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Sentenza

Giudizio civile: poteri e limiti del Giudice del rinvio. Processo che va rinnovato o processo chiuso negli argini del rinvio?
Giudizio civile: poteri e limiti del Giudice del rinvio. Processo che va rinnovato o processo chiuso negli argini del rinvio?
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 maggio - 25 luglio 2013, n. 18039
Presidente Berruti – Relatore Ambrosio

Svolgimento del processo

La controversia, che per la terza volta perviene in Cassazione, può riassumersi sulla scorta della decisione impugnata nei seguenti termini.
Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c. al Pretore di Modena, M.E. chiedeva accertarsi e dichiararsi la risoluzione del contratto di locazione stipulato in data 1 dicembre 1991 con S.M. relativo ad un immobile sito in (omissis) , da adibirsi a bar-ristorante, assumendo che la conduttrice si era resa inadempiente alle obbligazioni contrattuali e, segnatamente, agli obblighi e oneri previsti con le clausole nn. 5 e 6 del contratto con le quali si era convenuto che, in caso di affitto o cessione di azienda, la locatrice avrebbe avuto il diritto di prelazione e che il mancato esercizio della pattuita comunicazione avrebbe costituito grave motivo di opposizione alla cessione del contratto e motivo di recesso, da parte della locatrice; precisava, a tal riguardo, che con comunicazione del 28 giugno 1996, la S. l'aveva resa edotta di avere sublocato il locale, in data 1 giugno 1996, a tale A.J. e che essa ricorrente aveva fatto formale opposizione alla cessione d'azienda, ritenendo automaticamente risolto il contratto, in base a quanto previsto dalle cit. clausole nn. 5 e 6.
Costituitasi in giudizio, la S. contestava la validità del patto di prelazione inserito nel contratto, nonché la fondatezza degli addebiti rivolti nei suoi confronti, concludendo per il rigetto della domanda attorea e per la condanna dell'attrice, in via riconvenzionale, al risarcimento dei danni. Si costituiva anche J..A. , contestando, a sua volta, la sussistenza degli addebiti rivolti dalla ricorrente nei suoi confronti.
Con sentenza in data 4 ottobre/22 dicembre 1999 il Tribunale di Modena, in accoglimento della domanda principale, dichiarava risolto il contratto de quo per inadempimento della convenuta a far tempo dal 1 giugno 1996, mentre respingeva la domanda riconvenzionale.
La decisione, gravata di impugnazione della M. , era confermata, nella contumacia di A.J. , dalla Corte di appello di Bologna, con sentenza n.868/2000, che, impugnata per cassazione dalla M. , era cassata con rinvio con sentenza n. 14495/2005 in accoglimento per quanto di ragione del terzo, quarto e sesto motivo di ricorso, avendo questo Giudice di legittimità escluso l'esistenza di una clausola risolutiva espressa in seno al negozio locativo in forza della quale l'odierna resistente aveva ottenuto la restituzione dell'immobile.
La causa era riassunta in sede di rinvio da S.M. affinché fosse accertata e pronunciata la fondatezza della sua pretesa volta ad ottenere la declaratoria della perdurante efficacia del contratto di locazione stipulato con E..M. e da lei ceduto a J..A. , con condanna della locatrice al risarcimento del danno.
Con sentenza n. 1392/2005 la Corte di appello di Bologna accoglieva la domanda di risoluzione per inadempimento grave della conduttrice, con conseguente rigetto delle istanze della conduttrice.
Anche questa decisione era impugnata per cassazione dalla S. e cassata con rinvio da questa Corte con sentenza n. 21678/2009, perché venisse nuovamente e correttamente valutata la condotta della conduttrice.
Nuovamente adita in sede di rinvio dalla S. , la Corte di appello di Bologna, nella perdurante contumacia di J..A. , con sentenza n.1235/2010 ha dichiarato risolto il contratto di locazione tra le parti, ritenendo sussistente e grave l'inadempimento della conduttrice; ha respinto le ulteriori domande dell'appellante e ha, quindi, condannato la M. al pagamento di due terzi delle spese di tutti i gradi del giudizio, compensato il residuo terzo.
Avverso detta sentenza ha nuovamente proposto ricorso per cassazione M..S. contro E..M. e nei confronti di A.J. , svolgendo quattordici motivi, illustrati anche da memoria.
Ha resistito E..M. , depositando controricorso.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da A.J. .

Motivi della decisione

1. I motivi di ricorso, per la stretta connessione fattuale, logica e giuridica impongono una trattazione per buona parte unitaria.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione dell'art. 384 cod. proc. civ. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.) per avere il giudice del rinvio fatto esclusivo riferimento alla cessione d'azienda ad A.J. per inferirne il grave inadempimento della conduttrice, in contrasto con il dictum della sentenza di cassazione n.21678/2009, secondo cui tale vicenda costituiva res inter alios acta inconferente ai fini di causa.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1455, 1366 e 1375 cod. civ. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.) per non avere tenuto conto il giudice del rinvio del triplice invito rivolto dalla conduttrice alla S. affinché esercitasse il diritto di prelazione; tanto contrasterebbe con la sentenza di cassazione n. 21678/2009, laddove si evidenziava che la locatrice che, ove determinata ad esercitare secondo buona fede il proprio diritto di prelazione (come le sarebbe stato consentito in base a detto triplice invito), avrebbe senz'altro conseguito l'effetto restitutorio anelato.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia rilevato dalle parti o rilevabile
di ufficio (art. 360 n.5 cod. proc. civ.) per avere la Corte territoriale sostanzialmente “utilizzato” una motivazione identica a quella ritenuta non corretta dalla sentenza n.21678/2009, senza spiegare per quale motivo la clausola di prelazione sarebbe stata finalizzata al rispetto di particolari obblighi del conduttore e perché il trasferimento dell'azienda e dei locali avrebbe fatto venir meno le garanzie all'esecuzione del contratto secondo le modalità concordate.
1.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 1453, 1454, 1455, 1456, 1458 cod. civ. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.) per non avere la Corte territoriale tenuto conto del lasso temporale intercorso prima della reazione giudiziale della locatrice, contravvenendo al principio per cui non è consentita la pronuncia di risoluzione, allorquando il preteso creditore della prestazione, asseritamente inadempiuta, abbia anche tacitamente rinunciato al diritto di chiedere la risoluzione.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia rilevato dalle parti o rilevabile di ufficio (art. 360 n.5 cod. proc. civ.) per non avere la Corte di appello motivato sulla questione di cui al precedente motivo.
1.6. Con il sesto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 36 e 79 legge n. 392/1978 (art. 360 n.3 cod. proc. civ.) per avere la Corte di appello ritenuto che, in caso di trasferimento di azienda, fosse consentita la risoluzione del contratto per gravi motivi non contemplati dalla norma di cui all'art. 36 cit. e che l'inosservanza della normativa inderogabile posta a tutela del locatore in relazione alla cessione di azienda potesse comportare la dichiarazione di risoluzione del contratto e non piuttosto l'inopponibilità della cessione del locatore.
1.7. Con il settimo motivo si denuncia violazione degli artt. 1362, 1363, 1365, 1372, 1373, 1374, 1453, 1455, 1456, 1458 (art. 360 n.3 cod. proc. civ.) per avere considerato come causa di risoluzione del contratto una condotta che, secondo la comune volontà contrattuale delle parti, poteva assumere rilievo solo sotto il profilo dell'istituto del recesso e/o dell'opposizione ex art. 36 legge n. 392/1978.
1.8. Con l'ottavo motivo si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia rilevato dalle parti o rilevabile di ufficio (art. 360 n.5 cod. proc. civ.) per avere la Corte di appello ritenuto che la clausola n. 6 fosse idonea a consentire, a scelta della locatrice, l'opposizione alla cessione o la risoluzione del contratto, laddove la stessa clausola faceva, invece, testuale riferimento al diverso istituto del "recesso" dal contratto.
1.9. Con il nono motivo si denuncia violazione o falsa
applicazione degli artt. 34 e 79 legge n. 392/1978 (art. 360 n.3 cod. proc. civ.) per avere l'erronea decisione in punto di inadempimento colpevole della conduttrice comportato il mancato riconoscimento alla medesima del diritto alla perdita dell'avviamento.
1.10. Con il decimo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.) per avere l'erronea decisione, in punto di inadempimento colpevole della conduttrice, comportato l'erronea regolazione delle spese di lite.
1.11. Con l'undicesimo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt.1218, 1223, 1372, 1374, 2043, 2059 cod. civ., 27, 28 e 29 legge n. 392/1978 (art. 360 n.3 cod. proc. civ.) per avere l'erronea decisione, in punto di inadempimento colpevole della conduttrice, comportato l'erronea applicazione della disciplina in ordine agli effetti e alla durata del contratto, nonché al risarcimento del danno.
1.12. Con il dodicesimo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 389, 394 e 418 cod. proc. civ. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.) per avere la Corte di appello ritenuto inammissibili le domande di risarcimento del danno e riconsegna dei locali, nonostante esse conseguissero alla cassazione della sentenza impugnata.
1.13. Con il tredicesimo motivo si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia rilevato dalle parti o rilevabile di ufficio (art. 360 n.5 cod. proc. civ. ) per non avere la Corte territoriale illustrato le ragioni per cui le suddette domande dovevano considerarsi nuove.
1.14. Con il quattordicesimo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 2 4 Cost. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.) per avere la Corte di appello, una volta dichiarando risolto il contratto, ritenute precluse le istanze istruttorie della S. intese a dimostrare l'esistenza e l'entità del danno subito.
2. L'indagine deve muovere necessariamente dall'individuazione dell'ambito dei limiti e dell'oggetto del giudizio di rinvio, tenuto conto del duplice dictum di questo giudice di legittimità: quello contenuto nella sentenza n.14495/2004, emesso sul rilievo che la clausola n. 6 della locazione inter partes non integrasse una clausola risolutiva espressa in dipendenza dell'inosservanza del pactum praelationis riconosciuto alla locatrice al precedente n. 5 per il caso di affitto o cessione di azienda; nonché quello contenuto nella sentenza n. 21678/2009 (strettamente conseguente al precedente), che imponeva al giudice del rinvio di rinnovare la motivazione sulla subordinata domanda di risoluzione ex art. 1453 cod. civ. sul punto dell'esistenza e gravità dell'inadempimento della conduttrice, a causa del quale l'odierna resistente aveva chiesto e ottenuto la restituzione dell'immobile.
Si rammenta che l'estensione dei compiti del giudice del rinvio varia a seconda che l'annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in quanto, nella prima ipotesi, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l'accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente - indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione - non limita il potere del giudice di rinvio all'esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell'ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento. In quest'ultima ipotesi, poi, il giudice di rinvio, nel rinnovare il giudizio, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati. (Cass. 14 giugno 2006, n. 13719).
2.1. Tanto premesso par utile rilevare che la prima decisione di legittimità - accogliendo alcuni motivi di ricorso della S. - aveva innanzitutto rigettato il primo (e principale) motivo di ricorso, con cui si deduceva la nullità della clausola sub n. 5 (attributiva del diritto di prelazione alla locatrice in caso di affitto o cessione di azienda da parte della conduttrice, con correlativo obbligo di quest'ultima di comunicare alla proprietaria del locale il prezzo e le condizioni della cessione o della locazione) che “attribuendo al locatore un diritto, certamente non previsto dalla legge sull'equo canone non viene in alcun modo a comprimere il diritto del conduttore di cedere o sublocare il contratto e, come tale, non può ritenersi nulla” (così a pag. 6 della sentenza cit.). Nel contempo la stessa decisione, accogliendo per quanto di ragione, il terzo, quarto e sesto motivo di ricorso della S. , ha rilevato il duplice vizio dell'infrazione delle norme di ermeneutica contrattuale e della norma dell'art. 1456 cod. civ. per avere il giudice del merito ritenuto che la clausola sub n. 6 (che prevedeva che la mancata comunicazione da parte della conduttrice alla locatrice dell'affitto o cessione di azienda configurasse “grave motivo di opposizione alla cessione a terzi e/o motivo di recesso da parte della locatrice”) integrasse una clausola risolutiva espressa.
È il caso di osservare sin da ora che la suddetta decisione di legittimità - muovendo dalla considerazione che la presenza di una clausola risolutiva espressa rende irrilevante ogni indagine intesa a stabilire se l'inadempimento sia sufficientemente grave da giustificare l'effetto risolutivo - evidenzia con chiarezza le ragioni della cassazione, rappresentate dal mancata verifica della "gravità" dell'inadempimento, inequivocamente richiedendo che l'indagine del giudice del rinvio si volgesse proprio su tale versante, risultando ciò necessario ai fini dell'accoglimento della subordinata domanda di una pronuncia (costitutiva) di risoluzione per inadempimento.
2.2. Nella medesima prospettiva si colloca la successiva decisione di legittimità che non ha affatto escluso, come pretenderebbe parte ricorrente, che il mancato rispetto del patto di prelazione potesse costituire inadempimento contrattuale (di tal che l'impossibilità di esercitare la prelazione comporterebbe - in tesi - solo l'inopponibilità della cessione alla locatrice), bensì ha essenzialmente ravvisato una carenza del percorso motivazionale del (primo) giudice del rinvio, richiedendo di “nuovamente e correttamente valutare la condotta della conduttrice In punto di (pretesa) gravità del (preteso) inadempimento con riferimento esclusivo al (preteso) mancato rispetto del pactum praelationis”.
Se, dunque, la (seconda) pronuncia di cassazione è avvenuta per vizio di motivazione, erra parte ricorrente, laddove (cfr. primo motivo) postula che la sentenza rescindente, indicando specifiche carenze e/o incongruenza della motivazione, abbia limitato il potere del giudice di rinvio, nel senso di imporgli di prescindere totalmente dalla vicenda della cessione di azienda, dovendo, al contrario, osservarsi che il tema, su cui occorreva pronunciarsi, era pur sempre il “(preteso) mancato rispetto del pactum praelationis”; così come erra la stessa ricorrente, laddove (cfr. secondo motivo) pretenderebbe addirittura di individuare nella sentenza rescindente delle indicazioni in fatto, vincolanti per il giudice di merito, assolutamente inconciliabili con la natura della decisione emessa in sede di legittimità.
D'altre parte il giudice del rinvio non ha affatto ripetuto l'errore motivazionale rilevato dalla (seconda) sentenza di legittimità, giacché ha affermato la gravità dell'inadempimento della S. non già per "il fatto" della cessione in affitto ad A.J. (res inter alios acta), bensì per "il fatto" della mancata comunicazione di detta cessione, osservando che, solo dopo la registrazione del contratto 11.06.1996 di affitto di azienda e l'esecuzione dello stesso, la conduttrice ebbe ad informare la locatrice di aver sublocato il locale “in tal modo non fornendo alla locatrice una corretta rappresentazione dei fatti e ponendo di fatto la stessa nelle condizioni di non poter esercitare la prelazione prima del contratto stipulato con il terzo (come previsto nella clausola contrattuale dalle parti” (cfr. pag.14 sentenza impugnata).
Risultano, dunque, infondati e vanno rigettati i primi due motivi di ricorso, i quali - denunziando sotto vario profilo violazione della legge processuale e sostanziale - muovono in sostanza dall'errato presupposto che la sentenza rescindente avesse escluso "il fatto" stesso dell'inadempimento della conduttrice.
2.3. Per altro verso occorre dire che la decisione impugnata - verificato con accertamento in fatto, qui non sindacabile, che la S. ha omesso di effettuare la preventiva comunicazione alla locatrice al fine di porla in condizione di esercitare il diritto di prelazione (fornendo alla locatrice una rappresentazione dei fatti non solo tardiva, ma neppure corretta, per avere riferito di una sublocazione, anziché dell'affitto di azienda) - ha individuato la ratio del ridetto patto di prelazione nell'interesse economico (concordemente riconosciuto dalle parti e, comunque, non precluso dalla legge) di assicurare alla locatrice un controllo sulla gestione e conservazione dell'immobile locato, sulla base di un'interpretazione sistematica dell'intero contratto, congrua e logica, correlativamente, evidenziando la gravità dell'inadempimento della conduttrice per avere impedito l'esercizio di siffatto diritto.
Risulta, dunque, infondato anche il terzo motivo di ricorso con il quale, in buona sostanza, si lamenta che il giudice del rinvio sia pervenuto alle stesse conclusioni della decisione cassata, trattandosi di una soluzione che è nella logica del giudizio del rinvio; peraltro la censura di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, prima ancora che manifestamente infondata nella misura in cui si appunta sul risultato dell'accertamento in fatto operato dal giudice del rinvio, è anche inammissibile per la sua genericità.
2.4. Sono inammissibili il quarto e il quinto motivo di ricorso, perché postulano una questione nuova, qual è quella dell'avvenuta rinuncia alla risoluzione del contratto sul presupposto del lasso temporale che sarebbe intercorso prima della reazione giudiziaria. Innanzitutto si osserva che, poiché il giudizio di rinvio è a istruzione "chiusa" in esso è fatto divieto alle parti non solo di formulare domande ed eccezioni nuove, ma anche di prospettare nuove tesi difensive che modifichino il thema decidendum predeterminato nella precedente fase del processo. (Cass. 11 novembre 2003, n. 16954).
Peraltro neppure risulta che la specifica questione sia stata sottoposta al giudice del merito. E si rammenta a tal riguardo che, ove una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.
2.5. Il sesto, settimo e ottavo motivo postulano un'interpretazione delle clausole contrattuali che - prima ancora che meramente alternativa rispetto a quella assunta nella sentenza impugnata - si pone in contrasto con le indicazioni contenute nella prima delle due decisioni di legittimità (implicitamente ribadite nella seconda), correttamente recepite dal giudice del rinvio, laddove ha affermato che, sulla base delle richiamate pronunce, “non può essere posta in dubbio la validità del diritto di prelazione attribuito alla clausola n. 5 del contratto” e che la clausola sub n. 6 “non può essere interpretata quale clausola risolutiva espressa, ma è senza dubbio... idonea a determinare per la locatrice a sua scelta l'opposizione alla cessione o la risoluzione del contratto....” (cfr. pag. 13 sentenza impugnata).
2.6. Gli altri motivi di ricorso presuppongono tutti il rigetto della domanda di risoluzione, sicché la ritenuta infondatezza e/o inammissibilità dei motivi che precedono comporta inevitabilmente anche il loro rigetto.
In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge.
Avv. Antonino Sugamele

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