Il Comandante non può aprire la corrispondenza indirizzata agli agenti e non può, quindi, apprenderne il contenuto. Assolto penalmente risponderà civilmente.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 giugno – 11 settembre 2013, n. 37317
Presidente Ferrua – Relatore Settembre
Ritenuto in fatto
1. La Corte d'appello di Palermo, con sentenza del 30-1-2012, in riforma di quella emessa dal Tribunale di Termini Imerese, ha assolto M.S. dal reato di cui all'art. 616 cod. pen. (violazione di corrispondenza) perché il fatto non sussiste.
La vicenda processuale riguarda l'attività posta in essere dal comandante della Polizia Municipale di (omissis), che aveva proceduto all'apertura di buste indirizzate a membri della polizia municipale e aveva appreso il contenuto delle missive.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell'interesse delle parti civili R.A. , P.F.P. e T.G. , l'avv. Salvatore Sansone, il quale, agli effetti della responsabilità civile, censura la sentenza per vizio di motivazione e ne chiede l'annullamento. Deduce che il giudice d'appello si è limitato a ritenere, peraltro errando, la natura non privata della corrispondenza nonostante sulle buste fosse chiaramente apposta il nominativo del destinatario e la dicitura "RISERVATA". Non ha tenuto conto del fatto che il M. era stato sollecitato e poi diffidato dal Sindaco del comune e dal Segretario generale dello stesso a rispettare la "personalità" della corrispondenza indirizzata agli agenti del corpo di Polizia Municipale.
Considerato in diritto
La sentenza impugnata si fonda su un'errata lettura dei dati normativi di riferimento e va pertanto annullata.
Emerge pacificamente dalla sentenza suddetta che l'imputato, responsabile di un settore della Polizia Municipale di (omissis), dispose l'apertura e la protocollazione di tutte le buste pervenute al corpo suddetto, anche di quelle indirizzate agli agenti della Polizia Municipale ed anche di quelle recanti la dicitura "RISERVATA PERSONALE". Ad avviso del giudice d'appello questa prassi, sebbene contestata ab initio dai destinatari delle missive, è da ritenere corretta, in quanto le missive erano contenute in buste intestate al Comune ed erano annotate sul protocollo in uscita dello stesso Ente. A fondamento del discorso giustificativo la Corte d'appello di Palermo richiama il disposto dell'art. 53, comma 5, del Dpr 445/2000, il quale prevede "l'obbligo per tutte le amministrazioni di procedere alla protocollazione di tutta la corrispondenza ricevuta e spedita dall'amministrazione demandando a quest'ultima il compito di fissare i criteri e le modalità ed i termini della suddetta attività di protocollazione".
In realtà l'art. 53 cit. si limita a stabilire che "sono oggetto di registrazione obbligatoria i documenti ricevuti e spediti dall'amministrazione e tutti i documenti informatici". Innanzitutto, va distinta la "registrazione" dalla presa di cognizione del contenuto del documento, che non si deve necessariamente accompagnare alla prima delle operazioni suddette, essendone logicamente distinta. Poi, la norma va coordinata con le altre diposizioni di carattere civile e penale che disciplinano la materia, le quali esigono che la corrispondenza privata, quando sia inequivocabilmente tale, non tollera interferenze da parte di terzi, in quanto relativa a beni fondamentali della persona, che sono oggetto di tutela costituzionale: la libertà di comunicazione e il diritto alla riservatezza. Tali diritti non vengono meno per il fatto che il titolare sia membro di una P.A., né l'inserimento in un ufficio amministrativo comporta l'affievolimento della tutela, per le necessità di "registrazione" degli atti, giacché tale operazione può senz'altro attuarsi nel rispetto delle prerogative dei singoli che di essa fanno parte, mediante l'attuazione di forme di protocollazione che salvaguardino la segretezza della corrispondenza.
La necessità di tener conto e rispettare i diritti del personale amministrativo comporta, pertanto, che la corrispondenza indirizzata all'Ente va tenuta distinta da quella indirizzata alla persona e, allorché questa venga in considerazione non come membro dell'apparato amministrativo, ma uti singuli, di assicurargli la conoscenza esclusiva del contenuto delle missive a lui dirette. Nel caso di specie non è contestato che la corrispondenza fosse indirizzata alle parti civili, non quali membri della Polizia Municipale, ma come persone private, e che tale caratteristica fosse chiaramente desumibile dai segni impressi dal mittente sulla corrispondenza, che vi aveva apposto la dicitura sopra specificata. Tanto basta perché nessun altro, al di fuori dei destinatari, fosse abilitato ad apprenderne il contenuto, perché la natura della corrispondenza dipende dalla volontà del mittente, che, come è libero di affidare il suo pensiero al mezzo di comunicazione in discussione, è libero di determinarne il regime di circolazione.
Pertanto, l'apertura delle buste suddette da parte di un soggetto diverso dal destinatario, attuata nella consapevolezza del carattere privato della corrispondenza, integra la condotta descritta dalla norma contestata. La Corte d'appello di Palermo non si è attenuta a tale principio, per cui la sentenza va annullata agli effetti civili e disposto il rinvio al giudice competente in sede civile.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello.
13-09-2013 16:18
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