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Sentenza

In assemblea dei lavoratori un sindacalista viene definito mascalzone da un collega appartenente ad altra sigla sindacale. Non c'è diffamazione per la Cassazione.
In assemblea dei lavoratori un sindacalista viene definito mascalzone da un collega appartenente ad altra sigla sindacale. Non c'è diffamazione per la Cassazione.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 settembre – 21 novembre 2013, n. 46424
Presidente Palla – Relatore Fumo

Ritenuto di fatto

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, il tribunale dl Bergamo, In funzione di giudice di appello, ha confermato la sentenzi dei GdP di Treviglio con la quale C.C. fu assolta dai delitto di cui all'art. 595 cp commi I e II (per avere, comunicando con più persone, offeso la reputazione di W.A., rappresentante sindacale Fiom-Cgil presso le fonderie officine P. Pileriga, in quanto, nel corso di un'assemblea sindacale lo definiva più volte mascalzone e dichiarava che, per sua colpa e della Fiom il titolare della ditta avrebbe fatto ricorso alla cassa integrazione, senza anticipare la parte economica).
L'assoluzione, quanto alla prima parte della frase, è intervenuta per il concorso nella esimente ex art, 599 cp, per !a seconda, perché il ratto non costituisce reato.
2. Ricorre per cassazione il difensore della P e deduce: a) violazione di legge. Al comunicato di A., il C. aveva già reagito con altro comunicato, in cui figuravano frasi scurrili e offensive. L'epiteto 'mascalzone', quindi, pronunziato in assemblea convocata ad hoc costituisce allora ulteriore manifestazione di sentimenti ostili, che non ha legame alcuno con la presunta provocazione. Peraltro, oltre al nesso eziologico, manca anche il requisito della immediatezza, come elaborato dalla giurisprudenza; b) quanto al diritto di critica (la cui sussistenza è stata ritenuta con riferimento alla seconda parte della frase), sii era fatto rilevare che manca dei tutto il requisito della continenza. Sul punto il tribunale non motiva affatto.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e merita rigetto. Il ricorrente va condannato alle spese dei grado.
2. Quanto alla sussistenza dello stato di ira come conseguenza di fatto ingiusto altrui, trattisi, ad evidenza, di valutazione di merito che, se adeguatamente giustificata, è inaggredibile in sede di legittimità.
2.1. Quanto alla sussistenza della ritenuta esimente (ax art. 599 cp), la reazione non deve necessariamente essere attuata nello stesso momento in cui sia ricevuta l'offesa, essendo sufficiente che essa abbia luogo finché duri lo stato d'ira suscitato dal fatto provocatoria, a nulla rilevando chi: sia trascorso del tempo, ove il ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l'offesa (ASN 200732323-PV 236832).
3. Per quel che riguarda la seconda censura, è certamente vero che manca, sul rilievo della assenza di continenza, specifica motivazione da parte del giudice di secondo grado, tuttavia la "risposta" deve ritenersi implicita sulla base della trama motivazionale dell'intera sentenza del tribunale. La censura de qua, infatti, era manifestamente infondata e immeritevole di considerazione. Nell'esercizio del diritto di critica, il requisito della continenza è superare solo in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale dei soggetto criticato. Peraltro, il contesto nel quale !a condotta sl colloca deve essere valutato, sia pure al limitati ai fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento dei soggetti passivo oggetto di critica (ASN 20115060-RV 250174).
3.1. Nel caso di specie, il C. ha espresso una critica a una condotta sindacale, che inevitabilmente si riverbera sul sindacalista, il quale dunque viene investito dalla critica non uti singulus, ma per la carica. D'altronde costituisce jus receptum il principio in base al quale, in tema di critica sindacale (come in tema di critica politica), è consentito un linguaggio più "libero" e incisivo, con espressioni forti e pungenti. Tanto ciò è vera che questa Sezione ebbe a ritenere – appunto di polemica sindacale - che le espressioni “intimidatorio” e appunto “mascalzonata” riferite ad un preteso comportamento discriminatorio nei confronti di un lavoratore, perdessero, una volto contestualizzate e filtrate attraverso i moduli espressivi del "linguaggio conflittuale", l'impatto diffamatorio oggettivo, rimanendo invece, sotto il profilo dei contenuti polemici cui davano espressione, all'interno del confini del diritto di critica (ASN 2000007499-RV 216534). Si tratta, come è agevole rilevare, dì precedente "in termini".

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condarin.ì il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Avv. Antonino Sugamele

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