Il convivente viola gli obblighi familiari? Deve risarcire i danni al partner.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 8 novembre 2012 – 20 giugno 2013, n. 15481
Presidente Luccioli – Relatore San Giorgio
Svolgimento del processo
1.- Con ordinanza emessa in data 9 aprile 2009 il giudice istruttore del Tribunale di Treviso rigettò l'istanza dell'avvocato F.P. di liquidazione del compenso per l'attività professionale dallo stesso prestata quale difensore di M.L. , ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella causa n. 3877/2008, promossa nei confronti di D.M.G. , ed avente ad oggetto il risarcimento dei danni per violazione degli obblighi familiari, poi dichiarata estinta a seguito di rinuncia agli atti.
Il predetto g.i. rilevò che la M. non aveva la qualità di coniuge ed aveva agito a seguito della cessazione di una convivenza more uxorio, con la conseguenza che la pretesa fatta valere era manifestamente infondata ai fini dell'applicazione dell'art. 126 d.p.r. n. 115 del 2002, sicché sussistevano i presupposti per la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, e, comunque, non era apprezzabile l'attività svolta dal difensore ai fini della liquidazione a carico dello Stato nel rispetto dei criteri posti dall'art. 82 del d.p.r. n. 115 del 2002.
2. - Con ordinanza del Presidente del Tribunale di Treviso del 18 giugno 2009, fu rigettato il ricorso proposto dal F. ai sensi degli artt. 84 e 170 del D.P.R. n. 115 del 2002 nei confronti dell'ordinanza in data 9 aprile 2009, di cui venne rilevata la correttezza, evidenziandosi la insussistenza sia normativa che giurisprudenziale della ipotesi di violazione degli obblighi familiari con riguardo a persone non coniugate ma conviventi more uxorio.
3. - Il ricorso avverso tale ordinanza si fonda su due motivi, illustrati anche da successiva memoria. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.
Motivi della decisione
1. - Deve, preliminarmente, essere esaminata la eccezione, sollevata dall'Agenzia delle Entrate, relativa al proprio difetto di legittimazione passiva, spettante, secondo la controricorrente, al Ministero dell'Economia e delle Finanze ai sensi dell'art. 99 del d.p.r. n. 115 del 2002.
2. - L'eccezione non merita accoglimento.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 8516 del 2012, emessa a composizione di un contrasto giurisprudenziale sul punto, hanno chiarito che la legittimazione passiva nelle controversie aventi ad oggetto la liquidazione di compensi ed onorari suscettibili di restare a carico dello Stato relativi a giudizi civili e penali spetta al Ministero della Giustizia (e non a quello dell'Economia e delle Finanze, come erroneamente affermato dalla controricorrente).
Tuttavia, nella specie, il Collegio ritiene che sulla questione della legittimazione passiva della Agenzia delle Entrate, parte nel giudizio di merito originato dalla richiesta dell'avv. F. di liquidazione delle spese sostenute per l'attività professionale svolta quale difensore della M. , ammessa al patrocinio a spese dello Stato, si sia formato un giudicato implicito, non risultando dagli atti del giudizio alcuna contestazione sul punto da parte dell'Agenzia ed apparendo al riguardo ellittico il controricorso.
4. - Con il primo motivo del ricorso, si lamenta violazione degli artt. 126 del d.p.r. n. 115 del 2002, 2043 cod.civ. e 2, 3 e 32 Cost. Avrebbe errato il Presidente del Tribunale di Treviso nel non ravvisare nella fattispecie de qua - caratterizzata dall'improvviso allontanamento di D.M.D. dall'abitazione nella quale viveva con la M. ed il bambino nato dalla loro unione per intraprendere una nuova relazione sentimentale disattendendo la promessa di matrimonio fatta alla stessa M. , e privando costei ed il bambino di un anno della necessaria assistenza morale e materiale, oltre a privare la donna, nel corso della convivenza, del diritto alla sessualità - la lesione di un interesse in capo alla M. giuridicamente rilevante, e, pertanto, suscettibile di ristoro in forza della clausola generale di cui all'art. 2043 cod.civ. Ciò sulla base dei principi elaborati dalla giurisprudenza di merito, sempre più incline a ravvisare una responsabilità risarcitoria per la violazione degli obblighi familiari, sussistenti anche nell'ambito della convivenza more uxorio in quanto attinente a diritti fondamentali della persona.
La illustrazione della censura si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell'art. 366-bis cod.proc.civ., applicabile nella specie ratione temporis: “Posto che la lesione di un interesse costituzionalmente rilevante è suscettibile di ristoro in forza della clausola generale ex art. 2043 cod.civ. sulla base dei principi elaborati in materia di responsabilità aquiliana, dica la Suprema Corte se il diritto all'assistenza morale e materiale, il diritto alla fedeltà e alla sessualità e i doveri derivanti dal matrimonio quali diritti fondamentali della persona e, in quanto tali, posti al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, si riflettono sui rapporti tra le parti anche nella fase precedente il matrimonio”.
5. - Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 3 e 24 Cost. e dell'art. 126 del d.p.r. n. 115 del 2002. Sarebbe illegittimo perché in contrasto con l'art. 126 del d.p.r. n. 115 del 2002 il provvedimento di revoca dell'ammissione della M. al patrocinio a spese dello Stato, che pregiudicherebbe il diritto della donna ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti fondandosi sulla presunta insussistenza degli obblighi familiari nella fase precedente l'assunzione del vincolo matrimoniale.
La illustrazione della doglianza si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “Posto che la lesione di un interesse costituzionalmente rilevante è suscettibile di ristoro in forza della clausola generale ex art. 2043 cod.civ. sulla base dei principi elaborati in materia di responsabilità aquiliana, dica la Suprema Corte se la revoca del decreto di ammissione al gratuito patrocinio con un giudizio prognostico ex ante che non tenga conto dell'orientamento in materia di risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., sia contraria all'art. 24 della Costituzione”.
6. - I motivi, che, avuto riguardo alla stretta connessione logico-giuridica che li avvince, possono essere trattati congiuntamente, sono fondati nei termini che seguono.
6.1. - La problematica relativa alla risarcibilità della lesione di diritti fondamentali della persona è stata, com'è noto, oggetto di ampia elaborazione nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, nel solco tracciato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 1986, che, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c. - sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 32 Cost, sotto il profilo che esso prevederebbe la risarcibilità del danno per lesione del diritto alla salute solo in conseguenza di un reato - ebbe ad affermare che la norma scrutinata riguarda soltanto i danni morali soggettivi, mentre il pregiudizio ai diritti fondamentali della persona, come il decoro, il prestigio, la dignità e la salute, deve trovare indefettibile ristoro, in applicazione dell'art. 2043 c.c., al di là dei limiti previsti per il risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti da reato.
Nei due fondamentali arresti del 2003 (sentt. n. 8827 e n. 8828) si è espresso l'orientamento di questa Corte, secondo il quale la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ. va tendenzialmente riguardata non già come occasione di incremento generalizzato delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione di risarcimento degli stessi pregiudizi), ma soprattutto come mezzo per colmare le lacune nella tutela risarcitoria della persona, che va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, quest'ultimo comprensivo del danno biologico in senso stretto (configurabile solo quando vi sia una lesione dell'integrità psico - fisica secondo i canoni fissati dalla scienza medica), del danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso (il cui ambito resta esclusivamente quello proprio della mera sofferenza psichica e del patema d'animo) nonché dei pregiudizi, diversi ed ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse di rango costituzionale relativo alla persona. In tale prospettiva, nell'ambito dell'art. 2059 c.c. trovano collocazione e protezione tutte quelle situazioni soggettive relative a perdite non patrimoniali subite dalla persona, per fatti illeciti determinanti un danno ingiusto e per la lesione di valori costituzionalmente protetti o specificamente tutelati da leggi speciali: ciò vale a dire che il rinvio recettizio dell'art. 2059 c.c. ai casi determinati dalla legge non riguarda le sole ipotesi del danno morale soggettivo derivante da reato, ma vale ad assicurare la tutela anche alla lesione di diritti fondamentali della persona, atteso che in forza del rilievo costituzionale di tali diritti il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla loro lesione non è soggetto alla riserva di legge posta dalla norma richiamata.
Sulla base di tale impostazione, che ha ricevuto l'avallo della Corte Costituzionale con la sentenza n. 233 del 2003, e che è stata seguita dalle successive pronunce di questa Corte (v. S.U., sent. n. 26972 del 2008, e le successive Sez. Lav., sent. n. 12593 del 2010, Sez. 3, sentt. n. 450 del 2001, n. 543 del 2012), il danno non patrimoniale è risarcibile non solo nei casi individuati ex ante dalla legge ordinaria, ma anche in quelli, da selezionare caso per caso ad opera del giudice, di lesione di valori della persona costituzionalmente protetti, non potendo il legislatore ordinario rifiutare, per la forza implicita nell'inviolabilità di detti diritti, la riparazione mediante indennizzo, che costituisce la forma minima ed essenziale di tutela. E, dunque, assume rilievo essenziale, non solo in relazione alla risarcibilità del danno non patrimoniale, ma anche, e prima ancora, ai fini della esperibilità dell'azione di responsabilità, l'indagine se il diritto oggetto di lesione sia riconducibile a quelli meritevoli di tutela secondo il parametro costituzionale.
6.2. - Come già sottolineato nella citata sentenza di questa Corte n. 9801 del 2005 - che ha ampliato le frontiere della responsabilità civile nelle relazioni familiari -, il principio di indefettibilità della tutela risarcitoria trova spazio applicativo anche all'interno dell'istituto familiare, pur in presenza di una specifica disciplina dello stesso, configurandosi la famiglia come sede di autorealizzazione e di crescita, segnata dal reciproco rispetto ed immune da ogni distinzione di ruoli, nell'ambito della quale i singoli componenti conservano le loro essenziali connotazioni e ricevono riconoscimento e tutela, prima ancora che come coniugi, come persone, in adesione al disposto dell'art. 2 Cost., che, nel riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, delinea un sistema pluralistico ispirato al rispetto di tutte le aggregazioni sociali nelle quali la personalità di ogni individuo si esprime e si sviluppa (v., sul punto, anche la successiva Cass., sent. n. 18853 del 2011).
E pertanto il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia, così come da parte del terzo, costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo chiaramente ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i loro titolari si pongano o meno all'interno di un contesto familiare. La richiamata sentenza ha altresì precisato che non vengono qui in rilievo i comportamenti di minima efficacia lesiva, suscettibili di trovare composizione all'interno della famiglia in forza di quello spirito di comprensione e tolleranza che è parte del dovere di reciproca assistenza, ma unicamente quelle condotte che per la loro intrinseca gravità si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona. Deve pertanto escludersi che la mera violazione dei doveri matrimoniali o anche la pronuncia di addebito della separazione possano di per sé ed automaticamente integrare una responsabilità risarcitoria; così come deve affermarsi la necessità che sia accertato in giudizio il danno patrimoniale e non patrimoniale subito per effetto della lesione, nonché il nesso eziologico tra il fatto aggressivo ed il danno.
6.3. - L'intensità dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilità ed indisponibilità, non può non riflettersi - come pure chiarito dalla sentenza n. 9801 del 2005 - sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, imponendo loro, pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva della costituzione di tale vincolo, un obbligo di lealtà, di correttezza e di solidarietà.
6.4. - La violazione dei diritti fondamentali della persona - deve ora aggiungersi, alla stregua delle argomentazioni sin qui svolte - è, altresì, configurabile, alle condizioni descritte, all'interno di una unione di fatto, che abbia, beninteso, caratteristiche di serietà e stabilità, avuto riguardo alla irrinunciabilità del nucleo essenziale di tali diritti, riconosciuti, ai sensi dell'art. 2 Cost., in tutte le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell'individuo (v., in tal senso, Cass., sent. n. 4184 del 2012).
6.4.1. - Del resto, ferma restando la ovvia diversità dei rapporti personali e patrimoniali nascenti dalla convivenza di fatto rispetto a quelli originati dal matrimonio, è noto che la legislazione si è andata progressivamente evolvendo verso un sempre più ampio riconoscimento, in specifici settori, della rilevanza della famiglia di fatto. Si pensi, a titolo esemplificativo, oltre che al campo della filiazione, in cui la legge 10 dicembre 2012, n. 219 ha eliminato ogni residua discriminazione tra figli "legittimi" e "naturali", agli ordini di protezione contro gli abusi familiari, estesi al convivente dalla legge 4 aprile 2001, n. 154, che ha introdotto nel codice civile gli artt. 342-bis e 342-ter; al requisito della stabilità della coppia di adottanti, soddisfatto, ai sensi dell'art. 6, comma 4, della legge 4 maggio 1983, n. 184, come sostituito dall'art. 7 della legge 28 marzo 2001, n. 149, anche quando costoro abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni; alla possibilità, prevista dall'art. 408 cod.civ., novellato dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6, che la scelta dell'amministratore di sostegno cada sulla persona stabilmente convivente con il beneficiario dell'amministrazione; ed ancora, alla possibilità, a norma dell'art. 417 cod.civ., come novellato dall'art. 5 della citata legge n. 6 del 2004, che l'interdizione e l'inabilitazione siano promosse dalla persona stabilmente convivente; alla accessibilità alle tecniche di fecondazione assistita da parte delle coppie di fatto, ai sensi dell'art. 5 della legge 19 febbraio 2004, n. 40; all'applicabilità della legge 8 febbraio 2006, n. 54, sull'affidamento condiviso, anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati; alla esclusione dei conviventi, in quanto non qualificabili come terzi, dai benefici derivanti dall'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli e natanti in caso di danni alle cose.
Si tratta di segnali di una crescente attenzione del legislatore verso fenomeni di consorzio solidaristico e modelli familiari in cui per libera scelta si è escluso il vincolo, e, con esso, le conseguenze legali, del matrimonio.
6.4.2. Siffatto percorso è stato in qualche misura indicato, e sollecitato, dalla giurisprudenza costituzionale, la quale, già nella sentenza n. 237 del 1986, ebbe ad affermare che “un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non appare - anche a sommaria indagine -costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche”.
Tale convincimento ha originato la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui non prevedeva tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio (sent. n. 404 del 1988). L'affermazione secondo la quale per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico, si trova poi ribadita nella sentenza n. 138 del 2010.
6.4.3. - Analoghe considerazioni sono alla base delle pronunce di questa Corte che hanno, tra l'altro, riconosciuto il diritto del convivente di soggetto deceduto a causa di un terzo al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale (v. sent. n. 12278 del 2011, n. 23725 del 2008), e attribuito rilievo, ai fini della cessazione (rectius: quiescenza) del diritto all'assegno di mantenimento o divorzile, ovvero ai fini della determinazione del relativo importo, alla instaurazione, da parte del coniuge (o ex coniuge) beneficiario dello stesso, di una famiglia, ancorché di fatto (v. sentt. n. 3923 del 2012, n. 17195 del 2011).
6.4.4. - Né può, infine, sottacersi l'interpretazione dell'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, il quale tutela il diritto alla vita familiare, fornita dalla Corte EDU, che ha chiarito che la nozione di famiglia cui fa riferimento tale disposizione non è limitata alle relazioni basate sul matrimonio, e può comprendere altri legami familiari di fatto, se le parti convivono fuori dal vincolo di coniugio (v., per tutte, sentenza 24 giugno 2010, Prima Sezione, caso Schalk e Kopft contro Austria).
6.5. - È alla luce del richiamato quadro normativo e giurisprudenziale che va apprezzata la correttezza giuridica e motivazionale del provvedimento impugnato, il quale ha ritenuto manifestamente infondata, ai fini dell'applicazione dell'art. 126 del d.p.r. n. 115 del 2002 in tema di patrocinio legale dei non abbienti, la richiesta della M. - in relazione alla quale costei si era valsa dell'assistenza legale dell'avv. F. - di conseguire il risarcimento dei danni causati dalla violazione degli obblighi familiari da parte del suo convivente.
Tale giudizio di manifesta infondatezza, con il conseguente effetto della ritenuta ricorrenza dei presupposti per la revoca dell'ammissione della M. al patrocinio a spese dello Stato, si è fondato sulla “insussistenza sia normativa che giurisprudenziale dell'ipotesi di violazione degli obblighi familiari in ipotesi di persone unite da solo vincolo di convivenza more uxorio”: affermazione, codesta, compiuta in assenza di ogni verifica, evidentemente necessaria, per quanto fin qui evidenziato, circa la sussumibilità del diritto di cui si denunciava la lesione nella categoria dei diritti fondamentali della persona, a prescindere dal tipo di unione al cui interno detta lesione si sarebbe verificata.
7. - Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto. Va, pertanto, cassato il provvedimento impugnato e la causa va rinviata ad altro giudice - che viene designato nel Presidente del Tribunale di Treviso in persona di diverso giudicante, cui viene demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio - che riesaminerà la questione, sollevata dall'avv. F. , della revoca del provvedimento di ammissione della M. al patrocinio a spese dello Stato, alla stregua dei rilievi svolti sub 6.1.-6.5.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, al Presidente del Tribunale di Treviso in persona di diverso giudicante.
22-06-2013 11:34
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