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Sentenza

Il verbale di denuncia del datore di lavoro può valere come confessione.
Il verbale di denuncia del datore di lavoro può valere come confessione.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 febbraio – 9 aprile 2013, n. 8611
Presidente Canevari – Relatore Manna

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 626/08 la Corte d'appello di Venezia rigettava il gravame proposto da P..F.  contro la sentenza con cui il Tribunale di Treviso aveva respinto la sua domanda di risarcimento danni da infortunio sul lavoro (verificatosi il ...) nei confronti del Mobilificio San Michele S.r.l., infortunio che aveva provocato al lavoratore un grave trauma cranico con postumi.
Il processo si svolgeva anche in contraddittorio di Riunione Adriatica di Sicurtà S.p.A., XL Insurance Company Limited, Duomo Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.A., Milano Assicurazioni S.p.A. e Navale Assicurazioni S.p.A..
Per la cassazione di tale sentenza ricorre F.P. affidandosi a cinque motivi.
Resistono con controricorso il Mobilificio San Michele S.r.l. e Allianz S.p.A. (già Riunione Adriatica di Sicurtà S.p.A.).
Duomo Assicurazioni e Riassicurazioni S.p.A. e Milano Assicurazioni S.p.A. sono rimaste intimate.
Allianz S.p.A. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.1. - Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2087 e 2697 c.c., nonché vizio di motivazione, per avere l'impugnata sentenza ritenuto che in caso di infortunio sul lavoro il lavoratore abbia l'onere non solo di allegarne, ma anche di provarne le modalità di accadimento, onere probatorio che - invece - il ricorrente ritiene gravare sul datore di lavoro.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 132 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale omesso di valutare ai fini della decisione la deposizione del teste P. (che aveva dichiarato che l'allora titolare del Mobilificio San Michele gli aveva riferito che il F. era caduto dagli scaffali dove si trovavano dei vetri) e la valenza confessoria della denuncia di infortunio del 16.4.92 (acquisita agli atti), ove si dava atto che il lavoratore si era infortunato cadendo da uno scaffale.
Tale violazione viene sostanzialmente fatta valere anche con il terzo e con il quarto motivo di ricorso, sotto forma di vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione rispettivamente degli artt. 2709 c.c. e 403 d.P.R. n. 547/55 c.p.c., nonché dell'art. 2730 c.c..
Con il quinto e ultimo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 421 e 437 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per avere la Corte veneziana omesso di esercitare i propri poteri istruttori d'ufficio pur sollecitati dal ricorrente, che aveva chiesto un supplemento di CTU per accertare se le gravi conseguenze riportate dal F. ("trauma cranico commotivo con frattura completa di rocca e mastoide di dx, focolai contusivi minimi encefalici, paresi del VI n.c. di dx") fossero compatibili con l'urto contro un ostacolo fisso a seguito di uno scivolone oppure soltanto con una caduta dall'alto, dagli scaffali su cui si trovavano gli specchi che il F. doveva portare al reparto imballaggio (come sostenuto in ricorso, ove si afferma che l'infortunio si era verificato mentre il ricorrente cercava di recuperare degli specchi collocati su uno scaffale alto circa m. 3,60 con due ripiani intermedi posti l'uno a m. 1,20 e l'altro a m. 2,40 dal suolo: su quest'ultimo si trovavano gli specchi da portare al reparto imballaggio).
2.1. - Si premetta che, contrariamente a quanto eccepito dalla difesa di Allianz S.p.A., i quesiti formulati dal ricorrente sono idonei ai fini dell'art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis al caso di specie), essendo sufficientemente chiari nel delineare la regula iuris che si ritiene essere stata disattesa dai giudici del merito.
Ciò detto, il primo motivo di ricorso è infondato, noto essendo per costante giurisprudenza di questa S.C. che, proprio ex artt. 1218, 2087 e 2697 c.c., in caso di infortunio sul lavoro incombe sul lavoratore l'onere di allegarne e provarne le modalità di accadimento.
Invero, essendo di natura contrattuale la responsabilità del datore di lavoro per violazione del debito di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c., incombe sul lavoratore, che lamenti di aver subito un danno alla salute a causa dell'attività lavorativa svolta, l'onere di provare l'esistenza del pregiudizio patito, come pure - a monte - la dinamica dell'infortunio e il suo nesso di causalità rispetto a mansioni svolte o ambiente lavorativo, mentre grava sul datore di lavoro - una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze - l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedirne il verificarsi (cfr., per tutte, Cass. 17.2.09 n. 3788).
Si tratta di giurisprudenza antica e consolidata rispetto alla quale il ricorso non offre validi spunti di ripensamento.
2.2. - Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso, poiché un dato apprezzamento del materiale istruttorio acquisito agli atti, a prescindere dalla maggiore o minore sua condivisibilità e/o completezza (che forma oggetto di delibazione di merito, in quanto tale preclusa in questa sede), non importa nullità della sentenza né violazione dei canoni di cui all'art. 116 c.p.c..
Si noti, poi, che la gravata pronuncia non ha omesso di motivare in rapporto alla denuncia di infortunio del 16.4.92, ma semplicemente non le ha attribuito l'esatta natura giuridica (il che forma oggetto del terzo motivo di ricorso, qui di seguito esaminato).
2.3. - È, invece, fondato il terzo motivo, il che implica l'assorbimento delle restanti censure.
Si legge nell'impugnata sentenza che nella denuncia di infortunio indirizzata all'INAIL dal datore di lavoro il verificarsi dell'incidente occorso all'odierno ricorrente veniva così descritto: "s'infortunava cadendo da uno scaffale".
Dunque, nella denuncia di infortunio si da atto che la causa dell'infortunio sarebbe stata non un mero scivolone - secondo l'ipotesi alternativa affrontata e non risolta in punto di fatto dall'impugnata sentenza - bensì una caduta da uno scaffale (conformemente a quanto sostenuto dal F.  ).
Ritiene la Corte territoriale che tale denuncia non integrerebbe confessione vuoi perché priva del relativo elemento soggettivo vuoi perché non accompagnata da ulteriori precisazioni o dall'indicazione di testi oculari.
L'assunto non può condividersi.
Ora, contrariamente a quanto affermato dai giudici d'appello, che hanno erroneamente inteso la portata di Cass. n. 13212/06 in tema di elemento soggettivo della confessione, il requisito della volontà e consapevolezza della dichiarazione confessoria si limita alla dichiarazione stessa e non anche ai suoi potenziali effetti sfavorevoli.
In altre parole, l'elemento soggettivo della confessione (animus confitendi) si configura come mera volontà e consapevolezza di riconoscere la verità del fatto dichiarato, obiettivamente sfavorevole al dichiarante e favorevole all'altra parte, senza che sia necessaria l'ulteriore consapevolezza di tale obiettiva incidenza e delle conseguenze giuridiche che ne possono derivare (giurisprudenza antica e costante: cfr., ex aliis, Cass. 10.8.02 n. 12145; Cass. 11.4.2000 n. 4608; Cass. 5.3.90 n. 1723 e numerose altre).
Né a tale configurazione giuridica osta - sempre contrariamente a quanto si legge nella decisione della Corte territoriale - il rilievo che nel caso di specie dalla sintetica descrizione della dinamica dell'infortunio occorso al F. non emergano ulteriori precisazioni e/o indicazione di testi oculari: la confessione consiste in una mera dichiarazione di scienza ed è una prova come tutte le altre, può avere una maggiore o minore estensione, attendibilità e/o affidabilità, senza che il dichiarante debba fornire elementi ulteriori per dimostrare la veridicità di quanto afferma (e ciò proprio perché è destinata a costituire prova a suo sfavore) o debba chiarire donde abbia tratto la propria asserzione.
Tali profili possono, semmai, essere rilevanti in sede di libero apprezzamento della dichiarazione confessoria (ove essa sia, come nel caso di specie, liberamente apprezzabile: v. infra), ma non ne influenzano la natura giuridica.
Ne deriva che - contrariamente a quanto suppone la gravata pronuncia - ben può attribuirsi valenza di confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c. ad una denuncia di infortunio sul lavoro effettuata ex art. 53 d.P.R. n. 1124/65, nella parte in cui ne descrive, sia pur succintamente, le modalità di accadimento (cfr. Cass. 19.10.85 n. 5141) e/o ogni altra circostanza di fatto.
A sua volta tale confessione - essendo rivolta ad un terzo (INAIL) - ex art. 2735 co. 1 secondo periodo c.c. è liberamente apprezzata dal giudice.
3.1. - In conclusione, rigettati il primo e il secondo motivo di ricorso, va accolto il terzo, con assorbimento delle restanti censure. Per l'effetto, la sentenza impugnata deve cassarsi in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Brescia, che dovrà liberamente apprezzare - unitamente a tutto il materiale istruttorio in atti - la suddetta confessione stragiudiziale contenuta nella denuncia di infortunio ex art. 53 d.P.R. n. 1124/65, attenendosi ai seguenti principi di diritto:
"l'elemento soggettivo della confessione (animus confitendi) si configura come mera volontà e consapevolezza di riconoscere la verità del fatto dichiarato, obiettivamente sfavorevole al dichiarante e favorevole all'altra parte, senza che sia necessaria l'ulteriore consapevolezza di tale obiettiva incidenza e delle conseguenze giuridiche che ne possono derivare";
"può attribuirsi valenza di confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c. ad una denuncia di infortunio sul lavoro effettuata ex art. 53 d.P.R. n. 1124/65, nella parte in cui ne descrive, sia pur succintamente, le modalità di accadimento e/o ogni altra circostanza di fatto".

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Brescia.
Avv. Antonino Sugamele

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