Il fiume esonda e i proprietari dei fondi adiacenti hiedono i danni al Comune e alla Provincia. La Cassazione non può entrare nel merito della questione.
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 23 aprile - 28 maggio 2013, n. 13175
Presidente Rovelli – Relatore Cappabianca
Svolgimento del processo
Con citazione del 24.1.1991, A..A. (in proprio e quale erede di P..D. ) D.R. e Pa. , convennero davanti al Tribunale di Catanzaro, C.C. , A..L. , la Provincia di Catanzaro ed il Comune di Montepaone, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa dello straripamento delle acque del torrente (omissis) , avvenuto il (omissis).
Il tribunale adito, con sentenza 11.11.2003, rigettò le domande proposte nei confronti del C. e del L. , e dichiarò la propria incompetenza sulla domanda proposta nei confronti della Provincia e del Comune.
Con ricorso in riassunzione notificato il 14.3.1998, gli attori convennero dinanzi al Tribunale regionale delle acque pubbliche di Napoli la Provincia di Catanzaro ed il Comune di Montepaone, rinnovando la domanda risarcitoria.
Costituitisi, gli enti convenuti richiesero il rigetto della domanda, rilevando la ricorrenza del caso fortuito, poiché l'esondazione era stata determinata da un eccezionale evento meteorologico, e sostenendo che la responsabilità dei danni doveva, in ogni caso, ascriversi alla Regione, tenuta alla manutenzione del torrente.
Con sentenza 9.6.2008, il Tribunale regionale - esclusa la presenza di un evento meteorologico eccezionale - identificò la causa dell'esondazione nella mancata manutenzione dell'alveo e degli argini (che aveva comportato un accumulo di rifiuti, detriti e vegetazione che avevano bloccato il torrente all'altezza del ponte), cui era tenuta la Regione. Riscontrò, peraltro, che all'evento dannoso avevano concorso (aggravandone le conseguenze), anche la presenza di un piccolo ponte di proprietà della Provincia, a causa della sua non ottimale conformazione, e la presenza di una condotta per l'acqua potabile di proprietà del Comune, collocata sotto la sponda del ponte. Dichiarò, quindi, gli enti convenuti solidalmente responsabili dell'evento dannoso, ai sensi dell'art. 2055 c.c. e li condannò al pagamento, in solido, della somma di Euro 548.065,62, oltre interessi e spese di giudizio.
In esito alle impugnazioni del Comune e della Provincia, con la sentenza qui impugnata (depositata il 21.3.2011), il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche - esclusa la nullità del giudizio per mancata estensione del contraddittorio alla Regione Calabria, di cui negava il ruolo di litisconsorte necessario - assolse Comune e Provincia dalle pretese risarcitorie "per mancanza di prova sia del nesso di causalità tra il loro comportamento e l'evento dannoso sia comunque della presenza di un profilo colposo nel comportamento stesso".
Avverso la decisione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, i ricorrenti A..A. , Pa..Du. e G.N. (quale esercente la potestà genitoriale su G.V. e Vi. , eredi di R..D. , deceduta nelle more del giudizio] hanno proposto ricorso per cassazione in unico motivo.
La Provincia di Catanzaro ed il Comune di Montepaone hanno resistito con controricorsi ed illustrato le proprie ragioni anche con memoria.
Motivi delle decisione
I) - Nel ribaltare la decisione del Tribunale regionale in merito alla responsabilità di Provincia e Comune in merito alla verificazione dell'evento dannoso dedotto in controversia, l'impugnata decisione del Tribunale superiore delle Acque pubbliche riscontra in primo luogo - sulla base degli elementi acquisiti anche in rapporto a pregressi analoghi episodi, delle risultanze dell'esperita c.t.u. e delle cognizioni e valutazioni del proprio componente tecnico l'assoluta mancanza di prova circa l'eziologica riconducibilità dell'evento dannoso dedotto a fatti e situazioni ascrivibili alla Provincia di Catanzaro ed al Comune di Montepaone.
In proposito osserva, in particolare: "... non vi è prova che una diversa conformazione del ponte o un diverse posizionamento della condotta avrebbero impedito l'evento dannoso ovvero ne avrebbero ridotto le conseguenze... l'esondazione si sarebbe verificata ugualmente e con pari estensione anche senza la presenza del ponte e della condotta, in quanto essa e stata determinata esclusivamente, da un lato, dalla enorme quantità di materiale, vegetazione detriti e rifiuti che si erano accumulati nel letto del fiume, provocandone l'innalzamento e la riduzione della capacità di portata e, da un altro lato, dal cedimento degli argini dovuto alla loro precaria condizione ed al mancato rivestimento. Sia l'innalzamento dell'alveo del torrente, sia l'enorme accumulo di rifiuti e di materiale, sia il cedimento degli argini furono dovuti all'assoluta mancanza, per lungo tempo, di manutenzione dell'alveo e degli argini, il cui obbligo ricadeva soltanto in capo alla Regione Calabria. Non vi è prova, invece, che il ponte o la condotta abbiano concorso, sia pure in parte, a causare l'innalzamento dell'alveo o il cedimento degli argini ovvero ad aggravare le conseguenze dell'allagamento". Ciò anche in considerazione del fatto che "...dalla relazione del CTU (pag. 8) emerge che sempre nel 1988 si erano verificati, senza conseguenze, diversi altri eventi (almeno 17) con piogge e con portate maggiori di quelle del 21.9.1988, il che dimostra che la sezione libera di deflusso del ponte era sufficiente a fare passare la portata di 67,09 me/sec e che quindi sono state altre le cause che provocarono l'esondazione".
La decisione impugnata rileva, poi, l'assoluta carenza di prova circa la riscontrabilità di un qualche profilo di colpa nel comportamento degli enti resistenti.
In proposito osserva, in particolare: "... non è riscontrabile nessun difetto od errore nella progettazione ed esecuzione del ponte, che risulta realizzato in conformità alle norme tecniche vigenti all'epoca della costruzione... Del resto, sia la presenza di due campate anziché di una campata unica sia la pila centrale ed il basamento in cemento sia la direzione del ponte sono elementi tutti che non hanno alcuna influenza sul normale e regolare deflusso delle acque e che non possono essere stati fattori causali concorrenti dell'esondazione. D'altra parte, lo stesso c.t.u. ha accertato che le buone regole di tecnica costruttiva dell'epoca di costruzione del ponte non imponevano la costruzione di ponti a campata unica mentre risulta... che la previsione, sempre all'epoca di costruzione, di una campata unica sarebbe stata irrealizzabile perché avrebbe avuto costi proibitivi...". Rileva, inoltre, che - mentre "le norme e le regole tecniche vigenti all'epoca di costruzione non contenevano precise indicazioni sulla dimensione del franco idraulico" - tale dimensione, alla luce degli elementi acquisiti, si rivelava certamente adeguata alla data di costruzione del ponte, dovendo eventuali successive insufficienze piuttosto ascriversi all'innalzamento del letto del fiume causato dalla stratificazione negli anni di materiali e detriti per assenza di adeguata manutenzione e pulizia dell'alveo.
La decisione puntualizza, inoltre, che "le medesime considerazioni valgono anche a far ritenere mancante la prova di un comportamento colposo (avente efficacia causale dell'evento) da parte del Comune di Montepaone nella collocazione del tubo per l'acqua potabile sotto la sponda del ponte. Il Comune si e infatti limitato a far passare la condotta lungo il ponte, sicché, essendosi riconosciuto che l'altezza del ponte non ha avuto efficienza causale nella produzione dell'evento, la medesima conclusione deve valere per il tubo. D'altra parte, qualora fosse stata regolarmente fatta la manutenzione e non vi fosse state l'innalzamento del letto, la presenza della tubazione sarebbe stata del tutto irrilevante...".
II) - Tale essendo la motivazione della decisione impugnata, i ricorrenti deducono "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione nonché erronea impostazione logica della sentenza in relazione alla negata corresponsabilità del Comune di Montepaone e dell'Amministrazione Provinciale di Catanzaro nella causazione dell'evento dannoso fondato sull'asserita mancanza di prova sia con riferimento al nesso di causalità fra il loro comportamento e l'evento dannoso, e sia con riferimento all'insussistenza di un profilo colposo nel comportamento stesso risultando, invece, le stesse provate dalla documentazione probatoria in atti e dalle risultanze della relazione tecnica d'ufficio con riferimento all'art. 360, n. 5, c.p.c.".
La censura - che, evocando l'esito della decisione di primo grado e valorizzandone le argomentazioni, propugna una diversa lettura delle acquisite risultanze probatorie - va disattesa, giacché (mentre appare carente sul piano della specifica analisi critica delle ragioni poste a base della sentenza impugnata) si risolve nella richiesta, a questo giudice di legittimità, di un inammissibile sindacato in fatto.
Invero - a fronte dell'articolata motivazione, in base alla quale il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha dato conto del conseguito convincimento circa la mancanza di prova sia del nesso di causalità tra l'evento dannoso dedotto e fatti o atti ascrivibili a responsabilità della Provincia di Catanzaro o del Comune di Montepaone sia comunque della presenza di un profilo colposo nel comportamento di detti enti - con la proposta doglianza i ricorrenti, pur apparentemente prospettando vizi motivazionali, tendono, in realtà, a rimettere in discussione, contrapponendovene uno difforme, l'apprezzamento in fatto del giudice di merito; apprezzamento che, in quanto basato sull'analitica disamina degli elementi di valutazione disponibili ed espresso con motivazione immune da lacune ed in sé coerente, si sottrae al giudizio di legittimità.
Deve, infatti, considerarsi che, nell'ambito del giudizio di legittimità, non è conferito il potere di riesaminare e rivalutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, restando a questo riservate l'individuazione delle fonti del proprio convincimento e, all'uopo, la valutazione delle prove, il controllo della relativa attendibilità e concludenza nonché la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. Cass. 6288/11, 4766/06, 22901/05, 15693/04, 11936/03).
III)- Alla stregua delle considerazioni che precedono, s'impone il rigetto del ricorso.
Per la soccombenza, i ricorrenti vanno condannati alla refusione, in favore di entrambi gli enti resistenti, delle spese del giudizio, liquidate, in dispositivo, in applicazione dei criteri stabiliti dal d.m. 140/2012.
P.Q.M.
la Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti alla refusione delle spese del giudizio, liquidate, in favore di ciascun resistente, in Euro 11.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori di legge.
30-05-2013 13:50
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