In tema di successioni mortis causa, costituisce accettazione tacita dell' eredità l'istanza, avanzata dal chiamato, di voltura di una concessione edilizia già richiesta dal de cuius.
Autorità: Cassazione civile sez. II
Data: 08 gennaio 2013
Numero: n. 263
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIOLA Roberto Michele - Presidente -
Dott. BURSESE Gaetano Antonio - rel. Consigliere -
Dott. MAZZACANE Vincenzo - Consigliere -
Dott. BIANCHINI Bruno - Consigliere -
Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 34865-2006 proposto da:
L.L.M. C.F. (OMISSIS), L.
M.C. E C.L. TUTTI IN PROPRIO NONCHE' IN
QUALITA' DI EREDI DI L.M., NONCHE' LA.
M. E L.F., elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA DI PIETRALATA 320/D/4, presso lo studio dell'avvocato MAZZA RICCI
GIGLIOLA, rappresentati e difesi dall'avvocato JANNARELLI ANTONIO
GIULIANO MARIO;
- ricorrenti -
contro
D.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA POSTUMIA 3, presso lo studio dell'avvocato ORLANDO
ANGELA, rappresentata e difesa dall'avvocato CENTOLA GIUSEPPE
VITTORIO;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 738/2006 della CORTE D'APPELLO di BARI,
depositata il 11/08/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
27/11/2012 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CAPASSO Lucio che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso
comunque infondato.
(Torna su ) Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 26.09.1997 D.M., premesso che il proprio coniuge L.A., deceduto l'(OMISSIS), con testamento pubblico del 4.12.1991 aveva disposto dei propri beni nel modo che segue: la nuda proprietà di tutti i beni veniva lasciata ai quattro fratelli e l'usufrutto sull'intero asse alla moglie;
conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Foggia M., P., Ma. e L.F., fratelli del de cuius e coeredi testamentari del predetto, per rivendicare la quota di eredità a lei riservata per legge, assumendo che il de cuius aveva disposto un favore dei germani ed in suo danno di quota eccedente la disponibile.
Chiedeva pertanto: a) in via principale, dichiarare le disposizioni testamentarie del 4.12.91 lesive dei diritti a lei riservati per legge, riducendo le medesime, con attribuzione in proprietà dell'attrice della quota integrativa ad essa spettante; b) in via subordinata: attribuire all'attrice ex art. 550 c.c. la piena proprietà della quota (di riserva) a lei riservata per legge (cd.
cautela sociniana).
Si costituivano i convenuti contestando la domanda e chiedendo in via subordinata, nell'ipotesi di accoglimento della domanda, la riduzione proporzionale dell'usufrutto costituente il lascito ereditario dell'attrice. Espletata la CTU, il tribunale di Foggia, rilevata l'esistenza della lesione lamentata dall'attrice, attribuiva alla medesima, in sostituzione dell'usufrutto, la quota d'immobili stabilita dal CTU, ponendo a suo carico un conguaglio di Euro 1.420,26.
Avverso la sentenza proponevano appello P., Ma. e L.F., nonchè gli eredi di L.M., deceduto nelle more, contestando la decisione in quanto non vi era stata alcuna lesione di legittima in danno della D. a cui aveva attribuito l'usufrutto sull'intero asse, di talchè la differenza di valore tra la nuda proprietà ed usufrutto era quasi insussistente.
Deducevano che l'originaria attrice aveva accettato l'eredità, in quanto di fatto già dato esecuzione al testamento, esercitando i diritti scaturenti dall'usufrutto di talchè era decaduta dall'esercizio dell'azione esercitata. Si costituiva l'appellata chiedendo il rigetto dell'impugnazione in quanto infondata.
L'adita Corte d'Appello di Bari, con sentenza n. 738/06 depositata in data 11.8.2006, rigettava l'appello, confermando la sentenza impugnata, condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado. Riteneva la Corte che l'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie poteva essere proposta dalla D. nonostante la già avvenuta accettazione dell'eredità. Riteneva priva di pregio l'assunto degli appellanti secondo cui la D. aveva già dato esecuzione al testamento, precludendosi l'azione poi intrapresa, in relazione ad alcune cause promosse dalla medesima in qualità di usufruttuaria. Per la cassazione della sentenza ricorrono P., Ma. e L.F., nonchè gli eredi di L. M., L.M. e L.M.C., oltre a C.L., sulla base di n. 3 mezzi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.; D.C. resiste con controricorso.
(Torna su ) Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunziano la violazione di norme di diritto, nonchè la contraddittorietà o carenza della motivazione su un punto decisivo. Si evidenzia l'inammissibilità dell'azione proposta dalla D. in via subordinata, atteso che l'azione di riduzione proposta in via principale presupponeva già l'accettazione dell'eredità e comunque sottolineano l'incompatibilità tra le due azioni formulate, non proponibili alternativamente. Precisano gli esponenti che la D. di fatto aveva già scelto di accettare l'usufrutto riservatole dal de cuius, per cui non aveva più la possibilità di optare per l'assegnazione in proprietà di una quota dell'eredità. Il motivo si conclude con il seguente quesito:
"...accerti l'Ecc.ma Corte adita che il Giudice ...ha violato gli artt. 550 e 554 c.c. laddove decretava - sia pure con motivazione del tutto carente e fo insufficiente - che l'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie potesse essere proposta nonostante la già avvenuta accettazione dell'eredita". Aggiungono altresì i ricorrenti, che non poteva ritenersi sufficiente e congrua la motivazione che la corte barese aveva adottato a sostegno del rigetto della eccezione con la quale si evidenziava l'esecuzione già avvenuta delle disposizioni testamentarie, "ritenendo sul punto il Giudice d'appello, che nè l'esercizio dell'acro negatoria servitutis nè il procedimento amministrativo avviato presso il comune di Manfredonia potessero costituire atti dai quali far discendere l'esecuzione testamentaria".
La doglianza è fondata.
La Corte distrettuale ha ritenuto privo di pregio "l'assunto in virtù del quale la D. aveva dato esecuzione al testamento precludendosi l'azione intrapresa, "in quanto l'azione giudiziaria intrapresa è da ricomprendere nel novero delle azioni conservative che ridondano a favore di tutti gli eredi, mentre la voltura rilasciata dall'autorità amministrativa, per un verso non poteva avere valenza alcuna in ordine alla qualità e legittimazione dell'istante, per l'altro l'appellata aveva replicato osservando come, dopo la suddetta vicenda amministrativa, ipotizzata come espressione dell'esercizio dei poteri di erede, le controparti l'avessero tratta a giudizio ....per interpellarla in ordine al se intendesse o no accettare l'eredità, con ciò stesso dando atto della circostanza che detta eredità non era stata da lei accettata.
Detto fatto storico inconfutabile non è stato contestato".
In effetti - osserva il Collegio - il suesposto ragionamento della Corte barese, non può essere condiviso, anche alla luce della giurisprudenza che al riguardo si è formata in tema di accettazione tacita dell'eredità.
Secondo questa S.C. l'accettazione dell'eredità è implicita nell'esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che - essendo intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o ai danni per la mancata disponibilità di beni ereditari - non rientrano negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall'art. 460 c.c. sicchè, trattandosi di azioni che travalicano il semplice mantenimento della stato di fatto quale esistente al momento dell'apertura della successione, il chiamato non avrebbe diritto di proporle e, proponendole, dimostra di avere accettato la qualità di erede. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13738 del 27/06/2005). Nella fattispecie la Corte non ha spiegato come la richiesta di voltura della concessione edilizia possa costituire un atto conservativo e di gestione dei beni ereditari, come tale consentito dall'art. 460 c.c. Invero la D., dopo la morte del coniuge aveva inoltrato istanza al comune di Mattinata perchè fosse a lei intestata la concessione edilizia - già richiesta dal defunto marito - riguardante la costruzione di una cisterna d'acqua interrata in località "Torre del Porto". Ciò può essere interpretato in modo univoco, al contrario, come accettazione tacita dell'eredità, perchè trattasi di azione che "travalica il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente al momento dell'apertura della successione, per cui il chiamato non avrebbe diritto a proporle e che, proponendola, dimostra di avere accettato la qualità di erede (Cass. n. 13738 del 27.06.2005). E' chiaro infatti che l'intestazione all'erede dell'atto amministrativo (concessione edilizia) non è certo un atto che serva a mantenere integro l'asse ereditario, ma al contrario presuppone necessariamente da parte di chi lo richieda, l'accettazione della qualità di erede. A nulla rileva l'atteggiamento dei coeredi circa l'azione da essi promossa contro la D. per l'accettazione della qualità di erede (actio interrogatoria), in quanto l'accettazione tacita dell'eredita è la conseguenza di fatti obiettivi (comportamento concludente).
Sotto tale profilo il motivo deve ritenersi fondato il ricorso accolto, in quanto l'azione della D. non poteva essere proposta essendo intervenuta l'accettazione dell'eredità, manifestando in tal modo la medesima, per comportamento concludente, la sua volontà di dare esecuzione alla disposizione testamentaria lesiva della legittima (Cass. n. 3894 del 12.03.2012); rimanendo necessariamente assorbiti i restanti motivi (asserita erroneità nella determinazione dell'entità della quota spettante alla D. e condanna alle spese legali).
L'accoglimento del ricorso, comporta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto. Ai sensi dell'art. 384 c.p.c., non essendo necessarie ulteriori accertamenti di fatto, si ritiene di decidere la causa nel merito, rigettando in tale modo la domanda proposta dalla D.M.. Liquida le spese processuali come da dispositivo, ritenendo che sussistono giusti motivi (attesa la natura e peculiarità della causa) per compensare le spese del 1 grado del giudizio.
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P.Q.M.
la Corte accoglie il 1 motivo del ricorso, assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata, e decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda proposta dalla D.; condanna quest'ultima al pagamento delle spese processuali che liquida come segue: a) per il giudizio di legittimità: Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi; b) per il giudizio d'appello: Euro 3.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, Euro 1000,00 per diritti e Euro 2000,00 per onorario; 3) per il giudizio di primo grado: compensa interamente le spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2013
07-02-2013 23:57
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