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Sentenza

La prestazione del lavoratore diventa inidonea successivamente alla stipula del contratto: legittimo il licenziamento. E' giustificato motivo oggettivo.
La prestazione del lavoratore diventa inidonea successivamente alla stipula del contratto: legittimo il licenziamento. E' giustificato motivo oggettivo.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 maggio – 25 giugno 2013, n. 15935
Presidente Stile – Relatore Arienzo

Svolgimento del processo

Con sentenza del 14.10.2010, la Corte di Appello di Ancona respingeva il gravame proposto da G.C. avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro che ne aveva rigettato il ricorso inteso ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento irrogatogli il 30.7.1999 e la reintegrazione nel posto di lavoro, nonché il risarcimento dovuto ai sensi di legge. Il lavoratore era stato assunto e destinato originariamente presso l'area di Staff, poi trasferito, a decorrere dal 19.1.1998, all'Agenzia di Coordinamento, dove, dopo neanche un anno, era stato licenziato. Il giudizio, sospeso fino al passaggio in giudicato della pronunzia relativa alla causa intentata per la declaratoria di illegittimità del trasferimento, dichiarato nullo per motivi formali, si era concluso in senso negativo per il lavoratore sul presupposto della sussistenza di una facoltà del datore di risolvere il rapporto anche in caso di impossibilità parziale della prestazione per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, sulla base di una interpretazione degli artt. 79 ed 83 del c.c.n.l. che avallavano tale conclusione, contestata però dal G. nell'impugnazione dinanzi alla Corte di Appello. Quest'ultima rilevava che le clausole contrattuali erano state correttamente interpretate dal giudice di primo grado, il quale aveva ritenuto che il riferimento della sopraggiunta inidoneità del lavoratore a "qualsiasi mansione" della qualifica dovesse ritenersi riguardare anche l'ipotesi della inidoneità parziale, come desumibile anche dalla dichiarazione a verbale all'art. 83 c.c.n.l., in cui si prevedeva la possibilità di trovare soluzioni transattive con assegnazione di mansioni diverse anche in deroga all'art. 2103 c.c., in quanto, in caso contrario, nessuna mansione neanche inferiore poteva essere svolta dal lavoratore, con impossibilità di trovare soluzioni transattive.
Peraltro - osservava la Corte - anche a volere ritenere inapplicabile l'art. 83 c.c.n.l. al caso di inidoneità fisica permanente parziale, in virtù dei principi generali il datore di lavoro, a fronte di una impossibilità sopravvenuta parziale, aveva il potere di valutare il suo interesse alla prestazione residua risolvendo il rapporto, ove fosse provato che la residua capacità lavorativa del dipendente non ne consentisse l'assegnazione ad una diversa attività riconducibile alle mansioni assegnate, ad altre equivalenti od anche a mansioni inferiori, senza modifiche dell'assetto organizzativo.
Quanto al rilievo secondo cui l'assegnazione del G. all'area di Staff non avrebbe implicato una modifica dell'assetto organizzativo, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, la Corte territoriale osservava che il rifiuto di adibire il G. all'area di Staff era giustificato non solo dalle sue condizioni di salute, incompatibili con l'uso del computer, che avrebbero comportato l'utilizzo in sospensione degli arti superiori a lui inibito per le condizioni fisiche, ma anche dalla carenza di posti disponibili che avrebbe determinato un assegnazione in sovrannumero. Anche la rilevanza della pronunzia giudiziale sul trasferimento era da escludere, perché il diritto a tornare nel precedente luogo di lavoro, ossia presso la filiale di Pesaro, doveva essere valutato a confronto con il diritto della società all'esercizio dello ius variandi in relazione alla situazione organizzativa sussistente al momento del ripristino del rapporto nel precedente luogo di lavoro. Peraltro, l'annullamento dell'atto di trasferimento era irrilevante, in quanto era già sopravvenuta una diversa circostanza, ossia l'inidoneità alle mansioni dell'area di produzione del G. , che aveva costretto l'azienda a cercare una diversa collocazione dell'appellante, offrendogli sia mansioni equivalenti, quali quelle del settore recapito, sia mansioni inferiori dell'area di base, entrambe rifiutate.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il G. , affidando l'impugnazione a due motivi, illustrati con memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
La società Poste Italiane si è costituita, con procura speciale, per la sola discussione orale.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 79 e 83 c.c.n.l. dipendenti delle Poste Italiane, nonché degli artt. 1, 3, 4 e 35 Cost., in relazione all'obbligo di salvaguardia del posto di lavoro, nonché dell'art. 1362 c.c., assumendo che non può ritenersi che ogni minima inidoneità fisica del dipendente, anche relativa ad una sola delle mansioni della qualifica, ne comporti automaticamente il licenziamento, ponendosi una tale interpretazione in violazione del principio di salvaguardia del posto di lavoro, oltre che degli obblighi di cooperazione e di tutela dei principi di correttezza e buona fede. La dichiarazione a verbale in calce all'art. 83 c.c.n.l. è conciliabile, secondo il ricorrente, con una interpretazione che si fonda sulla possibilità che il dipendente sia inidoneo alle mansioni della qualifica ma non a quelle di una categoria inferiore, per cui la interpretazione fornita dal giudice del merito è da ritenere in violazione delle norme ermeneutiche e non conforme ad un iter logico idoneo a sorreggere il decisum.
Con il secondo motivo, il G. lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 1464 c.c., rilevando che il datore di lavoro, a fronte della inidoneità parziale del ricorrente, non ha, in forza dei principi di correttezza e buona fede, operato in modo da potere adibire il lavoratore anche a mansioni diverse, ma ha proceduto direttamente al licenziamento. Doveva il datore di lavoro assolvere l'onere di prova in ordine al reimpiego del lavoratore con mutamento di mansioni, specie nel caso di mansioni riconosciute idonee a pregiudicarne l'integrità psico fisica, essendo legittimato il ricorso al licenziamento solo nel caso in cui l'inidoneità si traduca in oggettiva incompatibilità tra la residua professionalità ed il concreto assetto aziendale. Nella specie vi era possibilità di adibizione alle mansioni amministrativo - contabili, senza che vi fosse alcun pregiudizio per il datore e senza necessità di modificare l'assetto aziendale. Assume che la progressiva riduzione del personale dell'area staff aveva comunque consentito di mantenere in servizio settantacinque dipendenti e che la stessa società non aveva mai sostenuto che l'adibizione del G. alle vecchie mansioni avrebbe comportato modifiche all'assetto organizzativo, adducendo solo l'inidoneità dello stesso a svolgere tali mansioni e che, inoltre, l'annullamento del trasferimento dall'area di Staff a quella di produzione aveva incidenza nella valutazione dei presupposti del licenziamento, che doveva essere compiuta tenendo presente la situazione verificatasi per effetto del primo provvedimento, che rendeva la posizione del G. non soprannumeraria.
Osserva la Corte che con riguardo al primo motivo di impugnazione si delinea una causa di improcedibilità, posto che le questioni poste non possono prescindere dalla disamina della normativa collettiva di riferimento, che nella fattispecie non è stata affatto prodotta. Si è, infatti, statuito (Cass. sez. lav. n. 15495 del 2/7/2009) che "l'onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda - imposto, a pena di improcedibilità, dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 - non può dirsi soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendosi ritenere che la produzione parziale di un documento sia non solamente incompatibile con i principi generali dell'ordinamento e con i criteri di fondo dell'intervento legislativo di cui al citato D.Lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di ermeneutica contrattuale dettati dagli artt. 1362 cod. civ. e seguenti e, in specie, con la regola prevista dall'art. 1363 cod. civ., atteso che la mancanza del testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l'interpretazione esaustiva della questione che interessa". Si è, altresì, precisato (Cass. sez. lav. Ordinanza n. 11614 del 13/5/2010) che "l'onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi - imposto, a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella formulazione di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 - è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell'intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato effettuato il deposito di detti atti o siano state allegate per estratto le norme dei contratti collettivi. In tal caso, ove pure la S.C. rilevasse la presenza dei contratti e accordi collettivi nei fascicoli del giudizio di merito, in ogni caso non potrebbe procedere al loro esame, non essendo stati ritualmente depositati secondo la norma richiamata" (cfr., tra le altre, Cass. 17.6.2011 n. 13353).
Il secondo motivo poggia sul rilievo che la sentenza, in contrasto con l'art. 1464 c.c., ha ritenuto legittimo il licenziamento del ricorrente, a fronte della sua inidoneità parziale, senza vagliare preventivamente, in forza dei principi di correttezza e buona fede, la possibilità di adibirlo a mansioni diverse da quelle di assegnazione.
Al riguardo si osserva che la sopravvenuta infermità permanente del lavoratore integra un giustificato motivo oggettivo di recesso del datore di lavoro solo allorché debba escludersi anche la possibilità di adibire lo stesso ad una diversa attività lavorativa riconducibile - alla stregua di un'interpretazione del contratto secondo buona fede - alle mansioni già assegnate, o ad altre equivalenti e, subordinatamente, a mansioni inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile nell'impresa, secondo l'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall'imprenditore. È stato evidenziato che, nel bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti (artt. 4, 32, 36 Cost.), non può pretendersi che il datore di lavoro, per ricollocare il dipendente non più fisicamente idoneo, proceda a modifiche delle scelte organizzative escludendo, da talune posizioni lavorative, le attività incompatibili con le condizioni di salute del lavoratore (cfr. Cass. 28.10.2008 n. 25883, e, nello stesso senso Cass. 2.7.2009 n. 15500; Cass. 19.4.2003 n. 6378; Cass. 13.2.2003 n. 2152, che, però, prescinde dal principio del bilanciamento). La decisione impugnata non si discosta dai principi enunciati, atteso che nella stessa si evidenzia in modo congruo che "sia la società, sia il teste escusso avevano giustificato il rifiuto di adibire il G. all'area di staff non solo a causa delle sue condizioni di salute, che non erano ritenute compatibili con l'uso del computer che avrebbe comportato l'utilizzo in sospensione degli arti superiori, ma anche per la carenza di posti disponibili, adducendo, dunque, la sussistenza di un'organizzazione aziendale incompatibile con la richiesta del lavoratore". Ha poi aggiunto la Corte del merito, in motivazione, che "a fronte di un processo di destaffizzazione, che non viene contestato nell'atto di appello e trova piena prova sia nelle prove testimoniali raccolte (teste P. ), sia nei documenti prodotti nel corso del giudizio dalla resistente (doc. 15 fascicolo appellata), deve ritenersi che l'adibizione del G. all'area di staff sia in netto contrasto con un'organizzazione aziendale volta a ridurre il personale addetto a tale area, sicché nessun obbligo in tal senso può ritenersi gravante sul datore di lavoro". Peraltro, nella parte in cui affronta la questione dell'incidenza di un precedente trasferimento del lavoratore, annullato in sede giudiziale, la stessa Corte di Ancona evidenzia (pag. 10) che la sopravvenuta inidoneità alle mansioni del G. "aveva costretto l'azienda, a prescindere dalla pronuncia giudiziale di trasferimento, a cercare un diversa collocazione dell'appellante, offrendogli sia mansioni equivalenti, quale quelle del settore recapito, sia mansioni inferiori, quale quelle dell'area di base, entrambe rifiutate dal lavoratore". Sotto ogni profilo, valutato che l'onere della prova circa l'impossibilità di assegnare il lavoratore a mansioni diverse spetta al datore di lavoro, ma deve, in ogni caso, tenersi conto dei concreti aspetti della vicenda e delle allegazioni del dipendente attore in giudizio (cfr. Cass. 15500/2009 cit.), la pronunzia impugnata nel suo iter motivazionale risulta sviluppata in maniera coerente con i principi richiamati, avendo ben considerato gli oneri probatori gravanti su ciascuna delle parti in causa. Ogni altra doglianza riguarda aspetti non censurabili sub specie di violazione di legge, rifluendo in considerazioni che attengono al merito, quali il rilievo che vi fosse nella specie possibilità di adibizione a mansioni amministrativo-contabili, ovvero che ciò non avrebbe comportato modifiche dell'assetto aziendale, ed inoltre, a prescindere dal mancato richiamo a precedenti allegazioni con riguardo alla specifica questione, che avrebbero dovuto essere oggetto di prova nella fase del merito, deve osservarsi che i profili considerati esulano dall'ambito delle scelte imprenditoriali sindacabili. Al riguardo deve invero considerarsi che, come osservato dalla pronunzia di legittimità sopra richiamata (Cass. 1550072009 cit), "il nucleo essenziale della libertà di iniziativa economica dell'imprenditore, garantita dall'art. 41 Cost., sta nell'autodeterminazione circa il dimensionamento e la scelta del personale da impiegare nell'azienda ed il conseguente profilo dell'organizzazione interna della stessa" (Corte Cost., in particolare sentenze n. 78 del 1958 e n. 356 del 1993), soprattutto al fine di preservarne gli equilibri finanziari (Corte Cost. n. 316 del 1990). Ne discende che la tutela dei singoli lavoratori, anche con riguardo ad interessi costituzionalmente rilevanti (diritto al lavoro, alla salute), non può spingersi fino a determinare scelte organizzative preordinate al perseguimento di finalità assistenziali, eventualmente incidenti sulla posizione di altri dipendenti ed imposte all'impresa senza il supporto di una disposizione di legge ai sensi dell'art. 23 Cost.".
Alla stregua di quanto argomentato e considerato che ogni doglianza relativa all'annullamento del trasferimento, per motivi formali, ed alla conseguente ricollocazione nel contesto lavorativo di precedente assegnazione non presenta profili di interferenza ed incidenza con riguardo alla sopravvenuta idoneità fisica parziale del lavoratore, il ricorso deve essere respinto con riguardo al secondo motivo, laddove il primo va dichiarato improcedibile.
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza del G. e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto della difesa della Società limitata alla partecipazione all'udienza di discussione.

P.Q.M.

La Corte dichiara l'improcedibilità del primo motivo e rigetta il secondo; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 40,00 per esborsi ed in Euro 1200,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Avv. Antonino Sugamele

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