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Sentenza

Giornalista scrive un articolo e attribuisce ad un uomo «condanna definitiva per il reato di concussione». La condanna si scopre non esiste. Giornalista condannato per diffamazione.
Giornalista scrive un articolo e attribuisce ad un uomo «condanna definitiva per il reato di concussione». La condanna si scopre non esiste. Giornalista condannato per diffamazione.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 marzo - 25 giugno 2013, n. 27787
Presidente Bevere – Relatore Zaza

Ritenuto in fatto

Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bologna del 03/06/2008, veniva confermata l'affermazione di responsabilità degli imputati G.G. e G.M., il primo per il reato di cui all'art. 595 cod. pen. commesso il 23/06/2005 in danno di R.S. pubblicando sul quotidiano Il Resto del Carlino un articolo nel quale, rievocando una vicenda giudiziaria che aveva coinvolto lo S., attribuiva a quest'ultimo una insussistente condanna definitiva per il reato di concussione, ed il secondo per il reato di cui agli artt. 57 e 595 cod. pen. commesso quale direttore responsabile del citato quotidiano, omettendo di esercitare il controllo necessario ad impedire la realizzazione del reato di cui sopra. Veniva altresì, confermata la condanna degli imputati e della responsabile civile P.E. s.p.a. al risarcimento dei danni in favore della parte civile. Le pene inflitte in primo grado venivano rideterminate, a seguito del riconoscimento di attenuanti generiche prevalenti, in €. 500 di multa per il G. ed €. 300 di multa per il M., e l'importo liquidato a titolo di risarcimento del danno veniva altresì rideterminata in €. 10.000.
Gli imputati e la responsabile civile ricorrenti, sulla sussistenza dell'elemento psicologico del reato contestato al G. e, di conseguenza, dell'evento del reato contestato al M., deducono violazione di legge nella ritenuta ricorrenza di un dolo eventuale in base a dati di fatto riferibili unicamente all'aspetto rappresentativo del fatto, comune alla colpa cosciente, e non anche a quello volitivo, che distingue da quest'ultima il dolo eventuale. I ricorrenti lamentano in questa prospettiva mancanza di motivazione rispetto a circostanze che indicavano come obiettivo dell'articolo il gruppo degli imputati coinvolti nella vicenda di cui sopra e non in particolare lo S.; il che non consente di affermare, secondo la formula di Frank, a cui la dottrina fa riferimento per l'individuazione della sussistenza del dolo eventuale, che il G. avrebbe ugualmente pubblicato l'articolo ove si fosse avveduto dell'errore riguardante la posizione processuale della parte offesa, e che dunque lo stesso avesse voluto l'evento diffamatorio in quanto concretamente rappresentato.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.
Premesso che per la ravvisabilità del reato di diffamazione è sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale (Sez. 5, n. 7597 del 11/05/1999, Beri Riboli, Rv. 213631; Sez. 5, n. 2972 del 19/12/2001 (25/01/2002), Manzo, Rv. 221018), la componente volitiva di quest'ultima figura, sulla quale i ricorrenti accentrano le loro censure, si manifesta, come anche ultimamente affermato da questa Corte (Sez. 1, n. 30472 dell'11/07/2011, Braldic, Rv. 251484; Sez. 1, n. 267 del 14/12/2011 (11/01/2012), Maraviglia, Rv. 252046), nell'accettazione del prospettato verificarsi dell'evento, in ordine alla cui possibilità il soggetto agente abbia superato lo stadio del dubbio; ditalché possa ritenersi che il soggetto abbia agito anche a costo di cagionare quell'evento. Orbene, anche a voler tradurre la nozione di accettazione dell'evento, come in una pronuncia citata nel ricorso (Sez. 1, n. 10411 dell'01/02/2011, Ignatiuc), nei termini per i quali il soggetto avrebbe agito anche laddove avesse avuto certezza del verificarsi del fatto, indubbiamente corrispondenti a quella che in dottrina è nota, per la precisione, come «prima formula di Frank», la sentenza impugnata era adeguatamente motivata in una prospettiva corrispondente a questa visione. La Corte territoriale non trascurava infatti le circostanze indicate dai ricorrenti come dimostrative di un contenuto dell'intento dei G. che non comprendeva l'accettazione dell'offesa della reputazione dello S., ossia il consistere l'articolo in una sintetica ricostruzione della vicenda giudiziaria della cosiddetta «tangentopoli ascolana», la mancanza di notorietà dello S. e la citazione dello stesso unicamente in apertura del testo; ma osservava come tanto non escludesse che la persona offesa era stata comunque espressamente nominata nell'articolo, a seguito di un esame evidentemente incompleto della sua posizione processuale, da parte di un giornalista professionista ed in quanto tale consapevole della potenziale lesività di notizie parzialmente riferite in ambito giudiziario. Irrilevante è la considerazione dei ricorrenti per la quale la posizione dello S. non era oggetto nell'articolo di espressioni intrinsecamente diffamatorie, ma di una sostanziale omissione informativa. Detta omissione comportava infatti la non veritiera attribuzione alla persona offesa di un'accertata responsabilità per il grave reato di concussione, in sé pregiudizievole per l'onore e la reputazione dello S. E, pur se marginale nel contesto dell'articolo, tale attribuzione, in quanto valutata dal giudici di merito quale risultato di verifiche superficiali e corrive da parte di un professionista consapevole degli effetti di un tal modo di procedere nel delicato settore trattato, veniva coerentemente ritenuta rivelatrice di una condotta tenuta anche a costo di produrre conseguenze lesive per i soggetti nominati nel testo; e quindi con un atteggiamento di indifferenza verso tali conseguenze nel perseguimento del fine di rievocare, stigmatizzandola, la più ampia vicenda giudiziaria, compiutamente riconducibile alla dimensione del dolo eventuale anche nella prospettazione difensiva. Né a diverse conclusioni può giungersi per il carattere, per così dire, storicistico dell'articolo; carattere che, nella prospettiva di serenità e distacco dalla quale è connotato, a maggior ragione per un verso non giustifica il mancato approfondimento della posizione dello S., e per altro amplifica gli effetti lesivi di tale omissione.
La richiesta difensiva di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione non tiene conto della sospensione del relativo termine dal 05/07/2007 al 22/01/2003 per astensione dei difensori dalle udienze, per effetto della quale la causa estintiva maturerà il 10/07/2013.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, seguendone la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che avuto riguardo alla contenuta dimensione dell'impegno processuale si liquidano in €. 2.500 oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e tutti in solido al rimborso delle spese della parte civile, che liquida in complessivi €. 2.500,00 oltre accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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