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Sentenza

La contraddittorietà della sentenza, vizio autonomo voluto dalla legge n. 46/06, si manifesta come una incongruenza interna tra svolgimento del processo e decisione e si atteggia come una sorta di contraddittorietà “processuale” in contrapposizione alla contraddittorietà “logica” che è intrinseca al testo del provvedimento.
La contraddittorietà della sentenza, vizio autonomo voluto dalla legge n. 46/06, si manifesta come una incongruenza interna tra svolgimento del processo e decisione e si atteggia come una sorta di contraddittorietà “processuale” in contrapposizione alla contraddittorietà “logica” che è intrinseca al testo del provvedimento.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 maggio – 14 novembre 2013, n. 45647
Presidente Lombardi – Relatore Grillo

Ritenuto in fatto

1.1 Con sentenza del 6 marzo 2012 la Corte di Appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza emessa il 30 marzo 2011 dal Giudice dell'udienza Preliminare del Tribunale di Ascoli Piceno nei confronti di P.P. , imputato dei delitti di violenza sessuale (artt. 609 bis cod. pen), abusivo esercizio della professione (art. 348 cod. pen.) e truffa (art. 640 cod. pen.), con la quale lo stesso era stato condannato alla complessiva pena di anni tre di reclusione oltre alle pene accessorie di legge ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituita, rideterminava la pena complessiva in anni due di reclusione che sospendeva condizionalmente e revocava l'interdizione temporanea dai pubblici uffici, confermando nel resto anche con riferimento alle disposte statuizioni civili.
1.2 A fondamento di detta decisione la Corte territoriale richiamava le articolate argomentazioni sviluppate dal G.U.P. in punto di affermazione della responsabilità per tutti i reati contestati. Rilevava - quanto al contestato giudizio di attendibilità della persona offesa - la piena credibilità delle sue dichiarazioni e la totale irrilevanza e/o marginalità di alcune contraddizioni ravvisate o ravvisabili nel suo racconto. Rigettava, perché basata su prove ultronee e non decisive la richiesta di parziale rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.
Respingeva, perché palesemente infondata, l'eccezione difensiva di nullità della sentenza per difetto di correlazione tra accusa e decisione con riguardo al reato di truffa e accoglieva, invece, le doglianze difensive sollevate con riferimento al trattamento sanzionatorio, riducendo la pena con le conseguenziali statuizioni sulla pena accessoria ex art. 29 cod. pen..
1.3 Ricorre per l'annullamento della sentenza l'imputato a mezzo del loro difensore fiduciario deducendo quattro articolati motivi a sostegno che qui si espongono succintamente: con il primo viene dedotto vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità, oltre che per carenza in relazione alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, anche alla luce delle numerose contraddizioni ravvisabili nel suo racconto, prese in considerazione dalla Corte marchigiana ma giudicate, a torto, marginali. Con il secondo motivo viene dedotto analogo vizio con riferimento al diniego di rinnovazione della istruzione dibattimentale. Con il terzo motivo viene censurata la decisione impugnata per difetto di motivazione giudicata contraddittoria e manifestamente illogica in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche. Con l'ultimo motivo la difesa denuncia erronea applicazione della legge penale e sua inosservanza con riguardo al calcolo della pena per la continuazione, effettuato, peraltro, senza l'esplicitazione delle ragioni alla base della sua entità giudicata eccessiva con specifico riguardo al reato di cui all'art. 348 cod. pen..
1.4 Con motivi aggiunti tempestivamente depositati la difesa del ricorrente ribadisce il vizio di motivazione sotto il duplice profilo della contraddittorietà e manifesta illogicità sia con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche che con riferimento al calcolo degli aumenti di pena per la ritenuta continuazione.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non è fondato.
2. Richiamata in fatto la vicenda processuale nei termini in cui è stata dettagliatamente ricostruita dalla Corte territoriale, va subito osservato, in linea generale, come nel caso in esame, in punto di conferma del giudizio di colpevolezza espresso dalla Corte per tutti i reati contestati, la sentenza di secondo grado fa integrale richiamo alle considerazioni sviluppate dal GUP in modo diffuso, tanto sulla attendibilità della persona offesa, quanto sulla configurabilità giuridica dei reati satelliti (esercizio abusivo della professione e truffa).
2.1 Nel ricordare che la struttura motivazionale della sentenza di appello, laddove le pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a base delle rispettive decisioni, si salda e si integra con quella precedente di primo grado così giustificando da parte del giudice di secondo grado una motivazione per relationem. (Cass. Sez. 2, 10.1.2007 n. 5606, Conversa e altri; Rv. 236181; Cass. Sez. 1, 26.6.2000 n. 8868, Sangiorgi, Rv. 216906; Cass. Sez. Un. 4.2.1992 n. 6682, Pm., p.c., Musumeci ed altri, Rv. 191229), occorre evidenziare che nel caso di specie la Corte territoriale non si è, però, limitata ad un richiamo delle principali argomentazioni sviluppate dal primo giudice, esprimendo invece un proprio autonomo giudizio sulla attendibilità della giovane vittima e valutando analiticamente le pur rilevate contraddizioni per poi esprimere un giudizio di irrilevanza. La valutazione della Corte territoriale su tali punti si sottrae a qualsiasi censura sia in termini di contraddittorietà della motivazione che in termini di illogicità manifesta.
2.2 sempre in linea generale va rilevato - con specifico riguardo ai vizi di motivazione -che per mancanza della motivazione si deve trattare o di un percorso argomentativo del tutto assente, ovvero di una motivazione meramente apparente o priva di singoli momenti esplicativi in ordine ai temi sui quali deve vertere il giudizio. Quanto alla contraddittorietà, introdotta come vizio autonomo dalla L. 46/06, essa si manifesta come una incongruenza interna tra svolgimento del processo e decisione e si atteggia, quindi, come una sorta di contraddittorietà "processuale" in contrapposizione alla contraddittorietà "logica" che è intrinseca al testo del provvedimento: più in generale si parla di contraddittorietà della motivazione quando essa non sia adeguata in quanto non permette un agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova (così Sez. 6^ 14.1.2010 n. 7651 P.G. in proc. Mannino, Rv. 246172). In ultima analisi il vizio in questione di sostanzia "nell'incompatibilità tra l'informazione posta alla base del provvedimento impugnato e l'informazione sul medesimo punto esistente in atti (si afferma ciò che si nega e si nega ciò che è affermato" (in termini Sez. 3^ 21.11.2010 n. 12110, Campanella e altro, Rv. 243247). Quanto, infine, al concetto di manifesta illogicità, esso ricorre allorché l'incoerenza sia evidente, ovvero di livello tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità, al riguardo, essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi di diritto (cfr. Cass. Sez. Un. 21.9.2003 n. 47289, Petrella, Rv. 226074; Sez. 3^ 12.10.2007 n. 40542, Marrazzo e altro, Rv. 238016).
2.3 Tali essendo le regole generali di valutazione della motivazione nell'ambito del giudizio di cassazione, osserva il Collegio che nel caso in esame nessuno dei vizi denunciati sussiste in considerazione della adeguata attenzione posta dalla Corte sui vari punti critici esposti nell'atto di appello che non solo non sono rimasti inesplorati, ma che hanno a loro volta, formato oggetto di attenta analisi e di corretta applicazione delle norme giuridiche sia sostanziali che processuali.
2.4 Il primo motivo di ricorso cui il ricorso dedica ben 21 delle 36 pagine dell'atto, ripercorre il racconto della giovane vittima degli abusi (abusi non circoscritti ad una isolata occasione, ma ripetuti nel tempo e con intensità progressiva tanto da determinare la Corte a negare - anche sotto tale profilo - le circostanze attenuanti generiche come si vedrà in prosieguo), è infondato. La Corte di merito ha, anzitutto, sottoposto a verifica le dichiarazioni della minore, giudicandole - con procedimento immune da vizi logici manifesti e in modo adeguato rispetto ai dati probatori disponibili (che non sono certamente pochi) - coerenti, costanti, precise e soprattutto dettagliate. Vi è di più: la Corte ha preso in considerazione l'atteggiamento emotivo (descritto in termini nervosismo e stato di agitazione) della ragazza all'atto delle sue dichiarazioni e soprattutto alla vista del P. in occasione del ricovero in Ospedale del proprio genitore (vds. pag. 10-11 della sentenza); ha chiarito la portata della omessa descrizione da parte della giovane dell'assenza di specializzazioni sanitarie nella targa esterna dell'edificio in cui era ubicato lo studio, traendone un ulteriore e rafforzato convincimento sulla credibilità della ragazza (pagg. 11-12 della sentenza). Ha escluso qualsiasi rilevanza all'episodio della biancheria intima indossata dalla ragazza in occasione dell'ultima visita (vds. pag. 13 della sentenza) Le contraddizioni rilevate nel suo racconto non sono mai state considerate eclatanti, come rilevato in più punti dalla Corte marchigiana, avendo invece la ragazza avuto modo di descrivere con precisione, chiarezza e costanza come venivano compiuti in suo danno gli abusi: una tecnica insidiosa e subdola, accentuata dalla falsa prospettazione di uno status di medico, dalla sua specifica capacità professionale in determinate branche mediche e dai rapporti di para-amicizia con il nucleo familiare della vittima (non per nulla la Corte ha ricordato l'emblematico episodio della cena svoltasi a casa della minore in cui era invitato l'odierno ricorrente).
2.5 Ma la Corte ha anche richiamato alcuni importanti riscontri esterni (in particolare le testimonianze della zia della minore che inizialmente aveva suggerito alla nipote di avvalersi dell'opera del P. per curare alcuni suoi disturbi) e del fidanzato della ragazza, pur non ravvisandone la necessità nei casi di dichiarazioni del minore vittima degli abusi, una volta valutata con il dovuto rigore la portata delle dichiarazioni della vittima degli abusi.
2.6 Le censure difensive sul punto riprendono le varie contraddizioni già sottoposte all'attenzione della Corte, insistendo sulla loro rilevanza e sul giudizio di illogicità manifesta espresso dalla Corte circa la loro irrilevanza e/o marginalità: ne sono state aggiunte altre (come la visita al seno - pag. 13 del ricorso) che nulla aggiungono a quanto in questa sede osservato in merito alla logicità e coerenza, oltre che congruità, della valutazione compiuta dalla Corte. Può solo constatarsi che con tali censure la difesa introduce una quaestio facti sottratta al giudizio di legittimità nella misura in cui rappresenta in termini alternativi una propria ricostruzione sull'essenza e significato delle contraddizioni, versione, oltretutto, palesemente implausibile (come nel caso della descrizione della stanza delle visite ovvero del reciso invito rivolto dal P. al fidanzato della ragazza di andare via dallo studio ove il giovane aveva accompagnato la fidanzata - vds. pag. 11 della sentenza impugnata in contrapposizione alle pagg. 8-13 e 16-17 del ricorso). In conclusione il primo motivo di ricorso va disatteso.
3. Parimenti infondata la censura legata al difetto di motivazione in ordine al diniego della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. Va precisato che nella specie si verteva in tema di giudizio abbreviato condizionato, circostanza che avrebbe dovuto suggerire all'imputato di articolare detti mezzi istruttori al momento dell'accesso al rito speciale, tanto più che si trattava di prove preesistenti e non sopravvenute.
3.1 È vero che in tema di giudizio abbreviato ed,, "condizionato" la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello è sempre consentita mentre in caso di giudizio abbreviato semplice è solo consentito un potere di sollecitazione nei riguardi del giudice di appello affinchè proceda ex officio alla rinnovazione richiesta (in termini Sez. 3^ 2.3.2004 n. 15296, Simek, Rv. 228335; in senso analogo Sez. 4^ 20.12.2005 n. 15573, Coniglio e altri, Rv. 233956). Ma laddove si tratti di prove preesistenti non inserite nella richiesta di giudizio abbreviato condizionato all'espletamento di prove diverse, se ne coglie già l'irragionevolezza della richiesta. E tanto più appare irragionevole la censura in relazione al fatto che la Corte territoriale ha comunque preso in esame la richiesta, disattendendola, a ragione, per la sua assoluta irrilevanza e non decisività.
3.2 Ciò detto va ribadito che, stante l'eccezionalità dell'istituto processuale contemplato nell'art. 603 cod. proc. pen., il mancato accoglimento della richiesta volta ad ottenere detta rinnovazione può essere censurato in sede di legittimità solo quando risulti dimostrata, indipendentemente dall'esistenza o meno di una specifica motivazione sul punto nella decisione impugnata, la oggettiva necessità dell'adempimento in questione e, quindi, l'erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di "decidere allo stato degli atti", come previsto dall'art. 603, comma 1, c.p.p. In altri termini va dimostrata l'esistenza, nel tessuto motivazionale che sorregge la decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità ricavabili dal testo del medesimo provvedimento (come previsto dall'art. 606, comma 1, lett. a), c.p.p.) e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello. (Cass. Sez., 1^ 28.6.1999 n. 9151, Capitani, Rv. 213923).
3.3 Il giudizio di non decisività della prova è stato espresso dalla Corte proprio in relazione alle finalità delle prove richieste (si trattava della testimonianza di A.G. , padre della ragazza abusata in merito alle prestazioni professionali effettuate in favore della giovane e ai comportamenti assunti vesto costei, nonché delle testimonianza del Dr. S.E. in merito alla correttezza professionale manifestata dall'imputato nei riguardi di altre pazienti). Corretta, quindi, la decisione assunta dalla Corte per le ragioni meglio esplicitate a pag. 13 della sentenza, nel rispetto delle regole generali in tema di condizioni per farsi luogo alla rinnovazione parziale del dibattimento.
4. Anche le censure sollevate dalla difesa del ricorrente in merito alla asserita manifesta illogicità e contraddittorietà del diniego di concessione delle circostanza attenuanti generiche (censure riproposte nei motivi aggiunti in termini sostanzialmente analoghi) non ha ragion d'essere in quanto la Corte distrettuale ha adeguatamente esplicitato le ragioni del diniego basandole sulla particolare gravità della condotta; sulla sua persistenza nel tempo e sulla non comune intensità del dolo: indici che globalmente considerati, per la loro negatività hanno determinato la Corte - a ragione - rigettare la richiesta.
5. Palesemente infondata, infine, la censura - reiterata anche con i motivi aggiunti - in merito ai criteri seguiti dalla Corte nel calcolo degli aumenti di pena per la continuazione, essendo incontestato il potere discrezionale del giudice di merito nella determinazione del quantum di pena da irrogare in aumento nel rispetto dei parametri indicati dall'art. 133 cod. pen: parametri che nel caso in esame sono state rispettati non assumendo alcuna specifica valenza la circostanza che con riferimento ad uno dei reati satelliti punibile con la pena alternativa, sia stata applicata quella detentiva nella misura massima consentita avendo la Corte valutato in modo particolarmente negativo le modalità della condotta e l'intensità del dolo.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00 oltre IVA e accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in Euro 2.500,00, oltre IVA e accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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