I terroristi di Al Qaeda di passaggio in Italia. Integrato anche nel nostro territorio il delitto di terrorismo se la formazione di un sodalizio, connotato da strutture organizzative “cellulari” o “a rete”, è in grado di operare contemporaneamente in più paesi, anche in tempi diversi e con contatti fisici, telefonici ovvero informatici anche discontinui o sporadici tra i vari gruppi in rete, che realizzi anche una delle condotte di supporto funzionale all’attività terroristica di organizzazioni riconosciute.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 28 novembre - 18 dicembre 2013, n. 51127
Presidente Petti – Relatore Casucci
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 3 luglio 2012, la 1 Corte di Assise di Appello di Bari, in riforma della sentenza della Corte di Assise in sede appellata da A.B. e G.R.M.F. , assolveva gli imputati dal reato di cui all'art. 270-bis cod. pen. (promozione e organizzazione assieme ad altri di associazione criminale costituente articolazione-rete di sostegno logistica dell'organizzazione criminale denominata Al Qaeda) per non aver commesso il fatto e ne ordinava l'immediata liberazione se non detenuti per altra causa. La Corte territoriale.
1- rammentava che gli imputati erano stati tratti in arresto (a seguito di verifica su segnalazione della banca-dati internazionale da parte della Polizia belga) al momento dello sbarco da traghetto proveniente dalla Grecia, a bordo di camper dotato di doppio fondo nel quale erano nascosti cinque extra-comunitari e che al momento dell'ingresso in carcere depositavano sei pen-drive (il cui contenuto era definito dagli inquirenti "una biblioteca per quanto riguarda la formazione dei mujaidin..."; in particolare si dava rilievo a due documenti costituiti dal testamento di un martire - H.B. - e "idea manifesto" di G. su quello che secondo lui vuoi dire mujaidin);
2- riportava in sintesi gli elementi probatori posti a fondamento della sentenza di condanna di primo grado che, affermata la sussistenza della giurisdizione italiana previa individuazione della frazione di condotta commessa nello Stato (il favoreggiamento della immigrazione clandestina che mascherava il reclutamento di mujaidin, priva di rilievo essendo la sentenza, ormai definitiva, di assoluzione di G. nel separato procedimento a carico dei due per il reato di cui all'art. 12 D.Lgs. n. 286/1998 e succ. mod.), aveva valorizzato il significato, in senso accusatorio, da attribuire alla documentazione di provenienza estera acquisita tramite rogatoria internazionale (che convinceva che G. - quale creatore del sito XXXXXXXX chiuso e poi sostituito dal sito XXXXXX di cui era moderatore- era assertore e predicatore della necessità di "condurre la guerra santa" e che A. , imam della moschea Assabate di Bruxelles era anche lui predicatore dell'ideologia della jihad globale) nonché alle conversazioni oggetto di intercettazione ambientale in carcere; 3- procedeva a nuova considerazione del materiale probatorio, sulla base dei rilievi difensivi mossi con l'appello e (confermata la giurisdizione dello Stato; esclusa la necessità di procedere a nuova perizia per la traduzione delle conversazioni oggetto di intercettazione ambientale in carcere; osservato, sul piano interpretativo, che la mera condivisione della ideologia islamista radicale non era idonea a configurare il reato associativo ex art. 270-bis cod. pen.) rilevava che l'assunto dei primi giudici, secondo i quali l'aver favorito l'ingresso in Italia di cinque cittadini extracomunitari era dimostrativo di attività di reclutamento di kamikaze, non poteva essere condiviso, perché non poteva prescindersi dalle conclusioni cui era pervenuta la sentenza con la quale A. era stato condannato e G. era stato assolto per non aver commesso il fatto in ordine al reato di favoreggiamento di immigrazione clandestina, sentenza che in fatto aveva accertato che A. per fini di lucro (per come riferito dagli extracomunitari e riscontrato dal rinvenimento di danaro) aveva trasportato in Italia, nascosti nel camper, i detti extracomunitari, fine di lucro che strideva in modo insanabile con l'ipotizzata finalità di terrorismo (anche perché appariva inverosimile che si ingaggiassero a tale scopo persone dedite alla criminalità comune, quale l'Ab. ). Le conversazioni intercettate, per larga parte incomprensibili, dimostravano solo l'atteggiamento di favore verso posizioni di radicalismo, diffuse nel mondo islamico, e il riferimento ad attentati in varie zone d' Europa non integrava progetti concreti.
Il contenuto delle pen-drive, dimostrativo della condivisione ideologica radicale islamica, era irrilevante ai fini del reato di cui all'art. 270-bis, al pari della documentazione acquisita per rogatoria (anche a voler superare la contestazione difensiva in ordine alla sua utilizzabilità). Conclusivamente gli elementi valorizzati dalla sentenza di primo grado non fornivano prova della commissione in territorio nazionale da parte degli imputati di attività delittuosa riconducibile alla previsione di cui all'art. 270-bis cod. pen..
Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso il Procuratore generale della Repubblica, che ne ha chiesto l'annullamento per erronea applicazione della legge penale e per manifesta illogicità della motivazione per avere ritenuto che il delitto associativo de quo necessiti di un'estrinsecazione, di un "passaggio all'azione" ed essere operativa sul territorio nazionale, senza tenere conto che le strategie di contrasto impongono una risposta non già ristretta ai confini nazionali ma una risposta globale capace di coinvolgere la comunità internazionale. Alla stregua dei fatti notori costituiti dagli eventi stragisti del terrorismo su base fondamentalista-ideologica-religiosa, deve ritenersi sussistente il delitto quando l'incriminazione è tesa a proteggere l'ordinamento civile e democratico non solo interno ma anche internazionale. Gli imputati, mentre realizzavano il reato fine di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, costituivano una micro cellula raccordata alla cellula madre con sede in Belgio. Lo sbarco nel porto di Bari della "biblioteca mediatica dell'integralismo islamico" è "il passaggio all'azione" e il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina (manifestazione esterna dell'associazione) non può valere come archetipo assolutorio, con A. che assolve G. , avendolo indicato come ignaro della sua autonoma iniziativa di trasportare i "clandestini". Il giudicato per il reato-fine non può comportare preclusione ex art. 649 cod. proc. pen. ad autonoma valutazione del medesimo fatto storico in riferimento al diverso reato in esame.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato per la parte in cui denuncia errore di diritto in relazione alla parte in cui la sentenza impugnata ha affermato che l'associazione con finalità di terrorismo internazionale deve essere operativa nel territorio dello Stato, il cui intervento punitivo non è quindi giustificato allorché non risulti commessa attività alcuna posta in essere nel territorio nazionale.
Sotto questo profilo la sentenza impugnata è in linea sia con i canoni interpretativi condivisi sia con l'impostazione dei primi giudici.
Va ribadito che integra il delitto di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale la formazione di un sodalizio, connotato da strutture organizzative "cellulari" o "a rete", in grado di operare contemporaneamente in più Paesi, anche in tempi diversi e con contatti fisici, telefonici ovvero informatici anche discontinui o sporadici tra i vari gruppi in rete, che realizzi anche una delle condotte di supporto funzionale all'attività terroristica di organizzazioni riconosciute ed operanti come tali, quali quelle volte al proselitismo, alla diffusione di documenti di propaganda, all'assistenza agli associati, al finanziamento, alla predisposizione o acquisizione di armi o di documenti falsi, all'arruolamento, all'addestramento, (cfr. Cass. Sez. 6, 12.7.2012 n. 46308 in fattispecie in cui è stata ritenuta sussistente la prova dell'operatività di una cellula e della sua funzionalità al perseguimento della finalità di terrorismo internazionale sulla base dell'attività di indottrinamento, reclutamento e addestramento al martirio di nuovi adepti, da inviare all'occorrenza nelle zone teatro di guerra, e della raccolta di denaro destinato al sostegno economico dei combattenti del "Jihad" all'estero). Non è necessaria la realizzazione dei reati oggetto del programma criminoso, ma occorre l'esistenza sia di un programma, attuale e concreto, di atti di violenza a fini di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, sia di una struttura organizzativa stabile e permanente che, per quanto rudimentale, presenti un grado di effettività tale da rendere possibile l'attuazione di quel programma. (Cfr. Cass. Sez. 6, 8.5.2009 n. 25863 in fattispecie relativa alla costituzione di un'associazione terroristica operante per via telematica su tutto il territorio nazionale).
Fermi questi principi si osserva che l'elemento probatorio significativo, in ordine al quale la Corte di Assise di appello è andata di contrario avviso rispetto a quella di primo grado, è rappresentato dall'accertata introduzione nel territorio nazionale dei cinque cittadini extracomunitari nascosti in un'intercapedine del camper condotto da A. e con a bordo G. . Per questo profilo il P.G. ricorrente coglie l'errore in diritto della sentenza impugnata, per la parte in cui ha affermato che l'assoluzione di G. e la condanna di A. per il reato di favoreggiamento all'immigrazione clandestina (a scopo di lucro) precluderebbero ex art. 649 cod. proc. pen. una diversa valutazione.
Va ribadito che la preclusione di cui all'art. 649 cod. proc. pen. non può essere invocata qualora il fatto, in relazione al quale sia già intervenuta una pronuncia irrevocabile, configuri un'ipotesi di concorso formale di reati, in quanto la condotta, già definitivamente valutata in un precedente giudizio penale, può essere riconsiderata come elemento di fatto e inquadrata, con valutazione diversa o anche alternativa, in una più ampia fattispecie incriminatrice. (cfr. Cass. Sez. 6, 9.10.2007-10.1.2008 n. 1157 che ha ritenuto che l'assoluzione con sentenza definitiva del trasportatore di un corriere di droga dal concorso nel reato di detenzione di stupefacenti per fini di spaccio, non preclude la possibilità di riconsiderare la medesima condotta - ossia, l'attività di trasporto di corrieri - come penalmente rilevante nell'ambito della fattispecie di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti). Ciò perché il principio del "ne bis in idem" impedisce al giudice di procedere contro la stessa persona per il medesimo fatto su cui si è formato il giudicato, ma non di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo in riferimento a diverso reato, dovendo la vicenda criminosa essere valutata alla luce di tutte le sue implicazioni penali (Cass. Sez. 5, 14.10.2009-29.4.2010 n. 16556).
La sentenza impugnata, in conseguenza della erronea affermazione in diritto, ha ritenuto di doversi adeguare alla valutazione del dato fattuale della Corte di appello di Bari nel diverso procedimento nel quale gli odierni imputati erano chiamati a rispondere del solo delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, sia per la posizione di G. (ritenuto estraneo) sia per quella di A. (ritenuto colpevole, ma con individuazione del movente della sua azione nella finalità di lucro, finalità ritenuta in contrasto insanabile con quella ipotizzata di terrorismo). In tal modo ha finito con l'aderire acriticamente, in ragione di un ritenuto (ma insussistente) obbligo nascente dal giudicato, alla valutazione di merito formulata nel diverso procedimento, discostandosi da quella della Corte di Assise di primo grado e così sottraendosi all'obbligo di motivare, in ossequio al consolidato e condiviso principio di diritto, secondo il quale il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Cass. S.U. 12.7.2005 n. 33748; Cass. Sez. 4, 7.7.08 n. 37024; Cass. Sez. 6, 7.04.2011 n. 26810).
La Corte di primo grado aveva innanzi tutto evidenziato l'erroneità della ricostruzione effettuata dalla Corte di appello nel diverso procedimento, per la parte in cui aveva ritenuto G. estraneo al contatto (durante la traversata in nave) con i cinque extracomunitari (i quali avevano riferito di aver trattato e di aver pagato due persone con caratteristiche somatiche arabe) sul presupposto che si fosse trattato di A. e di suo figlio, presupposto errato perché il figlio che accompagnava A. nel viaggio aveva sei anni e non sedici (cfr. sentenza di primo grado, pag. 130 nota n. 259). Aveva altresì evidenziato (cfr. nota e pagina già citate) che la versione di A. (finalizzata a scagionare G. ) era mendace, perché i contatti per introdurre illegalmente persone in Italia risalivano ad epoca anteriore alla partenza degli imputati per la Siria. Tale convincimento la Corte di Assise di primo grado lo ha ribadito più volte, con la specificazione ulteriore che l'unico degli extracomunitari munito di documento di riconoscimento (Al.Ah. ) corrispondeva alla persona che dalle indagini effettuate dalla polizia belga risultava essere lo scopo vero del viaggio in Siria (cfr. pagg. 107-108, che riportano le dichiarazioni del teste Ga. ; nota n. 456 in calce alle pagg. 213-214). Del resto la stessa sentenza oggetto di ricorso, nella parte narrativa (pagg. 5-6), da conto non solo di tali emergenze probatorie risultanti dalle indagini della polizia belga (includenti intercettazioni di registrazioni telefoniche), ma anche degli accertamenti effettuati dagli ufficiali italiani di polizia giudiziaria, in particolare del rinvenimento di un bigliettino in possesso di G. in cui era indicato il nominativo di Al. , i suoi dati anagrafici e l'altezza (m. 1,68, corrispondente a quella di Al. ), biglietto che (annota sempre la sentenza a pag. 6) gli inquirenti avevano ritenuto come finalizzato a "permettere agli imputati di individuare correttamente la persona che avrebbero dovuto trasportare". La sentenza di primo grado si è scrupolosamente soffermata, al fine di giustificare il convincimento di sostanziale inattendibilità delle dichiarazioni degli imputati (tese a sminuire il loro indiscusso interesse per i movimenti islamico-radicali), ad esaminare i documenti acquisiti, sia quelli in possesso degli imputati, in particolare di G. (Parte 3 pagg. 146 e segg.), sia quelli trasmessi per rogatoria (in particolare gli interrogatori di B. , Ar. e Az. ), analisi all'esito della quale ha formulato il convincimento dell'esistenza dell'articolata associazione con finalità di terrorismo e dell'appartenenza ad essa degli imputati. In questo contesto il Giudice di prime cure ha ritenuto rilevante il "frammento" di condotta commesso in Italia, valutato come dimostrativo in concreto dell'arruolamento di soggetti disponibili a compiere azioni suicide e azioni di combattimento per diffondere nella collettività paura e panico.
La sentenza di secondo grado ha proceduto ad una rilettura di tali documenti, ha esaminato anche il contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazioni ambientale in carcere. Ha condiviso la valutazione della prima Corte di assise sulla natura radicale dell'ideologia abbracciata da entrambi gli imputati, ma ne ha spiegato l'irrilevanza in ragione della considerazione che essi "erano semplicemente in transito sul territorio nazionale" e che "l'ambito di operatività territoriale del gruppo terroristico...ipotizzato" non comprende l'Italia. Ma a tale conclusione è pervenuta senza formulare un'autonoma valutazione del "fatto" costituito dallo sbarco degli imputati nel territorio dello Stato a bordo di un camper nel quale viaggiavano nascosti in un sottofondo cinque cittadini siriani, nonostante tale fatto fosse stato oggetto di approfondita, diversa valutazione, da parte della Corte di Assise di primo grado.
Vero è che con l'appello gli imputati hanno eccepito l'inutilizzabilità del materiale probatorio acquisito in rogatoria e hanno negato di aver prestato il proprio consenso, in contrasto con quanto ritenuto dai giudici di merito con l'ordinanza pronunciata all'udienza del 24.5.2011. Sul punto la sentenza impugnata non ha formulato valutazione alcuna, sicché nel giudizio di rinvio si dovrà procedere al preliminare esame delle eccezioni difensive mosse con l'appello, nell'osservanza del principio secondo il quale possono essere legittimamente utilizzati ai fini della decisione, a seguito di accordo delle parti per la loro acquisizione al fascicolo del dibattimento, atti contenuti nel fascicolo del P.M. non affetti da inutilizzabilità c.d. "patologica" (cfr. Cass. Sez. 6, 4.3.2009 n. 254), tipo di inutilizzabilità non rinvenibile nelle informative redatte dalla polizia estera e da questa consegnate direttamente ad autorità di polizia italiane, al di fuori di procedure formali di rogatoria, attese l'assenza di divieti di legge e la conformità di tale prassi alla consuetudine internazionale, (cfr. Cass. Sez. 6, 9.11.2012-8.2.2013 n. 6346). Si impone quindi l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Bari che, nella piena libertà di valutazione propria del giudice di merito, colmi il rilevato vuoto motivazionale, attenendosi ai principi di diritto enunciati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Assise di appello di Bari, altra sezione, per nuovo giudizio.
21-12-2013 23:23
Richiedi una Consulenza