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Sentenza

In consiglio Comunale dare del mediocre ad un consigliere può essere reato. La Cassazione annulla una sentenza del Tribunale di Cosenza per carenza di motivazione.
In consiglio Comunale dare del mediocre ad un consigliere può essere reato. La Cassazione annulla una sentenza del Tribunale di Cosenza per carenza di motivazione.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 luglio - 26 agosto 2013, n. 35497
Presidente Marasca – Relatore Vessichelli

Fatto e diritto

Propone ricorso per cassazione C.M. avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza in data 6 dicembre 2011 con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna in ordine al reato di ingiurie, commesso il 28 settembre 2007, in danno di G.C..
L'imputato è stato ritenuto responsabile di avere qualificato il suo interlocutore come "mediocre" e "meno di mediocre" alla presenza di più persone.
La frase era stata proferita nell'ambito di un consiglio comunale, quando l'imputato l'aveva pronunciata in risposta alle domande della persona offesa sulle regole di bilancio: domande che il giudice riteneva non qualificabili come fatto ingiusto capace di integrare una vera e propria provocazione, essendo invece richieste di delucidazione.
Deduce difensore il vizio della motivazione a proposito della ricostruzione della vicenda come operata dai testi della difesa, sotto il profilo della integrazione della causa di non punibilità della provocazione per il fatto ingiusto altrui.
I testi indotti dalla difesa erano stati semplicemente ignorati dal giudice di primo e secondo grado, senza neppure essere qualificati inattendibili, nonostante gli stessi avessero riferito di un dibattito politico molto acceso che aveva portato ad uno scontro verbale tra le parti, fatto di reciproche accuse sulla mala gestio dei fondi destinati ad un evento paesano. Una discussione che aveva visto la persona offesa incalzare l'imputato con domande polemiche alle quali quest'ultimo aveva replicato sostenendo che mediocre era la conoscenza che la persona offesa aveva delle norme che regolano i bilanci. E senza, cioè, che l'espressione offensiva potesse intendersi riferita alla persona dell'avversario.
Il ricorso è fondato.
Nella sentenza impugnata, la conferma della condotta di rilevanza penale, in assenza di provocazione determinata dal fatto ingiusto altrui, è stata effettuata sul rilievo, sostenuto dai testi della accusa, che la persona offesa non avrebbe proferito "frasi offensive".
È tuttavia da rilevare che la causa di non punibilità della provocazione non esige solo comportamenti rilevanti sul piano penale, essendo sufficienti anche comportamenti contrari alle norme di civile convivenza. Sotto questo profilo la sentenza impugnata risulta carente nella motivazione poiché finisce per essere apodittica nel rilievo sopra ricordato, non avendo in alcun modo analizzato i termini del motivo di appello con il quale era stato dedotto, sulla base delle testimonianze indotte dalla difesa, che il vocabolo "mediocre" non era semplicemente scaturito da una richiesta di delucidazioni della persona offesa bensì da un contesto più articolato e comprensivo del complessivo comportamento di questa: un contesto nel quale la frase incriminata poteva assumere una valenza diversa se valutata in riferimento alla critica non alla persona ma alla natura della obiezione che essa formulava, in rapporto al tema in quel momento in discussione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Cosenza per nuovo esame.
Avv. Antonino Sugamele

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