Incontro tra sorvegliato speciale e pregiudicato: non è reato se non si tratta di frequentazione abituale.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 4 giugno - 8 luglio 2013, n. 28877
Presidente Bardovagni – Relatore Cassano
Ritenuto in fatto
1. Il 24 marzo 2011 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, all'esito di giudizio abbreviato, assolveva, perché il fatto non costituisce reato, F..C. dal reato di cui all'art. 9 l. n. 1423 del 1956 e successive modifiche, a lui contestato per essersi reso inottemperante alla prescrizione di non associarsi abitualmente a persone condannate o sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, impostogli per la durata di due anni con il decreto di sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno, emesso dal Tribunale di Palermo il 14 dicembre 2009.
Il giudice osservava che di tale abitualità non era stata fornita prova sufficiente, non potendosi ritenere esaustive in proposito la relazione di servizio dei Carabinieri in data 1 settembre 2009, riguardante l'incontro in data 30 agosto 2009 tra Ca. e l'imputato, e le deposizione dei verbalizzanti che avevano riferito di avere visto in un'altra occasione (giugno 2010) a colloquio le suddette persone.
2. Il 13 luglio 2012 la Corte d'appello di Palermo, investita dell'impugnazione del Procuratore generale avverso la decisione di primo grado, in riforma della stessa, dichiarava C.F. colpevole del reato ascrittogli ed, esclusa la recidiva contestata e con la diminuente per il rito, lo condannava alla pena di otto mesi di reclusione.
Ad avviso della Corte territoriale, la prova della condotta contestata era desumibile dalla relazione di servizio e dalla testimonianza dell'appuntato c. , da cui emergeva che C. , in occasione dei controlli eseguiti il 9 giugno 2010 e il 30 agosto 2010 e, quindi, successivi alla sua sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, era stato visto intrattenersi a parlare con Ca.Gi. , a sua volta sottoposto alla misura di prevenzione.
3.Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l'imputato, il quale formula le seguenti doglianze.
Denuncia violazione dell'art. 521 c.p.p. con riferimento al rilievo attribuito dai giudici d'appello all'episodio del 9 giugno 2010 che non aveva formato oggetto di preventiva contestazione e rispetto al quale l'imputato non aveva avuto la possibilità di difendersi con pienezza, non apparendo sufficiente la circostanza che tale episodio fosse richiamato nella comunicazione di notizia di reato.
Lamenta, inoltre, erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza del requisito dell'abitualità della frequentazione alla luce dell'evidente carattere occasionale dell'incontro tra l'imputato e Ca. .
Osserva in diritto
Il ricorso è fondato.
La compiuta valutazione delle doglianze prospettate impone una duplice premessa metodologica.
1. Il giudice d'appello che riformi la decisione di primo grado ha l'onere di esaminare tutti gli elementi acquisiti, di valutare la loro valenza probatoria e di spiegare le ragioni sottese ad un diverso epilogo decisionale. In presenza, quindi, di due decisioni di merito difformi, la Corte di cassazione può e deve fare riferimento, come tertium comparationis per lo scrutinio di fedeltà al processo del testo del provvedimento impugnato, non solo alla sentenza d'appello, ma anche a quella di primo grado allo scopo di stabilire se l'iter logico argomentativo seguito dal giudice dell'impugnazione sia stato fondato sulla disamina di tutte le prove acquisite oppure abbia pretermesso altre, decisive informazioni.
La mancata risposta dei giudici d'appello circa la portata di decisive risultanze probatorie acquisite al processo inficia la completezza e la coerenza logica della sentenza a causa della negativa verifica di corrispondenza tra il materiale probatorio esistente e il contenuto della pronuncia e la rende suscettibile di annullamento. Ne consegue che la Corte di cassazione, senza necessità di accedere agli atti d'istruzione probatoria, prendendo in esame il testo della sentenza impugnata e confrontandola con quella di primo grado è chiamata a saggiarne la tenuta, sia "informativa" che "logico-argomentativa" (Cass., Sez. Un. 30 ottobre 2003, n. 45276, rv. 226093). Una verifica del genere é compatibile con le funzioni della Corte di cassazione, in quanto essa non richiede la individuazione del risultato probatorio, ma comporta unicamente un confronto tra la richiesta di valutazione di una prova e il provvedimento impugnato.
2. A fondamento del principio di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza sta l'esigenza di assicurare all'imputato la piena possibilità di difendersi in rapporto a tutte le circostanze rilevanti del fatto che è oggetto dell'imputazione. Ne discende che il principio in parola non è violato ogni qualvolta siffatta possibilità non risulti sminuita. Pertanto, nei limiti di questa garanzia, quando nessun elemento che compone l'accusa sia sfuggito alla difesa dell'imputato, non si può parlare di mutamento del fatto e il giudice è libero di dare al fatto la qualificazione giuridica che ritenga più appropriata alle norme di diritto sostanziale. In altri termini, quindi, siffatta violazione non ricorre, quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza (Cass., sez. II, 11 aprile 1994, n. 5907, De Vecchi, rv. 197831; Cass., sez. IV, 24 maggio 1994, n. 8612, Tomasich, rv. 198689; Cass., sez. I, 10 dicembre 2004, n. 4655, rv. 230771).
Sussiste, invece, violazione del principio di correlazione della sentenza all'accusa formulata quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto, così, di fronte - senza avere avuto alcuna possibilità di difesa - ad un fatto del tutto nuovo.
Il fatto, di cui agli artt. 521 e 522 c.p.p., va definito come l'accadimento di ordine naturale dalle cui connotazioni e circostanze soggettive ed oggettive, geografiche e temporali, poste in correlazione tra loro, vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica. Per fatto deve, perciò, intendersi un dato empirico, fenomenico, un accadimento, un episodio della vita umana, cioè la fattispecie concreta e non la fattispecie astratta, lo schema legale nel quale collocare quell'episodio della vita umana (Cass., sez. un. 22 ottobre 1996, De Francesco).
La violazione del suddetto principio postula, quindi, una modificazione - nei suoi elementi essenziali - del fatto, inteso appunto come episodio della vita umana, originariamente contestato. Si ha, perciò, mancata correlazione tra fatto contestato e sentenza quando vi sia stata un'immutazione tale da determinare uno stravolgimento dell'imputazione originaria (Sez. U., n. 36551 del 15 luglio 2010).
3. Alla stregua dei principi giuridici sinora illustrati, le doglianze difensive appaiono meritevoli di accoglimento.
Sussiste la dedotta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, in quanto, come si evince agevolmente dagli atti, al ricorrente non è mai stato espressamente contestato, nel capo d'imputazione formulato nei suoi confronti, l'incontro con il pregiudicato Gi..Ca. del 9 giugno 2010. D'altra parte, la data di consumazione del reato ("accertato in Villanate il 30 agosto 2010") si riferisce espressamente all'esito del controllo effettuato in pari data e, in assenza di qualsiasi richiamo esplicito, non può in alcun modo ritenersi comprensiva di pregressi comportamenti di inosservanza degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale.
Sotto altro profilo è da osservare che la sentenza d'appello, nel pervenire ad un epilogo decisionale diverso rispetto a quella di primo grado, non ha affrontato espressamente, al fine di confutarle, le argomentazioni del giudice di prime cure, essendosi limitata a proporre una diversa lettura delle medesime risultanze probatorie e ad inferire l'abitualità della frequentazione - necessaria ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 9 l. n. 1423 del 1956 e successive modifiche - da un episodio eccentrico rispetto al contenuto della vocatio in iudicium.
Per tutte queste ragioni s'impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
10-07-2013 00:51
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