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Sentenza

L'avvocato commette nella causa un errore, ma non ha fatto perdere nessuna chance al cliente. No al risarcimento.
L'avvocato commette nella causa un errore, ma non ha fatto perdere nessuna chance al cliente. No al risarcimento.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 20 marzo - 14 maggio 2013, n. 11548
Presidente Petti – Relatore Giacalone

In fatto e in diritto

1. La controversia ha ad oggetto la domanda di risarcimento dei danni, proposta, nel gennaio 1993, dal L. (già acquirente nel 1982 di un immobile poi riscattato dal conduttore), sul presupposto dell'avvenuta perdita del bene, in conseguenza del riscatto subito, nei confronti della Immobiliare Romon srl (venditrice), ormai in liquidazione, nonché, sul presupposto della commissione di plurimi inadempimenti professionali nella pregressa causa di riscatto da parte dei propri difensori avvocati M. e C. , nei confronti di questi. Per quanto rileva in questa sede, il Tribunale affermava la responsabilità dell'avv. M. per l'omessa riproposizione in grado di appello della domanda di manleva (ndr: e di risarcimento danni) nei confronti dell'Immobiliare Romon ed il suo essere tenuto, in via sussidiaria, "al pagamento di quanto eventualmente non ottenuto dall'attore dalla debitrice Immobiliare Romon, considerato che questa, successivamente al giudizio di appello promosso dal F. , (era) stata posta in liquidazione ed (aveva) alienato il proprio patrimonio"; mentre riteneva infondata l'analoga pretesa nei confronti dell'avv. C. , non risultando che questi fosse munito di procura per le fasi di merito del pregresso giudizio.
2. Con la sentenza impugnata, depositata il 27.02.2006, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma di quella di primo grado, respingeva la domanda del L. di condanna in via sussidiaria dell'avv. M. al risarcimento dei danni in L. 313.200.000, oltre ad interessi legali dal 28 ottobre 1992 al saldo, "in caso di totale impossibilità di recupero di tale importo" nei confronti della debitrice principale", ovvero alla differenza tra tale somma e quanto l'attore riesca a percepire dalla Immobiliare Romon s.r.l. in liquidazione. Premesso che il motivo di gravame integrava un'eccezione nuova (ma ammissibile ex art. 345 2 co. c.p.c. anteriore alla riforma) osservava la Corte come la invocata responsabilità per danni dell'avv. M. fosse una responsabilità professionale per omissione (da ritenersi grave in relazione alla materia del contendere) di riproposizione di una subordinata domanda di manleva e danni. Al fine di valutare la fondatezza della domanda proposta nel presente giudizio, la Corte territoriale riteneva necessario valutare quale sarebbe stato l'esito della pregressa lite, qualora detta domanda fosse stata debitamente riformulata in grado di appello. Nella comparsa conclusionale di I grado (prodotta nel fascicolo di parte dell'Avv. M. tra la comparsa di costituzione del 24 luglio 2001 e la sentenza di I grado, n. 794911985, resa dal Tribunale di Milano di rigetto della domanda proposta dal F. nei confronti dell'Immobiliare Romon e del L. , con conseguente assorbimento della subordinata domanda di quest'ultimo nei confronti della Romon), quanto ai danni, in effetti così si argomentava: "tenuta a risarcire i danni che, ad esso convenuto L. , sarebbero derivati, i quali in particolare già sin d'ora si potrebbero individuare nell'inevitabile rimborso dei prezzo pattuito maggiorato degli interessi e della rivalutazione monetaria, nonché del rimborso delle spese sostenute per la stipulazione del rogito notarile". Pur nella approssimazione e stringatezza della svolta difesa era quindi certo che, ove la domanda non fosse stata rinunciata, la Corte non avrebbe potuto liquidare a titolo di risarcimento danni più di quanto richiesto a titolo di danno emergente, laddove nelle pur formulate generiche conclusioni la richiesta era stata così limitata alla restituzione del prezzo, con gli accessori, ed al rimborso delle sostenute spese notarili. Il L. , per il tramite del pagamento effettuatogli dal F. (v. la scrittura privata del 28 ottobre 1992), aveva già realizzato la restituzione del prezzo versato in L. 124.000.000, oltre agli interessi legali dall'atto dell'acquisto del L. ad oggi" (il che, dedotte le spese legali ed i canoni di locazione corrisposti dal F. al L. dal 1983 al 1987, aveva comportato la dazione di L. 154.000.000). Sarebbero residuate, pertanto, rispetto alla comparata pretesa non coltivata nel pregresso giudizio, i danni da rivalutazione del prezzo pagato e le spese del rogito, ma queste voci di danno non sono state azionate nel presente giudizio e sono dei tutto diverse da quella pretesa di danno da lucro cessante per perdita dell'immobile che, ritenuta fondata dal primo giudice nel raffronto tra quanto incassato ed il valore dell'immobile libero alla data del ricevuto pagamento, ha comportato la condanna principale nei confronti della società immobiliare e quella sussidiaria nei confronti dell'Avv. M. , nei limiti sopra detti, per il pagamento di L. 313.200.000, oltre ad interessi. Ogni altro motivo di appello rimaneva assorbito.
3. Il L. propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, illustrati con memoria; resiste l'Avv. M. , con controricorso, e chiede rigettarsi il ricorso in quanto inammissibile e, comunque, infondato.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta: violazione e falsa applicazione dell'art. 346 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), perché la Corte territoriale - pur premettendo, correttamente, che la fondatezza della domanda risarcitoria dipendeva dalla valutazione di quale sarebbe stato l'esito della pregressa lite, qualora la domanda non riproposta in sede d'appello fosse stata, invece, "debitamente riformulata" - avrebbe dato un'interpretazione erronea della domanda svolta in via subordinata dal difensore del L. nel processo in questione, in primo grado, e non riproposta in appello. Quella domanda, svolta nella "comparsa di costituzione e risposta per L.L. ", redatta dall'Avv. M. , in data 8/7/83, era la seguente: "In via subordinata e nell'ipotesi di accoglimento delle domande tutte proposte dall'attore, dichiarare l'imm.re Romon s.r.l. tenuta a manlevare il convenuto L.L. da tutte le domande contro di lui proposte e condannare la stessa al risarcimento dei danni subiti da questi in dipendenza e conseguenza del loro accoglimento, nonché alla rifusione delle spese di lite". L'Avv. M. , nell'interesse del L. chiese, in via di subordine, che l'Immobiliare Romon fosse tenuta a manlevarlo da tutte le domande contro di lui proposte, e fosse condannata al risarcimento "dei danni subiti da questi in dipendenza e conseguenza del loro accoglimento". Nessuna limitazione dei danni richiesti venne fatta nel corso del giudizio. Il ricorrente sostiene di non aver mai autorizzato l'Avv. M. a limitare i danni alla rivalutazione monetaria ed alle spese notarili. In sede di comparsa di costituzione e risposta dell'8/7/83, l'Avv. M. precisò che i danni avrebbero dovuto formare "oggetto d'indagine da parte del Tribunale Ill.mo, ma una volta accertato che, nel caso di specie, vi fu violazione dell'art. 38 della legge 392/78, accertamento che deve assumere carattere pregiudiziale". Il M. , in modo certamente poco efficace ed imperito, indicò "a scopo esemplificativo" che i danni "potrebbero facilmente individuarsi nel rimborso delle spese notarili sostenute, nel rimborso alla tassa di registro pagata, nella corresponsione degli interessi monetari e della rivalutazione monetaria". Si trattava solo di un elenco, come ben precisato dall'Avv. M. , formulato a solo ed esclusivo "scopo esemplificativo". L'individuazione dei danni, nel loro complesso, avrebbe dovuto costituire l'oggetto di un'indagine da parte del Tribunale Ill.mo". Tale indagine non venne effettuata, perché in primo grado il L. vide accogliere la domanda svolta in via principale di rigetto delle domande proposte dall'attore. In grado d'appello, l'indagine non poté svolgersi, in quanto la domanda subordinata non venne riproposta. La Corte territoriale non avrebbe dovuto dichiarare che "nelle pur formulate generiche conclusioni la richiesta era stata limitata alla restituzione del prezzo, con gli accessori, ed al rimborso delle sostenute spese notarili", perché non corrisponderebbe al vero che l'Avv. M. abbia limitato le richieste del L. solo ed esclusivamente a tali voci. La richiesta dell'odierno ricorrente sarebbe stata più ampia e comprendente tutti i danni dallo stesso subiti e non solo quello emergente.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost. e 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c.; omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), perché la Corte territoriale ha posto a fondamento della propria decisione un documento - la comparsa conclusionale, che l'Avv. M. avrebbe redatto e depositato, nell'interesse dell'odierno ricorrente, in cui il L. avrebbe limitato la propria richiesta di risarcimento danni - che non sarebbe mai stato regolarmente prodotto in giudizio dalla controparte. Tale documento non sarebbe stato prodotto nel corso del giudizio di primo grado, risulta menzionato nell'atto di appello dell'Avv. M. , senza numerazione e senza l'indicazione della sua produzione in giudizio (la difesa avversaria, in quell'atto, dichiara espressamente di produrre solo ed esclusivamente il fascicolo di primo grado e nessun altro documento) e viene irregolarmente indicato dagli stessi Giudici d'Appello, come documento prodotto "nel fascicolo di parte dell'Avv. M. tra la comparsa di costituzione del 24 luglio 2001 e la sentenza di primo grado, n. 7949/1985, resa dal Tribunale di Milano...". Come implicitamente ammesso dalla stessa Corte d'Appello di Milano, si tratterebbe - secondo il ricorrente - di documento irritualmente inserito nel fascicolo avversario. I Giudici d'Appello non l'avrebbero potuto individuare con una numerazione, menzionandolo solo attraverso il riferimento al luogo fisico ove l'avevano rinvenuto. Detto documento sarebbe privo di numerazione, non inserito nell'elenco dei documenti avversari e si sarebbe trovato fisicamente tra la comparsa e la sentenza. Sarebbe evidente la violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa del ricorrente, che non avrebbe mai potuto prendere visione di quel documento. La Corte territoriale non avrebbe dovuto tenere in considerazione quanto dedotto nella suddetta comparsa conclusionale, documento inserito irregolarmente nel fascicolo di parte dell'Avv. M. "tra la comparsa di costituzione del 24/7/2001 e la sentenza di primo grado, n. 7949185". Ne deriverebbe che la circostanza che il documento in questione non sia stato regolarmente prodotto in giudizio sarebbe confermata dagli stessi Giudici di secondo grado, che non l'hanno potuto individuare con un numero e che l'hanno reperito nel fascicolo avversario (privo di idoneo elenco), tra gli indicati atti.
4.1. Con riguardo al primo motivo di ricorso, la doglianza è priva di pregio in entrambi i suoi profili e non merita di essere accolta. L'interpretazione posta dalla Corte territoriale a base della propria decisione appare in linea con l'orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui, in materia di contratto d'opera intellettuale, ove anche risulti provato l'inadempimento del professionista alla propria obbligazione, per negligente svolgimento della prestazione, il danno derivante da eventuali sue omissioni deve ritenersi sussistente solo qualora, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito (tra le tante Cass. n. 22026/2004; n. 10966/2004; n. 6967/2006; n. 9917/2010). La relativa indagine, da svolgersi sulla scorta degli elementi di prova che il danneggiato ha l'onere di fornire in ordine al fondamento dell'azione proposta, è riservata all'apprezzamento del giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto se non sia sorretta da una motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 6967/2006; n. 9917/2010). A tal fine, il giudizio prognostico, che il giudice del merito deve compiere, non può che consistere in una valutazione volta a verificare se la pretesa azionata a suo tempo, senza la negligenza del legale, sarebbe stata in termini probabilistici ritenuta fondata e se il risultato sarebbe stato diverso e più favorevole all'assistito.
Al riguardo, i giudici di secondo grado hanno concluso il loro percorso argomentativo riconoscendo che, ove la domanda di manleva del L. fosse stata non solo riproposta, ma anche accolta, questi non avrebbe potuto ottenere più di quanto espressamente chiesto con la comparsa conclusionale dell'originario giudizio, datata 28 giugno 1985. La conclusione del Giudice di merito va condivisa, essendo pacifica, sulla base degli elementi probatori forniti in quel grado di giudizio, l'ininfluenza dell'inadempimento del M. sull'esito della lite.
Tantomeno inficia tale conclusione la circostanza che la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato la domanda giudiziale del L. nell'originario giudizio, redatta dal M. e datata 8 luglio 1983. Per consolidata giurisprudenza di questa S. C., l'interpretazione della domanda giudiziale, consistendo in un giudizio di fatto, è incensurabile in sede di legittimità e, pertanto, la Corte di cassazione è abilitata all'espletamento di indagini dirette al riguardo soltanto allorché il Giudice di merito abbia omesso l'indagine interpretativa della domanda, ma non se l'abbia compiuta ed abbia motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all'esito dell'indagine (Cass. n. 5876/2011).
Alla luce delle predette considerazioni, non è quindi risarcibile la perdita di chance, non essendo nella specie ravvisabile alcun pregiudizio in termini concreti. L'accoglimento della domanda di risarcimento da lucro cessante o da perdita di chance esige la prova, anche presuntiva, nella specie assolutamente non raggiunta, dell'esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l'esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (Cass. n. 15385/2011). Vista la logicità dell'apprezzamento della Corte di merito e la congruità delle ragioni enunciate a sostegno della decisione, ne deriva l'infondatezza della doglianza in esame.
4.2 Anche il secondo motivo di ricorso - con cui il ricorrente censura la sentenza per avere posto a base della decisione il contenuto della comparsa conclusionale dell'originario giudizio tra di lui e il F. , assumendo che la stessa non sarebbe mai stata regolarmente prodotta in giudizio - è privo di pregio. Dagli atti difensivi messi a disposizione di questa Corte, emerge in modo chiaro che l'odierno intimato, già con l'atto di appello, aveva fatto riferimento al predetto documento nei propri scritti difensivi.
Secondo la giurisprudenza di questa S. C, l'irrituale produzione di un documento non è rilevabile d'ufficio ma deve essere eccepita dalla parte interessata nell'udienza immediatamente successiva, con la conseguenza che, in caso di mancata tempestiva opposizione, il compimento dell'attività irregolare non può essere dedotto per la prima volta in cassazione (Cass. n. 527/2002; id. n. 13744/2003 e n. 20112/2006; Cass. n. 5671/2010). La mancanza di tempestiva opposizione alla produzione - asseritamente irrituale - del documento, che il L. , avrebbe dovuto, nel giudizio di merito, formulare nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso, non consente di accertare alcuna lesione del contraddittorio, che invece le norme di cui si assume la violazione sono dirette ad assicurare. In tal modo, il ricorrente non tiene presente il consolidato orientamento di questa S. C, secondo cui, nel giudizio di cassazione, avente ad oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio (tra le tante Cass. 4787/2012). Senza contare che, se è vero che è opportuno sottolineare che nonostante l'attestazione del cancelliere e la sottoscrizione di questi dell'indice del fascicolo svolge la funzione di attestare la regolarità dell'esibizione della documentazione, nonché la data in cui questa avviene, allo scopo di mettere i documenti esibiti a disposizione della controparte, in modo su di essi possa esercitarsi il diritto di difesa e svilupparsi il contraddittorio, è altrettanto vero che la mancanza della sottoscrizione costituisce una mera irregolarità formale. Tale irregolarità può dar luogo a questioni in ordine all'utilizzabilità degli atti ivi presenti solo in caso di contestazioni della controparte sulla produzione ed esibizione di documenti, laddove, in assenza dell'adempimento sopra indicato, sorga dubbio sulla produzione in giudizio dell'atto (Cass. n. 434/2007; n. 4898/2007; n. 11088/2004; n. 2076/2002). Nel caso di specie, invece, mancava qualsiasi contestazione sul punto nella fase di merito e a diradare ogni dubbio sulla produzione del documento, può riconoscersi il riferimento espresso ad esso contenuto nell'atto di appello del M. e notificato al L. . La doglianza va quindi respinta.
5 - Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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