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Sentenza

In appello, il diritto alla prova attribuito alle parti dagli artt. 190 e 495 c.p.p., opera soltanto con riferimento alle prove sopravvenute o scoperte dopo la pronunzia di primo grado.
In appello, il diritto alla prova attribuito alle parti dagli artt. 190 e 495 c.p.p., opera soltanto con riferimento alle prove sopravvenute o scoperte dopo la pronunzia di primo grado.
Autorità:  Cassazione penale  sez. III
Data udienza:  29 novembre 2012
Numero:  n. 49314
Intestazione

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE TERZA PENALE                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. FIALE   Aldo             -  Presidente   -                     
Dott. SAVINO  Mariapia Gaetana -  Consigliere  -                     
Dott. SARNO   Giulio           -  Consigliere  -                     
Dott. ORILIA  Lorenzo          -  Consigliere  -                     
Dott. RAMACCI Luca        -  rel. Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
1)                M.A.A. N. IL (OMISSIS); 
avverso  la  sentenza  n.  2602/2007  CORTE  APPELLO  di  L'AQUILAdel 
02/12/2010; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 29/11/2012 la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI; 
Udito  il Procuratore Generale in persona del Dott. Lettieri  Nicola, 
che ha concluso per il rigetto del ricorso; 
udito il difensore avv. Di Fazio M.C.. 
                 

(Torna su   ) Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di L'aquila, con sentenza del 2.12.2010, ha confermato la decisione con la quale, in data 15.1.2007, il Tribunale di Lanciano aveva affermato la penale responsabilità di M. A.A. in ordine al reato di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 609 quater c.p. in relazione all'art. 609 ter c.p. per avere, in più occasioni, in un periodo compreso tra il (OMISSIS), compiuto atti sessuali con una minore di anni dieci, figlia della convivente, consistiti in toccamenti del seno e baci e nel prenderle la mano e poggiarla sui propri genitali.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la mancata assunzione di una prova decisiva, osservando che la Corte del merito non avrebbe disposto, come espressamente richiesto, l'acquisizione di un fascicolo processuale del Tribunale per i Minorenni di Napoli finalizzata ad evidenziare come quell' ufficio non avesse ritenuto di provvedere, a fronte della situazione concernente la minore, verosimilmente per la percepita falsità delle accuse.
Aggiunge che la decisione impugnata risulterebbe fondata sulle sole dichiarazioni della persona offesa, senza tener conto dell'incongruenza delle altre testimonianze e dell'inerzia dell'autorità giudiziaria minorile napoletana ed utilizzerebbe apodittiche affermazioni.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione e lamenta che la Corte territoriale avrebbe fondato la propria decisione travisando le risultanze dell'istruzione dibattimentale, senza considerare che le dichiarazioni rese da alcuni testi risulterebbero smentite dalle dichiarazioni della stessa minore, la quale avrebbe sempre risposto alle domande suggestive poste dal Pubblico Ministero e dai componenti del collegio giudicante.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile.
Deve in primo luogo osservarsi, con riferimento alla deduzione formulata nel primo motivo di ricorso, che nella sentenza impugnata viene dato atto (pag. 5) della circostanza che l'appellante aveva richiesto la rinnovazione del dibattimento per acquisire le dichiarazioni testimoniali dell'assistente sociale V. S. di (OMISSIS), autrice della segnalazione che aveva dato origine alle indagini o, si aggiunge, "quantomeno il fascicolo della procedura di adottabilità".
La sentenza impugnata dà atto dell'avvenuta escussione dell'assistente sociale, cosicchè risulta accolta la richiesta principale della difesa ed, ovviamente, disattesa quella subordinata.
5. In ogni caso, va ricordato che, nel giudizio di appello, il diritto alla prova attribuito alle parti dagli artt. 190 e 495 c.p.p., opera soltanto con riferimento alle prove sopravvenute o scoperte dopo la pronunzia di primo grado, con la conseguenza che, se non ricorre tale ipotesi, la mancata assunzione della prova è censurabile in cassazione solo per mancanza o manifesta illogicità della motivazione come risultante dal testo del provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), del provvedimento che rigetta la relativa richiesta e non anche ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. d), e sempre che la prova negata, confrontata con le ragioni addotte a sostegno della decisione, sia di natura tale da poter determinare una diversa conclusione del processo (Sez. 5, n.34643, 4 settembre 2008; Sez. 4, n.4675, 6 febbraio 2007; Sez. 2, n. 44313, 5 dicembre 2005; Sez. 6, n.26713, 19 giugno 2003; Sez. V n.6924, 20 febbraio 2001; Sez. 5, n.10858, 19 dicembre 1996; Sez. 3, n. 11034, 2 dicembre 1993).
6. Ciò posto, deve osservarsi che, da quanto emerge in ricorso e nel provvedimento impugnato, nella fattispecie non si tratta di prove scoperte o sopravvenute dopo la decisione di primo grado nè, tanto meno, può dirsi che l'acquisizione potesse avere un peso determinante ai fini della decisione.
Ciò che, a detta del ricorrente, l'acquisizione avrebbe dovuto dimostrare, è l'inerzia dei giudici minorili a fronte delle dichiarazioni accusatorie della minore, conseguenza di una evidente falsità delle stesse.
Tale assunto, che altro non è se non una mera congettura del ricorrente, priva di qualsivoglia riscontro, risulta smentito da quanto affermato nella sentenza impugnata e, cioè, che fu la stessa assistente sociale ad informare l'autorità giudiziaria degli abusi (pag. 5), dei quali apprese dopo aver ascoltato la bambina su richiesta di G.M., la quale aveva raccolto le prime confidenze della minore sull'accaduto (pag. 8).
Risulta anche (pag. 9) che, il giorno successivo, le due donne condussero la bambina presso il Tribunale per i minorenni di Napoli, che non rimase inerte, tanto che dispose l'audizione della minore da parte di personale esperto e l'immediato affidamento provvisorio alla G..
E1 appena il caso di osservare, inoltre, che la supposizione del ricorrente sulla presunta inerzia del Tribunale nel denunciare i fatti riferiti dalla bambina per la "percezione" della loro falsità (pag. 3 del ricorso) oltre che infondata, perchè, come si è appena detto, emerge dalla sentenza impugnata che l'autorità giudiziaria era stata già informata dalla V., è anche illogica ed inverosimile, dato che un tale comportamento da parte dei giudici minorili sarebbe stato platealmente contra legem, non disponendo costoro di alcun potere discrezionale a fronte di una notizia di reato.
E' pertanto evidente la infondatezza del motivo appena esaminato.
7. Non diversamente deve concludersi per quanto attiene al secondo motivo di ricorso.
Il ricorrente, nella premessa al ricorso, richiama i motivi di appello attribuendosi esplicitamente, nella vicenda che lo vede coinvolto, il ruolo di "vittima sacrificale" degli interessi della minore e di alcuni adulti ad un determinato esito della procedura di adottabilità, delineando, così, una articolata calunnia in suo danno.
Tale assunto, che, ancora una volta, non supera l'ambito della mera congettura, non trova però alcun riscontro nel provvedimento impugnato, rispetto al quale risultano infondate anche le censure in punto di vizio di motivazione che tale complessa macchinazione vorrebbero dimostrare evidenziando l'inattendibilità della persona offesa e delle testimoni G. e N..
Occorre in primo luogo rammentare, a tale proposito, che al giudice di legittimità resta precluso l'esame delle testimonianze rese nel corso dell'istruzione dibattimentale che il ricorrente sollecita (pag. 4 del ricorso) e che la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha indicato limiti precisi al controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità, che resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell'apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all'art. 606 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, Sez. 3, n. 12110, 19 marzo 2009; Sez. 6, n. 23528, 6 luglio 2006; Sez. 6, n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. 6, n. 10951, 29 marzo 2006).
8. Ciò posto, deve rilevarsi che, nella fattispecie, il ricorrente, nel criticare l'apparato argomentativo posto a sostegno della decisione impugnata propone, in definitiva, una valutazione alternativa degli elementi fattuali già considerati dai giudici di merito a fronte di una motivazione che, al contrario, non presenta alcun elemento di incoerenza o manifesta contraddizione.
La Corte territoriale evidenzia, in primo luogo, la credibilità ed attendibilità della minore, escludendo condizionamenti esterni e motivi di risentimento, affrontando espressamente anche la questione, prospettata dall'appellante, concernente la già menzionata strumentazione dell'accusa, esclusa dalla successiva illustrazione delle emergenze probatorie.
Chiariscono i giudici del gravame le modalità del disvelamento degli abusi, lo stato della bambina, che era chiusa in se stessa e piangeva continuamente, riferito dall'adulta che ne aveva raccolto le confidenze e dall'assistente sociale dalla quale la condusse successivamente e che pure, sentita dalla Corte territoriale, ha ricordato i pianti della minore.
La Corte del merito evidenzia il contenuto, sostanzialmente coincidente, tra le dichiarazioni rese nelle due diverse occasioni, ricordando poi come anche la madre naturale della bimba aveva riferito, nel corso della sua deposizione, di non sapere nulla degli abusi ma che, dopo esserne stata informata, ne ebbe conferma dalla figlia.
Osservano inoltre i giudici del gravame che la minore, sentita in dibattimento dopo oltre sei anni dalla vicenda, quando non era più in contatto con il ricorrente ed era ormai adolescente, ha nuovamente confermato le accuse manifestando tranquillità, coerenza e puntualità, assenza di astio nei confronti dell'imputato e, anzi, evidente attenzione a non aggravarne la posizione.
La Corte territoriale giustifica anche la assenza di riferimenti precisi a date e luoghi non limitandosi a menzionare il tempo trascorso, ma anche inquadrando l'accaduto, caratterizzato da contatti sessuali non particolarmente violenti ed invasivi e, in quanto tali, non idonei di imprimersi nella memoria del soggetto passivo, che inquadra in quella che definisce "una sorta di continuità comportamentale" che avrebbe consentito all'adulto di agire ogni volta che se ne presentava l'occasione.
9. L'esame che la Corte territoriale svolge appare completo ed esaustivo e tiene conto anche delle deposizioni rese dai testi indotti dalla difesa, dal contenuto delle quali ricava ulteriore conferma della genuinità della versione fornita dalla vittima dell' abuso , giungendo alla conclusione che la stessa, anche da sola, potrebbe essere posta a fondamento della decisione, rilevando, inoltre, che nel caso esaminato le dichiarazioni accusatorie erano corroborate dai riscontri offerti dai testimoni escussi e, segnatamente, dalla V. e dalla G. che per prime avevano ascoltato il racconto della bambina.
Il ragionamento appare giuridicamente corretto, coerente e logico.
Nessun elemento, tra quelli raccolti dai giudici del merito, evidenzia l'intento calunniatorio più volte denunciato dal ricorrente ed il racconto della persona offesa, come si rileva dal tenore del provvedimento impugnato, trova puntuale riscontro anche nelle deposizioni di persone, come l'assistente sociale V., il cui esame è stato sollecitato dalla stessa difesa dell'imputato.
La valutazione sulla credibilità ed attendibilità delle dichiarazioni del minore vittima di abusi sessuali, come è noto, non deve avvenire con riferimento esclusivo alla intrinseca coerenza interna del racconto, dovendosi tenere adeguatamente conto di ogni altra circostanza concreta che possa influire su tale valutazione (Sez. 3, n. 4069, 28 gennaio 2008) e così hanno fatto i giudici del gravame, valorizzando alcuni positivi elementi di riscontro alle dichiarazioni della bambina.
Contrariamente, dunque, a quanto affermato in ricorso, deve escludersi che dalla motivazione del provvedimento impugnato emergano evidenti contraddizioni o incongruenze logiche.
10. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n, 186) - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1,000,00.
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P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2012
Avv. Antonino Sugamele

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