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Sentenza

Il medico risponde per colpa se a fronte di una sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale , rimane arroccato su una diagnosi inesatta.
Il medico risponde per colpa se a fronte di una sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale , rimane arroccato su una diagnosi inesatta.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE - SENTENZA 14 gennaio 2013, n.1716 - Pres. Sirena – est. Romis

Ritenuto in fatto

 

1. C.A. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di lesioni personali colpose in danno di B.C.A. , secondo la seguente contestazione: perché nella qualità di medico curante di B.C.A. presso la 'Sezione Emodinamica' - 'EMO SRL', operante all'interno della Casa di Cura (omissis) , e di medico chirurgo del medesimo presso la Casa di Cura (omissis) , con la condotta consistita nel sottoporre il paziente stesso ad un intervento chirurgico di ricanalizzazione meccanica dell'occlusione trombotica del by-pass femoro-peroniero sinistro a 5 mm. dalla femorale comune, aveva cagionato a B.C.A. lesioni gravi da cui era derivata l'incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo di quarantadue giorni (fino alla dimissione definitiva dagli ospedali e dalla casa di cura in cui era stato sottopoto a riabilitazione) nonché postumi neurologici permanenti anatomo-funzionali che avevano comportato l'indebolimento temporaneo della gamba sinistra, del linguaggio e della capacità di movimento complessiva; commettendo il fatto con impudenza, imperizia e negligenza nell'osservanza e nell'applicazione e nell'adozione delle regole generali dell'arte medica e con colpa specifica ravvisabile nella violazione di arte medica e medico-chirurgica consistita: nell'imprudenza nella scelta dei provvedimenti attuati nel corso dell'intervento chirurgico sulla persona del B. ed in particolare nell'impiego relativamente prolungato di un fibrinolitico associato ad eparina, scelta imprudente considerata l'incerta utilità di tale impiego a fronte di un'ipotesi di trombosi in corso nel paziente, trombosi comunque non recentissima, e fibrinolitico associato ad eparina il cui effetto nel paziente non bilanciava i rischi nel medesimo di complicanze emorragiche che in effetti poi si erano verificate nella sede subaracnoidea e cerebellare del paziente; nell'imprudenza consistita nel continuare nei confronti del B. la terapia con fibrinolitico anche quando erano comparsi i segni, quanto meno sospetti, delle complicanze erroneamente attribuite dal Dott. C. alla glicemia divenuta elevata, indicazione erronea per la persistenza nel tempo di tali segni ed in particolare per la permanenza nel paziente della difficoltà di eloquio che era stata ridotta allorquando sulla sua persona erano stati adeguati i dosaggi di insulina; nell'imprudenza e nell'imperizia ravvisabili nel trattamento iniziale operato sulla persona del B. e praticato quando i segni ostruttivi del by-pass posto nel suo arto inferiore sinistro non erano recentissimi ed era incerta la causa dell'ostruzione e quindi risultava dubbia l'utilità di un trattamento che esponeva il paziente a rischi di emorragia che di fatto si era poi prodotta, con conseguenze ad esse addebitabili, verificate e da ammettersi come sicure (fatto commesso in (omissis) con permanenza per la persistenza delle lesioni sulla persona del B.C.A. ).

2. Con sentenza pronunciata in data 29 ottobre 2010, il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, dichiarava l'imputato colpevole del reato a lui ascritto, quale sopra descritto, e lo condannava, previa concessione delle attenuanti generiche, prevalenti sulle contestate aggravanti, alla pena di mesi uno di reclusione ed al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile costituita, da liquidarsi in sede civile, determinando, a titolo di provvisionale, la somma di Euro 20.000,00.

Il Tribunale descriveva analiticamente la storia clinica di Antonio B. dal settembre 1999, quando il paziente aveva subito un trapianto di rene e pancreas, fino al ..., procedeva poi all'esame dei fatti annotati nella cartella clinica durante il ricovero presso la clinica (omissis) , a seguito di claudicatio sinistra e della diagnosi di occlusione trombotica del by-pass venoso femoro-peroniero sinistro a 5 mm dall'origine della femorale comune.

Il Tribunale riteneva che la decisione del dr. C. di persistere nell'adozione della procedura di infusione di Actilyse, per 20 ore - nonostante l'esito negativo del tentativo di disostruzione del by-pass, mentre A..B. era in terapia con plurimi preparati ad azione antipiastrinica, ed ancora dopo la comparsa di nausea, vomito, cefalea, rallentamento motorio, difficoltà nell'eloquio, stato confusionale, ematuria - fosse stata, per un verso, inidonea a risolvere la patologia in atto, e, per altro verso, causa dell'insorgenza della emorragia cerebrale, diagnosticata soltanto il (omissis) , presso altro Ospedale ove il paziente era stato ricoverato a seguito della perdita di coscienza: qualificava, pertanto, altamente imprudente la scelta operativa del curante, così come l'omesso monitoraggio del malato nel corso della terapia fibrinolitica e la mancata sottoposizione ad idonei controlli dopo la comparsa degli ulteriori sintomi descritti, a seguito dei quali A..B. aveva riportato le menomazioni descritte nel capo di imputazione. Il giudicante poneva a fondamento della propria decisione elementi di prova desunti dalle deposizioni dei testi, dalla documentazione acquisita ritualmente (cartella clinica ed infermieristica), dalle relazioni dei periti del Tribunale, valutate anche alla luce degli accertamenti svolti dai consulenti incaricati dal P.M. e dei chiarimenti resi dai consulenti nel corso del dibattimento.

3. Proponeva rituale gravame il difensore dell'imputato e la Corte d'Appello di Milano confermava l'impugnata decisione, e, in risposta alle censure dedotte dalla difesa dell'imputato, dava conto del proprio convincimento richiamando l'ampia motivazione del primo giudice perché ritenuta del tutto condivisibile e svolgendo argomentazioni che possono così riassumersi: A) le condizioni cliniche del B. erano ben note al dottor C. , che lo aveva in cura da anni; si trattava di soggetto diabetico, pluritrapiantato (rene e pancreas), sottoposto a costante terapia antiaggregante, già operato ad entrambe le carotidi, con un sistema circolatorio complessivamente compromesso; al momento del ricovero, l'ecodoppler aveva attestato una totale occlusione del by-pass venoso femoro-peroniero sinistro a 5 mm dall'origine della femorale comune; la situazione, non era urgente, ma richiedeva una valutazione attenta, soprattutto dopo aver inizialmente tentato, correttamente, ma senza alcun successo, una disostruzione meccanica del by-pass; dovevano essere soppesati tutti i rischi e le diverse opzioni possibili, modificando la scelta del corso del ricovero (esame Prestipino ud. 26 giugno 2008, p.9); sebbene il primo tentativo di disostruzione meccanica, con infusione di Actilyse potesse ritenersi indicato, nondimeno il fallimento totale di tale tentativo, praticato il pomeriggio del 22 marzo 2006, doveva far ritenere al dottor C. che il trombo non fosse sensibile al trombolitico, in quanto ormai completamente organizzato, con conseguente prevedibile inutilità del successivo tentativo di scioglierlo, al di là della possibile epoca di formazione; la scelta di praticare un trattamento fibrinolitico per 20 ore non poteva in alcun modo considerarsi come un momento di attendismo ragionato, utile per programmare ulteriori interventi terapeutici, trattandosi al contrario di scelta attiva che comportava un certo margine di rischio risultando scientificamente documentati gli effetti sistemici, con possibilità di serio sanguinamento, prodotti dal il fibrinolitico; come osservato dal primo giudice, la terapia praticata dal dottor C. poteva apparire giustificata solo nel caso di prevedibile utilità, e, nel caso di specie, non poteva essere ritenuta condivisibile in quanto inidonea a migliorare le condizioni cliniche del paziente e fonte di ulteriori rischi concreti; il rischio di emorragia per il B. era particolarmente elevato, trattandosi di un soggetto diabetico, sottoposto a cronica terapia antiaggregante, con una generale compromissione del sistema cardiovascolare, come era ben noto al dottor C. , da tempo suo medico curante; B) le condivisibili conclusioni cui era pervenuto il primo giudice trovavano riscontro anche nelle linee guida della Siset, Società italiana per lo studio dell'emostasi e delle trombosi, che, pur prevedendo l'impiego dell'Actilyse nelle trombosi venose profonde, raccomandavano tuttavia che 'al momento attuale si esclude il trattamento trombolitico della TVP (trombosi venosa profonda) nell'anziano, limitando questo trattamento a pazienti giovani che presentino estesa trombosi venosa profonda prossimale e senza alcuna evidenza di fattori di rischio emorragico'; di tal che, risultava superata anche l'ulteriore osservazione svolta dalla difesa appellante, peraltro in termini generici, secondo cui non sarebbe stato dimostrato che la sospensione della doppia aggregazione e la somministrazione di farmaci avrebbe sortito esito positivo e non avrebbe, invece, provocato fenomeni trombotici con danni anche maggiori a livello cardiaco, cerebrale o anche agli stessi arti; C) quanto al profilo di colpa contestato all'imputato con riferimento all'omesso compimento degli accertamenti necessari, a seguito della sintomatologia manifestata dal B. nella notte successiva all'inizio del trattamento, apparivano infondate le deduzioni difensive posto che: i sintomi si erano protratti per tutto il tempo successivo all'inizio della terapia fino alle dimissioni; la valutazione non unitaria, ma parcellizzata, dei singoli sintomi, quale modalità di approccio alla grave problematica, doveva considerarsi evidentemente errata, ed il fatto che non fosse stato colto il significato dei sintomi manifestati dal paziente, trovava conferma nella somministrazione di farmaci atti a curare i sintomi, (Toradol e Contramal per la cefalea, Plasil per nausea e vomito): come evidenziato compiutamente dai periti del Tribunale in termini chiari a p. 21 della relazione, nonché dai consulenti del pubblico ministero, e quindi dal giudicante nella sentenza gravata, si trattava di sintomi precisi e concordanti di un'emorragia in atto con conseguente necessità di una urgente indagine radiografica tramite TAC: l'omissione di tale accertamento configurava una grave negligenza da parte del sanitario; ed invero il pronto rafforzamento della terapia ipotensivizzante avrebbe evitato la prosecuzione nel tempo del fenomeno emorragico e dunque scongiurato il terminale aggravamento dello stesso con produzione di ematoma intracerebellare bilaterale (perizia p. 25 ed esame 6 maggio 2009); D) in mancanza di specifiche contestazioni in ordine alla valenza scientifica dei dati che il primo giudice aveva desunto dalle relazioni dei periti e dei consulenti del P.M., non poteva accedersi alla richiesta di rinnovazione della indagine medico-legale, palesandosi evidentemente ingiustificata la doglianza relativa alla insufficiente preparazione tecnica dei periti nominati, per non poter vantare una specializzazione in neurologia: tanto i consulenti del P.M., quanto i periti nominati dal Tribunale, vantavano specializzazioni in chirurgia vascolare e angiologia e medicina legale, ed in tale qualità erano stati certamente in grado di effettuare diagnosi differenziali, indicare gli strumenti di indagine più appropriati e gli approcci terapeutici che i sanitari avrebbero dovuto attuare presso la ..., in attesa di ulteriori consulenze specialistiche e dell'eventuale trasferimento del paziente presso diverse strutture; E) sulla scorta dei principi enunciati nella giurisprudenza di legittimità con la sentenza delle Sezioni Unite in data 11 settembre 2002 e con quelle successive che quei principi avevano poi costantemente ribadito, appariva certamente sussistente il nesso di causalità tra la condotta del Dott. C. e l'evento, avuto riguardo a quanto evidenziato dal primo giudice in base alle indicazioni fornite dai periti ed alle conclusioni dagli stessi rassegnate, adottando un procedimento di valutazione sostanzialmente sovrapponile a quello seguito dai consulenti del P.M.; ed invero: 1) sulla base dell'evidenza scientifica, adeguatamente documentata e sorretta da valutazioni tecniche di comune esperienza, la corretta e tempestiva valutazione del fallimento del tentativo di disostruzione meccanica con infusione di Actilyse, seguito da un efficace monitoraggio, avrebbe consentito di evitare, ovvero diagnosticare al suo esordio, il sanguinamento cerebrale, nella forma di lento stillicidio; 2) la sottoposizione ad indagine radiografica, dopo la manifestazione contemporanea dei sintomi di cefalea, nausea, vomito, rallentamento psichico, avrebbe comunque consentito l'accertamento dell'emorragia in tempi ancora utili a contenere le conseguenti menomazioni; 3) i periti del Tribunale, a p. 21 della propria relazione, avevano ritenuto provato che 'in epoca immediatamente successiva alla procedura angiografica del 23 marzo 2006, e dunque in calce ad un carico di preparati farmacologici ad effetto antipiastrinico e fibrinolitico, il paziente ha cominciato a sanguinare a livello endocranico, in forma di lento stillicidio'; 4) in ordine alla condotta del medico fin qui descritta, non si poneva alcuna esigenza di verifica contro-fattuale, trattandosi di mere omissioni sul piano del controllo e della diagnosi, rilevate sulla base di fondamentali regole dell'arte medica; 5) alla tempestiva diagnosi della problematica neurologica sarebbe dovuta seguire la sospensione immediata della terapia antiaggregante, l'intensificazione della terapia ipotensivizzante e l'attuazione di uno stretto follow up ospedaliero, fino alla completa soluzione del quadro emorragico ovvero fino al trasferimento ospedaliero, in caso di aggravamento (così come avevano spiegato nella refazione i periti del Tribunale a p. 24-25 ed i periti all'udienza del 6 maggio 2010); 6) come riferito dai periti, la regola è che, intervenendo per tempo con tali misure, una emorragia post-fibrinolitica tende ad arrestarsi; 7) i periti del Tribunale, pur utilizzando un linguaggio prudenziale, avevano affermato che la sindrome a carico del B. era riconducibile in via di elevata probabilità alla dimostrata conclamazione di un franco ematoma cerebellare bilaterale (come evidenziato da TC nel tardo pomeriggio del (omissis) ) ed avevano concluso precisando che un operato del sanitario assolutamente conforme ai corretti precetti di perizia, prudenza e diligenza avrebbe scongiurato lo scadimento dell'emorragia in tracranica del paziente e, dunque, avrebbe evitato l'insorgenza della sindrome neurologica da cui era derivata la permanente menomazione dell'organo dell'equilibrio statico e dinamico: formulando dette osservazioni sulla base, non soltanto di dati statistici, bensì di una attenta considerazione, su base scientifica, degli effetti propri dei farmaci prescritti e delle scelte alternative, come dimostrato dall'effetto positivo seguito alla sospensione del trattamento farmacologico combinato, dopo la sincope, a seguito del ricovero del paziente presso altri nosocomi; 8) i periti, infine, non avevano collegato l'esistenza di ulteriori rischi alla sospensione della terapia antiaggregante ed alla intensificazione di quella ipotensivizzante, nel quadro delineato: di tal che doveva desumersi che nel caso concreto eventuali rischi fossero comunque da ritenere notevolmente e decisamente inferiori a quelli derivanti dall'impiego prolungato del fibrinolitico; 9) in base ai dati tecnici forniti dai periti incaricati dal Tribunale, valutati alla luce dei criteri giuridici, doveva convenirsi sull'esattezza delle conclusioni formulate dai periti medesimi, potendo attribuirsi alle stesse un elevato grado di probabilità, prossima alla certezza, con conseguente responsabilità penale del sanitario imputato; 10) il riferimento agli studi Interact e Atach effettuati dall'appellante non apparivano significativi con riferimento alle peculiarità del caso concreto, ed in ogni caso la tempestiva diagnosi dell'emorragia, con una semplice TAC, avrebbe consentito l'attuazione dei rimedi atti a contenere le conseguenze menomanti in tempi utili; F) risultava congrua la pena irrogata dal Tribunale, essendo stata la pena base determinata in mesi uno e giorni 15 di reclusione, dunque in misura prossima al minimo edittale; avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 133 c.p. - e tenuto conto in particolare della posizione di garanzia del medico e dell'entità delle conseguenze derivate alla parte lesa - non si ravvisavano margini per un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, né per la conversione della sanzione, di entità comunque sicuramente contenuta, essendo stati concessi, opportunamente, i benefici della sospensione della pena e della non menzione della condanna. 4. Ricorre per cassazione il Dott. C. , a mezzo del difensore, formulando plurimi motivi di doglianza con diffuse argomentazioni - e con il richiamo a specifici atti del processo - che possono sintetizzarsi come segue: 1 MOTIVO - Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere che l'insuccesso del tentativo di disostruzione meccanica avrebbe confermato che il trombo non era recente e, quindi, non sensibile al trattamento fibrinolitico: risulterebbe tra l'altro pacifico in letteratura che ad un tentativo di disostruzione meccanica dello stant occluso debba sempre seguire, in caso di insuccesso, il trattamento fibrinolitico; nel caso in esame ciò sarebbe stato ancor più opportuno avuto riguardo alle condizioni cliniche del paziente; 2 MOTIVO - la cadenza temporale degli eventi - secondo la descrizione riportata nella cartella clinica - dimostrerebbe che il Dott. C. non avrebbe trascurato i sintomi accusati dal paziente, posto che: la nausea ed il vomito avvertiti dal paziente il 23 marzo 2006, dopo il tentativo di ricanalizzazione meccanica, e la terapia medica in infusione, sarebbero sintomi comuni dopo la somministrazione di mezzo di contrasto e antibiotici, anche perché in quella fase il paziente mostrava iperglicemia cui spesso si associano nausea e vomito; era stato registrato un miglioramento delle condizioni del paziente essendo regredita la nausea, e la stessa cefalea lamentata dal paziente non poteva avere significato univoco nel senso di un sanguinamento parenchimale e soprattutto sub-aracnoideo, posto che presentava le caratteristiche dell'emicrania ed i familiari del B. avevano riferito che tale disturbo era stato avvertito dal loro congiunto anche in occasione di rialzi significativi dei valori glicemici; inoltre il ... alle ore 10 era stata proposta una visita neurologica rifiutata dal paziente, e solo nel pomeriggio del ..., quando il B. si trovava al suo domicilio per propria scelta, al di fuori quindi della possibilità di intervento dei sanitari della ..., erano comparse manifestazioni cliniche tali da rendere necessario il ricovero immediato; 3 MOTIVO - La Corte distrettuale avrebbe omesso di dare risposta alle deduzioni difensive circa la somministrazione della doppia terapia antiaggregante, con riferimento all'emorragia cerebrale; detta terapia, oltre ad essere ritenuta necessaria dai protocolli internazionali per almeno 24 ore dal trattamento trombolitico, nel caso di specie appariva giustificata anche dalle condizioni critiche del circolo sistemico del paziente; inoltre la sospensione della terapia antiaggregante avrebbe dato gli effetti previsti solo a distanza di 5 giorni dopo la sospensione, per cui tale sospensione avrebbe avuto solo un effetto 'formale e non effettivamente in grado di modificare la storia naturale dell'evento avverso' (pag. 12 del ricorso); 4 MOTIVO - Vizio di motivazione relativamente al diniego della rinnovazione dell'istruttoria finalizzata all'espletamento di un supplemento di perizia: ed invero nel collegio peritale nominato in primo grado non era stato inserito uno specialista in neurologia, pur dovendo individuarsi in una emorragia cerebrale l'evento lesivo patito dalla parte lesa; la memoria difensiva, con argomenti finalizzati a contestare le conclusioni cui erano pervenuti i periti, non sarebbe stata per nulla vagliata dai giudici di merito; 5 e 6 MOTIVO - Vizio di motivazione in ordine alla ricostruzione dell'evento emorragico ed al nesso di causalità: in particolare, i periti non sarebbero stati in grado di ricostruire con certezza la fisiopatologia descritta in atti e sarebbero giunti ad una definizione di probabilità e non di certezza, anche perché per la ricostruzione tecnica erano partiti da un presupposto di interpretazione fattuale, probabilistico; non sarebbe stata fornita la prova del nesso eziologico tra la presunta condotta omissiva e l'evento emorragico, tenuto conto dei principi enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite; 7 MOTIVO - Vizio di motivazione in ordine al diniego della sanzione sostitutiva di quella detentiva, avendo il giudice di seconde cure ancorato detta statuizione alla misura contenuta della pena inflitta ed al riconoscimento dei benefici di legge da parte del primo giudice, trascurando altri parametri, pur rilevanti ai fini dell'applicabilità dell'art. 58 della legge n. 689/81 (si rileva un refuso a pag. 24 del ricorso laddove è stato indicato il 1989 quale anno di tale legge).

5. È stata poi depositata una memoria difensiva nell'interesse del Dott. C. con motivi aggiunti che possono riassumersi come segue: la Corte territoriale avrebbe travisato le osservazioni dei periti circa l'individuazione del momento iniziale del fenomeno emorragico, avendo affermato che i periti avrebbero dato per provato che il sanguinamento a livello endocranico sarebbe iniziato in epoca immediatamente successiva alla procedura angiografica del 23 marzo 2006, mentre gli stessi periti a pag. 21 della relazione avevano precisato al riguardo che si trattava di 'indicazioni probabilistiche e non (.....) conclusioni certe ed assolute': sarebbe stata dunque creata una certezza probatoria in realtà inesistente, in relazione ad un punto cruciale della vicenda, a fronte della prospettazione difensiva secondo cui il fenomeno emorragico sarebbe iniziato invece il ... allorquando il B. era al suo domicilio dopo aver anche rifiutato la visita specialistica propostagli dal medico della clinica ...; ad avviso della Corte d'Appello il sanguinamento sarebbe stato causato dalla seconda somministrazione di Actilyse per 20 ore: avendo tuttavia la stessa Corte considerato corretto il primo tentativo di disostruzione meccanica con infusione di Actilyse, i giudici di seconda istanza sarebbero incorsi in errore non avendo spiegato perché l'inizio del sanguinamento sarebbe seguito al secondo trattamento con Actilyse e non al primo (ritenuto corretto); in tale ultimo caso il Dott. C. avrebbe dovuto rispondere non già della causazione dello spandimento ematico ma al più della successiva omissione di diagnosi e terapia, con conseguente ridimensionamento della responsabilità e del trattamento sanzionatorio; inoltre già nel 2004 (come segnalato alla Corte d'Appello con i motivi di appello a pag. 10) il B. era stato sottoposto a trattamento con Actilyse (in occasione di una precedente occlusione) con effetti positivi e senza sanguinamento, e la Corte distrettuale avrebbe errato nell'ignorare detto precedente; sono state infine reiterate le doglianze in punto di trattamento sanzionatorio.

 

Considerato in diritto

 

6. La Corte d'Appello ha ritenuto di poter ravvisare connotazioni di colpa nella condotta del Dott. C. , sotto il duplice profilo della imperizia e della negligenza, laddove lo stesso continuò il trattamento fibrinolitico pur in presenza di una sintomatologia tale da poter far ipotizzare un processo emorragico in atto, omettendo di effettuare esami diagnostici di semplice esecuzione, ed in particolare una TAC che avrebbe potuto dissipare qualsiasi dubbio in proposito.

Orbene, il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale a tale specifico riguardo - quale sopra ricordato nella parte narrativa e da intendersi qui integralmente richiamato onde evitare superflue ripetizioni - risulta immune da vizi di illogicità ed in sintonia con i principi enunciati in materia nella giurisprudenza di legittimità. Mette conto sottolineare, invero, che l'obbligo di garanzia non presenta particolari problemi con riferimento ai trattamenti medico chirurgici: è sufficiente infatti che si sia instaurato un rapporto sul piano terapeutico tra paziente e medico per attribuire a quest'ultimo la posizione di garanzia, vale a dire quella funzione di garante della vita e della salute del paziente che lo rende responsabile delle condotte colpose che abbiano cagionato una lesione di questi beni. È altresì pacifico - alla luce del consolidato indirizzo affermatosi in materia nella giurisprudenza di questa Corte - che versa in colpa il medico che, di fronte ad una sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, mantenga ferma l'erronea posizione diagnostica iniziale: 'In tema di responsabilità professionale medica, nel caso in cui il sanitario si trovi di fronte ad una sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, la condotta è colposa quando non vi si proceda, mantenendosi nell'erronea posizione diagnostica iniziale. E ciò vale non soltanto per le situazioni in cui la necessità della diagnosi differenziale sia già in atto, ma anche quando è prospettabile che vi si debba ricorrere nell'immediato futuro a seguito di una prevedibile modificazione del quadro o della significatività del perdurare del quadro già esistente' (Sez. 4, n. 4452 del 29/11/2005 Ud. - dep. 03/02/2006 - Rv. 233238); 'versa in colpa - per imperizia, nell'accertamento della malattia, e negligenza, per l'omissione delle indagini necessarie, sia al fine di dissipare dubbi circa la esatta diagnosi del male portato dal paziente, sia per individuare la terapia di urgenza più confacente al caso - il medico il quale, in presenza di sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, rimanga arroccato su diagnosi inesatta, benché posta in forte dubbio dalla sintomatologia, dalla anamnesi e dalle altre notizie, comunque, pervenutegli, omettendo così di porre in essere la terapia più profittevole per la salute del paziente' ( Sez. 4, n. 11651/1988 - ud. 08/11/1988, dep. 29/11/1988 - Rv. 179815). Da parte del Dott. C. vi fu, dunque, certamente la violazione di una regola cautelare, in relazione alla posizione di garanzia da lui assunta nei confronti del paziente. Né possono assumere rilievo a favore dell'imputato, i pregressi episodi relativi al trattamento fibrinolitico al quale il B. era stato sottoposto con successo: già il Tribunale (pag. 14 della sentenza di primo grado) aveva infatti evidenziato la diversità delle condizioni del paziente nelle occasioni di interesse: mentre infatti in relazione agli episodi del (OMISSIS) il B. presentava un'ottima pervi età del graft venoso femoro peroniero, nella circostanza oggetto della contestazione mossa al Dott. C. , che qui rileva, l'occlusione trombotica del by-pass era totale ed il tentativo di ricanalizzazione meccanica con infusione locale di Actilyse, effettuato il pomeriggio del (OMISSIS) , era fallito.

7. Risultano invece fondate le doglianze del ricorrente relative alla ritenuta sussistenza del nesso causale.

Giova sottolineare che nella concreta fattispecie sono stati addebitati al Dott. C. profili di condotta (colposa), commissiva ed omissiva con riferimento alla terapia praticata al paziente (prolungamento del trattamento fibronilitico, quale condotta commissiva; omessa sospensione del trattamento stesso, quale condotta omissiva), ed esclusivamente omissiva In relazione al mancato espletamento di accertamenti diagnostici, ai fini di una diagnosi differenziale, con particolare riferimento ad una TAC.

7.1. Prima di passare all'esame della specifica questione relativa al nesso di causalità, ed al vaglio delle censure dedotte dal ricorrente in proposito, appare opportuno soffermarsi innanzi tutto sul tema generale dell'onere motivazionale, con particolare rifermento agli obblighi di motivazione del giudice di secondo grado, in relazione ai motivi dell'appello proposto dall'imputato, nel caso di conferma della sentenza di condanna pronunciata in primo grado. È certamente ius receptum che, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello può integrarsi con quella precedente per formare un unico corpo argomentativo, sicché risulta possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado, colmare eventuali lacune della sentenza di appello. Deve tuttavia ritenersi che incorra nel vizio di motivazione il giudice d'appello il quale - nell'ipotesi in cui le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state censurate dall'appellante con specifiche argomentazioni - confermi la decisione del primo giudice aggiungendo la propria adesione senza però dare compiutamente conto degli specifici motivi d'impugnazione, così sostanzialmente eludendo le questioni poste dall'appellante. In tal caso non potrebbe invero nemmeno parlarsi di motivazione per relationem, trattandosi all'evidenza della violazione dell'obbligo di motivare, previsto a pena di nullità dall'art. 125 c.p.p., comma 3, e direttamente imposto dall'art. 111 Cost., comma 6, che fonda l'essenza della giurisdizione e della sua legittimazione sull'obbligo di 'rendere ragione' della decisione, ossia sulla natura cognitiva e non potestativa del giudizio. Più specificamente, l'ambito della necessaria autonoma motivazione del giudice d'appello risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle censure rivolte dall'appellante. Se questi si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell'impugnazione ben può trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati. Quando, invece, le soluzioni adottate dal Giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall'appellante, sussiste, come detto, il vizio di motivazione - in quanto tale sindacabile ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) - se il giudice del gravame non si fa carico di argomentare sulla fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione. Né può ritenersi precluso al giudice di legittimità l'esame dei motivi di appello, al fine di accertare la congruità e la completezza dell'apparato argomentativo adottato dal giudice di secondo grado con riferimento alle doglianze mosse alla decisione impugnata, rientrando nei compiti attribuiti dalla legge alla Corte di Cassazione la disamina della specificità o meno delle censure formulate con l'atto di appello quale necessario presupposto dell'ammissibilità del ricorso proposto davanti alla stessa Corte.

7.2. Ciò precisato in punto di onere motivazionale, appare ora indispensabile, ai fini di un corretto inquadramento della problematica relativa all'accertamento del nesso di causalità, soffermarsi sull'evoluzione della giurisprudenza di legittimità (ricordata anche nella sentenza impugnata e nel ricorso) in materia di colpa professionale medica (con particolare riferimento alla condotta omissiva del sanitario). In epoca meno recente è stato talora affermato che a far ritenere la sussistenza del rapporto causale, 'quando è in gioco la vita umana anche solo poche probabilità di successo.... sono sufficienti' (Sez. 4, n. 4320/83); in altra occasione si è specificato che, pur nel contesto di una 'probabilità anche limitata', deve trattarsi di 'serie ed apprezzabili possibilità di successo' (considerandosi rilevante, alla stregua di tale parametro, una possibilità di successo del 30 %: Sez. 4, n. 371/92); altra volta, ancora, non aveva mancato la Suprema Corte di affermare che 'in tema di responsabilità per colpa professionale del medico, se può essere consentito il ricorso ad un giudizio di probabilità in ordine alla prognosi sugli effetti che avrebbe potuto avere, se tenuta, la condotta dovuta..., è necessario che l'esistenza del nesso causale venga riscontrata con sufficiente grado di certezza, se non assoluta... al meno con un grado tale da fondare su basi solide un'affermazione di responsabilità, non essendo sufficiente a tal fine un giudizio di mera verosimiglianza' (Sez. 4, n. 10437/93). In tempi meno remoti la prevalente giurisprudenza di questa Corte ha costantemente posto l'accento sulle 'serie e rilevanti (o apprezzabili) possibilità di successo', sud' 'alto grado di possibilità', ed espressioni simili (così, Sez. 4, n. 1126/2000: nella circostanza è stata apprezzata, a tali fini, una percentuale del 75% di probabilità di sopravvivenza della vittima, ove fossero intervenute una diagnosi corretta e cure tempestive).

Alla fine dell'anno 2000 la Suprema Corte in due occasioni (Sez. 4, 28 settembre 2000, Musto, e Sez. 4, 29 novembre 2000, Baltrocchi) ha poi sostanzialmente rivisto ex novo la tematica in questione procedendo ad ulteriori puntualizzazioni. In tali occasioni è stato invero rilevato che 'il problema del significato da attribuire alla espressione “con alto grado di probabilità”....non può essere risolto se non attribuendo all'espressione il valore, il significato, appunto, che le attribuisce la scienza e, prima ancora, la logica cui la scienza si ispira, e che non può non attribuirgli il diritto'; ed è stato quindi affermato che 'per la scienza' non v'è alcun dubbio che dire “alto grado di probabilità”, - coltissima percentuale, “numero sufficientemente alto di casi”, voglia dire che, in tanto il giudice può affermare che una azione o omissione sono state causa di un evento, in quanto possa effettuare il giudizio controfattuale avvalendosi di una legge o proposizione scientifica che “enuncia una connessione tra eventi in una percentuale vicina a cento”...., questa in sostanza realizzando quella 'probabilità vicina alla certezza'. Successivamente (Sez. 4, 23/1/2002, dep. 10/6/2002, Orlando) è stata sottolineata la distinzione tra la probabilità statistica e la probabilità logica, ed è stato evidenziato come una percentuale statistica pur alta possa non avere alcun valore eziologico effettivo quando risulti che, in realtà, un certo evento è stato cagionato da una diversa condizione; e come, al contrario, una percentuale statistica medio-bassa potrebbe invece risultare positivamente suffragata in concreto dalla verifica della insussistenza di altre possibili cause esclusive dell'evento, di cui si sia potuto escludere l'interferenza.

È stato dunque richiesto l'intervento delle Sezioni Unite in presenza del radicale contrasto che nel tempo si era determinato all'interno della giurisprudenza di legittimità tra due contrapposti indirizzi interpretativi in ordine alla ricostruzione del nesso causale tra condotta omissiva ed evento, con particolare riguardo alla materia della responsabilità professionale del medico-chirurgo: secondo talune decisioni (che avevano dato vita all'orientamento delineatosi più recentemente) sarebbe necessaria la prova che un diverso comportamento dell'agente avrebbe impedito l'evento con un elevato grado di probabilità 'prossimo alla certezza', e cioè in una percentuale di casi 'quasi prossima a cento'; secondo altre decisioni sarebbero invece sufficienti 'serie ed apprezzabili probabilità di successo' per l'impedimento dell'evento.

Le Sezioni Unite si sono quindi pronunciate con la sentenza n. 30328 del 10/07/2002 Ud. (dep. 11/09/2002 - imp. Franzese), con la quale sono stati individuati i criteri da seguire perché possa dirsi sussistente il nesso causale tra la condotta omissiva e l'evento, e sono stati enunciati taluni principi che appare opportuno qui sinteticamente ricordare: 1) il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica - si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento 'hic et nunc', questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva; 2) non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con 'alto o elevato grado di credibilità razionale' o 'probabilità logica'; 3) l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio; 4) alla Corte di Cassazione, quale giudice di legittimità, è assegnato il compito di controllare retrospettivamente la razionalità delle argomentazioni giustificative - la c.d. giustificazione esterna - della decisione, inerenti ai dati empirici assunti dal giudice di merito come elementi di prova, alle inferenze formulate in base ad essi ed ai criteri che sostengono le conclusioni: non la decisione, dunque, bensì il contesto giustificativo di essa, come esplicitato dal giudice di merito nel ragionamento probatorio che fonda il giudizio di conferma dell'ipotesi sullo specifico fatto da provare.

Può dunque affermarsi che le Sezioni Unite hanno ripudiato qualsiasi interpretazione che faccia leva, ai fini della individuazione del nesso causale quale elemento costitutivo del reato, esclusivamente o prevalentemente su dati statistici ovvero su criteri valutativi a struttura probabilistica, in tal modo mostrando di propendere, tra i due contrapposti indirizzi interpretativi sopra ricordati, maggiormente verso quello delineatosi in tempi più recenti. L'articolato percorso motivazionale seguito nella sentenza Franzese, induce a ritenere che le Sezioni Unite, nel sottolineare la necessità dell'individuazione del nesso di causalità (quale 'condicio sine qua non' di cui agli artt. 40 e 41 del codice penale) in termini di certezza, abbiano inteso riferirsi non alla certezza oggettiva (storica e scientifica), risultante da elementi probatori di per sé altrettanto inconfutabili sul piano della oggettività, bensì alla 'certezza processuale' che, in quanto tale, non può essere individuata se non con l'utilizzo degli strumenti di cui il giudice dispone per le sue valutazioni probatorie: 'certezza', che deve essere pertanto raggiunta dal giudice valorizzando tutte le circostanze del caso concreto sottoposto al suo esame, secondo un procedimento logico - praticamente analogo a quello seguito allorquando si tratta di valutare la prova indiziaria, la cui disciplina è dettata dal secondo comma dell'art. 192 del codice di procedura penale - che consenta di poter ricollegare un evento ad una condotta omissiva 'al di là di ogni ragionevole dubbio' (vale a dire, con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica). Invero, non pare che possa diversamente intendersi il pensiero che le Sezioni Unite hanno voluto esprimere allorquando hanno testualmente affermato che deve risultare “giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità ragionale o 'probabilità logica”.

8. Ciò posto, non resta ora che verificare se, nel caso che ne occupa, l'iter argomentativo seguito dai giudici di seconda istanza - posto a fondamento della ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra la condotta del dottor C. e l'evento - sia in sintonia con i principi, di cui sopra, affermati dalle Sezioni Unite.

La risposta è negativa.

La motivazione fornita al riguardo dalla Corte d'Appello di Milano con la sentenza impugnata - all'esame retrospettivo demandato a questa Corte circa la logicità e razionalità delle argomentazioni giustificative addotte dai giudici di seconda istanza a fondamento della propria statuizione a fronte delle specifiche deduzioni formulate con i motivi di appello - si presenta infatti intrinsecamente contraddittoria e non in sintonia con i principi, ormai consolidati, enunciati condivisibilmente in materia nella giurisprudenza di legittimità. La Corte territoriale dopo aver premesso che i periti si erano pronunciati con 'linguaggio prudenziale', ha poi affermato che le indicazioni dai medesimi fornite erano state espresse in termini di 'elevata probabilità', per poi conclusivamente precisare che a dette conclusioni era possibile attribuire un elevato grado di probabilità, prossima alla certezza; orbene: 1) risultano valorizzate indicazioni peritali, circa la ricostruzione del nesso di causalità, formulate in termini di probabilità, e quindi secondo quei criteri probabilistici ripudiati dalle Sezioni Unite con la sentenza prima ricordata; 2) appaiono evidenti le connotazioni di illogicità nel passaggio argomentativo che ha preso avvio da un presupposto di 'linguaggio prudenziale' e di probabilità, sia pure 'elevata', per giungere - pur in base a tale presupposto chiaramente ispirato a criteri probabilistici - ad una conclusione di elevato grado di probabilità 'prossima alla certezza': di tal che, tale conclusione sembrerebbe scaturire non tanto dalle indicazioni quali letteralmente espresse (in base a criterio probabilistico) dai periti, quanto, piuttosto, dall'interpretazione e valutazione della Corte distrettuale di quelle stesse indicazioni, tali da indurre la Corte stessa ad utilizzare una più incisiva espressione lessicale idonea ad evocare il principio enunciato dalle Sezioni Unite. Secondo i giudici di appello, essendo 'assodato che trombolitici ed eparina comportano rischio di emorragie', la determinazione dell'emorragia, nel caso in esame, sarebbe causalmente da correlare, 'con sufficiente fondatezza', ai farmaci in questione 'dato il momento di insorgenza': così lasciando intendere - con lo specifico riferimento al 'momento di insorgenza' - che sarebbe stato individuato il preciso momento cronologico in cui era iniziato il fenomeno emorragico. Ebbene, anche in proposito ci si trova in presenza di una palese contraddittorietà, posto che i periti, come sopra ricordato, si erano espressi invece secondo un criterio probabilistico in relazione al momento genetico del fenomeno emorragico, la cui rilevanza è di intuitiva evidenza proprio con riferimento agli addebiti di natura omissiva contestati all'imputato; tema sul quale la difesa di quest'ultimo, con i motivi di appello, si era particolarmente e diffusamente soffermata, anche con il richiamo a specifici atti processuali ed a dati clinici. Dalla perizia in atti - cui è consentito a questa Corte accedere perché specificamente indicata con il ricorso, e tenuto conto della natura della doglianza dedotta - si rileva invero che: 1) a pag. 21 i periti, dopo aver completato la sintesi descrittiva della vicenda clinica, avevano evidenziato come risultasse 'nevralgico presentare l'interpretazione fisiopatologica di quanto conclamato a danno del signor B. nel periodo compreso tra l'avvio della degenza c/o Clinica ... ed il tardo pomeriggio del (omissis) ': così dimostrando, dunque, di ritenere di fondamentale importanza l'individuazione della 'catena fisiopatologica dispiegatasi a danno del signor B. nel lasso temporale di mirato interesse'; 2) ancora a pag. 21, i periti avevano sottolineato l'assenza di elementi tecnici 'perentoriamente dimostrativi di detta catena fisiopatologica', avvertendo che le loro argomentazioni avrebbero dovuto essere intese quali 'indicazioni probabilistiche'; 3) a pag. 24 - in riferimento ai rimedi che sarebbe stato possibile adottare ove fosse stata diagnosticata 'una modesta emorragia endocranica a mezzo TC' - i periti avevano poi utilizzato il termine 'probabilmente', ed al riguardo, con apposita nota a pie di pagina (nota 44), avevano ritenuto opportuno richiamare quanto già precisato 'in apertura della sezione di interpretazione fisiopatologica degli eventi occorsi a carico del signor B. ' (così si legge letteralmente), laddove era stato fatto esplicito riferimento, appunto, ad un criterio probabilistico. Dalla stessa perizia si rileva dunque che i periti non erano stati in grado di individuare con certezza (nel senso di 'alto o elevato grado di credibilità razionale' o 'probabilità logica', prossima alla certezza) la 'catena fisiopatologica' dagli stessi considerata elemento nevralgico.

Orbene, l'individuazione del momento iniziale dell'emorragia costituisce un elemento fattuale ancor più significativo ove si consideri che allorquando, nel pomeriggio del ..., si verificò la perdita di coscienza per il B. , questi era nel proprio domicilio, dopo aver lasciato in mattinata la clinica ... per sua volontà rifiutando la visita neurologica proposta dai sanitari. Sul punto la motivazione della sentenza impugnata mostra una evidente distonia rispetto ai principi enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità; ed invero, il punto fermo che le Sezioni Unite, con la decisione sopra richiamata, hanno inteso ribadire come fondamentale - e che peraltro ha rappresentato sempre, a prescindere dall'indirizzo interpretativo in precedenza di volta in volta seguito, il necessario presupposto fattuale di partenza, ai fini dell'accertamento della penale responsabilità del medico per colpa omissiva - è che, nella ricostruzione del nesso eziologico, non può assolutamente prescindersi dall'individuazione di tutti gli elementi concernenti la causa dell'evento: solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, è poi possibile analizzare la condotta (omissiva) colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l'evento lesivo sarebbe stato evitato 'al di là di ogni ragionevole dubbio' (nel rispetto della generale regola di giudizio, ispirata a criteri di civiltà giuridica, stabilita nell'art. 533, primo comma, del codice di rito).

L'accoglimento della censura relativa al nesso di causalità assorbe il quarto motivo di ricorso - concernente il diniego di un supplemento di perizia - nonché le doglianze aventi ad oggetto il trattamento sanzionatorio: per completezza argomentativa appare opportuno tuttavia evidenziare, a tale ultimo proposito, che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale nel respingere anche le richieste subordinate avanzate dalla difesa dell'imputato con i motivi di appello, già il primo giudice aveva concesso all'imputato le attenuanti generiche (con valutazione di prevalenza rispetto alle aggravanti), come peraltro risulta precisato nella parte descrittiva della stessa sentenza della Cotte d'Appello (pag. 1, nell'incipit dello 'Svolgimento di processo').

Alla stregua di tutte le suesposte considerazioni, l'impugnata sentenza deve essere annullata, con rinvio, per nuovo esame - se del caso, ed ove ritenuto necessario, anche previo un eventuale supplemento di perizia - alla Corte d'Appello di Milano, altra Sezione, che terrà conto dei principi di diritto e dei rilievi motivazionali di cui sopra, demandando alla stessa anche il regolamento delle spese tra le patti per il presente giudizio.

 

P.Q.M.

 
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Milano cui demanda anche il regolamento delle spese tra le parti per il presente giudizio.
Avv. Antonino Sugamele

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