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Sentenza

Integra la truffa, e non l'estorsione la condotta di chi, per procurarsi un ingiusto profitto, rappresenta falsamente alla vittima un pericolo immaginario proveniente da terzi e si offre di adoperarsi per evitargli tale fatto in cambio di denaro.
Integra la truffa, e non l'estorsione la condotta di chi, per procurarsi un ingiusto profitto, rappresenta falsamente alla vittima un pericolo immaginario proveniente da terzi e si offre di adoperarsi per evitargli tale fatto in cambio di denaro.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 marzo - 1° luglio 2013, n. 28390
Presidente Macchia – Relatore Verga

Motivi della decisione

Con sentenza del 9 dicembre 2011 la corte d'appello di Lecce confermava la sentenza del locale GUP che, in data 9 aprile 2009, aveva condannato G.G. in ordine ai reati di cui agli articoli 81, 629 e 346 comma 2 codice penale Ricorre per cassazione l'imputato deducendo:
1. violazione di legge in ordine al reato di cui all'articolo 629 del codice penale per insussistenza della minaccia;
2. violazione di legge e vizio della motivazione perché l'estorsione, se sussistente, non può ritenersi consumata, bensì tentata;
3. violazione di legge e vizio della motivazione per inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 640 e 346 codice penale. Ritiene sussistente il delitto di truffa aggravata per aver ingenerato un pericolo immaginario della persona offesa e non quello di estorsione e insussistente il reato di millantato credito perché rientrante nell'ipotesi di truffa.
4. violazione della legge vizio della motivazione in ordine al diniego dell'attenuante di cui all'articolo 62 numero sei codice penale.
L'imputato è stato condannato per estorsione per avere richiesto alla parte offesa denaro che doveva essere corrisposto, tra gli altri ad un funzionario dell'Inps, per ricompensarlo del buon esito della pratica di pensione, minacciando che, in mancanza di tale pagamento, la pensione poteva essere revocata con conseguente mancato pagamento degli arretrati non riscossi.
Ciò detto deve essere richiamato l'orientamento di questa Corte, secondo cui integra il delitto di truffa la condotta di colui che prospetti un male possibile ed eventuale, in ogni caso non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non sia coartata, ma si determini alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratta in errore dall'esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poiché in tal caso la persona offesa è posta nell'ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato (Sez. 2, 6/5/2008, n. 21537 - Rv. 240108; Sez. 2, 30/6/2010, n. 35346 - Rv. 248402, Sez. 2 n. 27363, 4/04/2012 Rv. 253313). In sostanza, la "minaccia" - che caratterizza, in alternativa alla "violenza, la condotta estorsiva e la distingue dal comportamento truffaldino - deve contenere il riferimento ad un evento ingiusto, paventato quale ritorsione dell'agente nei confronti del soggetto passivo che non accondiscenda alle sue richieste oppure come un atteggiamento prevaricatorio, anche di terzi, per sottrarsi al quale la vittima è coartata nella libera determinazione di accondiscendere o meno alle pretese che le sono state rivolte.
Ciò in quanto è stato affermato e ripetuto che il criterio di differenziazione fra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima (Sez. 6, 10/4/2003, n. 29704 - Rv. 226057; Sez. 2, 21/5/2001, n. 26272 - Rv. 219943).
Può quindi affermarsi che Integra gli estremi del delitto di truffa e non di estorsione la condotta di chi, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, rappresenta falsamente alla vittima un pericolo immaginario proveniente da terzi, (nella specie, la possibile revoca della pensione e il mancato pagamento degli arretrati), e si offre di adoperarsi per evitargli tale fatto in cambio di denaro.
In particolare, quando tale evento sia falsamente rappresentato, la condotta assume i contorni dell'inganno, perché contribuisce all'induzione in errore della parte offesa, e ricade nell'ipotesi della truffa aggravata dalla prospettazione di un "pericolo immaginario" (v. anche Sez. 2, 18/4/1995, n. 8456 - Rv. 202347).
In conclusione, il fatto contestato al ricorrente deve essere diversamente qualificato in termini di truffa aggravata (art. 640 co 2 c.p.), anziché di estorsione.
Deve aggiungersi che i delitti di truffa e di millantato credito si differenziano per la diversità dell'oggetto della tutela penale, che è il patrimonio, nella prima, e il prestigio della Pubblica Amministrazione, nel secondo. Le due violazioni, pertanto, anche se unite in un'unica azione, caratterizzata, oltre che da vanterie di ingerenze e pressioni nei confronti del pubblico ufficiale corruttibile, anche da ulteriori artifizi e raggiri, quali nel caso di specie la minaccia di un male immaginario, producono due distinti eventi criminosi, con conseguente concorso formale di reati.
Non è censurabile il diniego della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, considerato che la Corte territoriale ha dato conto del mancato Integrale risarcimento.
Qualificato il reato di estorsione in quello di truffa aggravata la sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Lecce per nuova determinazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Il ricorso deve essere rigettato nel resto.

P.Q.M.

Qualificato il reato di estorsione (art. 629 c.p.) in quello di truffa aggravata (art. 640 co 2 c.p.) annulla l'impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Lecce per nuova determinazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Rigetta nel resto il ricorso.
Avv. Antonino Sugamele

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