sicula cointestato alla "de cuius" ed a B..L.S. dell'importo di lire 28.633.340 e di un libretto di deposito a risparmio acceso presso la stessa banca cointestato a M.A..P. ed a L.S.F. dell'importo di lire 57.447.063, si rileva che già la sentenza di primo grado aveva incluso nella massa la metà del totale dei due suddetti libretti di risparmio (vedi pag. 6 della sentenza impugnata), e che tale statuizione non è stata oggetto di impugnazione nel giudizio di appello, tantomeno da parte dell'attuale ricorrente, che in quel grado di giudizio si è limitato a resistere all'impugnazione proposta dalla controparte senza introdurre un appello incidentale; pertanto la decisione sul punto del giudice di primo grado è passata in giudicato.
Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando violazione dell'art. 560 c.c., censura la sentenza impugnata per aver escluso la possibilità di reintegrare la quota di riserva della controparte mediante attribuzione in denaro; invero erroneamente è stato ritenuto che la rivalutazione e gli interessi sulla somma di lire 43.857.083 non avrebbero consentito a distanza di 13 anni dall'apertura della successione di far conseguire a F..L.S. un valore pari alla lesione subita, considerando che il diritto del legittimario alla quota di riserva configura un credito di valore il cui soddisfacimento può avvenire mediante "aestimatio rei" rapportata al momento della pronuncia giudiziale.
La censura è fondata.
La Corte territoriale, premesso che l'appellante si era limitato a chiedere la reintegrazione nella quota di riserva senza richiedere altresì la divisione dei beni sui quali sarebbe stata realizzata l'attribuzione in suo favore, ha affermato che, pur non potendosi escludere in astratto l'attribuzione di un conguaglio in denaro, la praticabilità nella specie di tale soluzione era preclusa, tenuto conto che, essendo trascorsi oltre tredici anni dall'apertura della successione, l'incremento di valore degli immobili avrebbe potuto essere notevolmente superiore all'importo risultante dal pagamento, sulla somma di lire 43.857.083 (corrispondente alla lesione della quota di riserva spettante a F..L.S. ), degli interessi e della rivalutazione monetaria, con conseguente vanificazione dello scopo, perseguito dalla legge, della effettiva reintegra del legittimario pretermesso nella quota a lui dovuta.
Tale convincimento non può essere condiviso in quanto in contrasto con l'orientamento di questa Corte, cui si ritiene di aderire pienamente, secondo il quale, qualora la reintegrazione della quota di legittima venga effettuata mediante conguaglio in denaro, nonostante l'esistenza nell'asse ereditario di beni in natura, trattandosi di credito di valore e non già di valuta, essa deve essere adeguata al mutato valore - al momento della decisione giudiziale - del bene a cui il legittimario avrebbe diritto, affinché ne costituisca l'esatto equivalente, dovendo pertanto procedersi alla relativa rivalutazione (Cass. 19-5-2005 n. 10564; Cass. 19-3-2010 n. 6709).
In definitiva, rigettati tutti gli altri motivi, all'esito dell'accoglimento del quinto motivo di ricorso la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata per un nuovo esame di tale punto della controversia e per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta tutti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo.
10-06-2013 22:17
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