In 50 anni di matrimonio una donna, casalinga, perde la capacità lavorativa. Giusto che il marito versi 2.000 euro al mese di mantenimento.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 gennaio – 22 aprile 2013, n. 9669
Presidente Salmé – Relatore Dogliotti
Svolgimento del processo
Con sentenza definitiva in data 27/12/2005, preceduta da sentenza non definitiva che pronunciava la cessazione degli effetti civili dei matrimonio tra M.A. e L.E., il Tribunale di Catania condannava il M. a corrispondere alla moglie assegno divorzile dell'importo di Euro 2.100,00.
Il M. proponeva appello, chiedendo la riduzione dell'assegno in favore della moglie.
Costituitosi il contraddittorio, la L. chiedeva rigettarsi l'appello principale e, in via incidentale, elevarsi l'assegno a suo favore.
La Corte d'Appello di Roma, con sentenza in data 03/16 giugno 2009, rigettava gli appelli.
Ricorre per cassazione il M, che pure deposita memoria per l'udienza.
Resiste con controricorso la L.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 5 e 6 Legge Divorzio, con il secondo vizio di motivazione, in ordine all'assegno per la moglie.
Al riguardo, va precisato che è bensì vero che tale assegno va commisurato alla conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, purtuttavia, in mancanza di prova, indice ditale tenore di vita può essere l'attuale divario reddituale tra i coniugi (al riguardo, Cass. 2156/2010).
Non si ravvisa violazione di legge, in ordine alla quale del resto la censura è svolta in modo inadeguato.
In sostanza il ricorrente propone profili e situazioni di fatto, insuscettibili di controllo in questa sede, a fronte di una sentenza dalla motivazione adeguata e non illogica.
Il giudice a quo pur ammettendo che la condizione economica del M. si sia deteriorata rispetto al passato, evidenzia ancora l'esistenza di cospicui redditi, una buona pensione INPGI, la titolarità di un patrimonio immobiliare in parte alienato (ma - osserva il giudice a quo - presumibilmente l'odierno ricorrente avrà messo a frutto il ricavato dell'alienazione).
Al contrario, la moglie non ha mai svolto attività lavorativa, e, nel corso di quasi 50 anni di matrimonio si è sempre dedicata alla cura della famiglia e della casa; di età avanzata, e priva dunque di ogni residua capacità lavorativa - continua la sentenza impugnata - la L. è affetta da numerose patologie. Il giudice a quo tuttavia considera il vantaggio economico che la donna ha ricavato dalla cessione di parte del patrimonio immobiliare comune e dall'esclusivo godimento dell'alloggio famigliare.
Viene dunque affermato correttamente dal Giudice a quo, ai sensi dell'art. 5, il diritto della L. all'assegno di divorzio, per inadeguatezza dei suoi redditi e, ai fini della quantificazione, si individuano, come si è detto, vari parametri: la notevole disparità economica tra i coniugi, la costano dedizione della L. alla cura della famiglia, la lunga durata del matrimonio.
I due motivi vanno rigettati in quanto infondati.
Conclusivamente, va rigettato il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in €. 4.000,00 per compensi, €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.
23-04-2013 10:36
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