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Sentenza

Esplode un colpo di fucile al torace della vittima e poi si costituisce. La Cassazione annulla con rinvio.
Esplode un colpo di fucile al torace della vittima e poi si costituisce. La Cassazione annulla con rinvio.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 giugno - 26 luglio 2013, n. 32762
Presidente Zecca – Relatore Pistorelli

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 26 marzo 2012 la Corte d'Assise d'appello di Reggio Calabria, in qualità di giudice di rinvio a seguito dell'annullamento in sede di legittimità della precedente decisione della Corte d'Assise d'appello di Messina, confermava la condanna alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno pronunziata a seguito di giudizio abbreviato nei confronti di F.R. per il reato di omicidio in danno di S.S. e per quelli in armi connessi.
1.1 Il grave fatto di sangue era avvenuto in (omissis) , nello spazio antistante il club (omissis) , ubicato in via (omissis) ; il F. , dopo essere più volte passato innanzi al club anzidetto alla guida della sua autovettura alla ricerca del S. , contro il quale nutriva un forte risentimento, per essere stato da lui più volte dileggiato nel corso della giornata, si era fermato innanzi al club, era sceso dall'auto impugnando un fucile a canne mozze detenuto da tempo, si era parato innanzi al malcapitato ed a distanza di pochi metri aveva esploso contro di lui un solo colpo, attingendolo mortalmente al torace, fuggendo poi alla guida della sua Peugeot, lasciata col motore acceso e la portiera aperta. Subito dopo l'imputato aveva reso piena confessione agli agenti del Commissariato di (omissis) , ove si era costituito.
1.2 Questa Corte, rilevando lacune motivazionali sul punto nella precedente pronunzia con cui era stato deciso il gravame di merito, aveva devoluto a quella reggina il compito di riesaminare il tema relativo alla imputabilità dell'imputato al momento della commissione dei fatti alla luce della documentazione clinica prodotta dalla difesa nel corso del giudizio d'appello ed invece non presa in considerazione dai giudici messinesi nel riconoscere - conformemente al giudizio effettuato dal giudice di prime cure - che il F. era affetto da un vizio solo parziale di mente. Peraltro il giudice di legittimità, pur ritenendo assorbito ogni altro motivo di ricorso proposto dalle parti, rilevava altresì, vincolando in proposito l'orizzonte decisionale di quello di rinvio, come nella commisurazione del trattamento sanzionatorio la Corte messinese avesse determinato la pena base in misura illegale, giacché, una volta escluse le contestate aggravanti del reato di omicidio ritenuto più grave, non aveva tenuto conto dei limiti edittali previsti dall'art. 575 c.p..
1.2 In tal senso la Corte territoriale, anche a seguito della rinnovazione parziale dell'istruttoria consistita in una nuova audizione del perito in merito all'incidenza della documentazione menzionata sulle conclusioni rassegnate dal medesimo nel primo grado di giudizio, confermava la penale responsabilità dell'imputato, riconoscendo che questi aveva agito in presenza di un vizio parziale di mente ed escludendo le contestate aggravanti della premeditazione, dei futili motivi e del nesso teleologia) (quest'ultima connessa ad uno dei reati in armi). I giudici d'appello procedevano non di meno ad una rideterminazione del trattamento sanzionatorio tenendo conto dei rilievi svolti in proposito nella sentenza di annullamento e fissando la pena nella misura finale di anni diciotto e mesi otto di reclusione ed Euro 500 di multa e mesi sei di arresto.
2. Avverso la sentenza ricorrono sia le parti civili che l'imputato.
3. Con il ricorso presentato congiuntamente dalle prime per mezzo dei rispettivi difensori vengono articolati quattro motivi.
3.1 Con il primo vengono dedotti vizi motivazionali della sentenza in merito al riconoscimento del vizio parziale di mente, non avendo la Corte territoriale argomentato in merito all'effettiva attitudine dei disturbi che affliggevano il F. a condizionarne l'agire e ciò nonostante la stessa Corte abbia contraddittoriamente riconosciuto che l'imputato aveva conservato in ogni momento intatte le sue capacità previsionali, decisionali ed esecutive, avendo invece i menzionati disturbi determinato un indebolimento delle spie "funzioni cognitive ed organizzative dell'io".
3.2 Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano l'errata applicazione della legge penale e correlati vizi motivazionali del provvedimento impugnato in merito all'esclusione dell'aggravante dei futili motivi in ragione dell'identificazione del motivo ad agire con i disturbi cognitivi riscontrati in capo all'imputato, avendo in proposito i giudici d'appello immotivatamente e contraddittoriamente svalutato l'oggettiva banalità dell'accadimento che aveva costituito il pretesto dell'azione omicidiaria (l'asserita derisione da parte della vittima nei confronti del F. ) e la riconosciuta integrità della capacità dell'imputato di reagire in modo diverso alla supposta provocazione.
3.3 Con il terzo motivo vengono prospettati analoghi vizi in merito all'esclusione dell'aggravante della premeditazione, non essendo emersi elementi in grado di consentire che la circostanza si sia confusa con l'essenza dell'infermità che affliggeva l'imputato, atteso che la stessa incide non già sulle capacità cognitive, ma su quelle decisionali che anche la Corte ha ritenuto non intaccate dalla suddetta infermità, nel mentre la detenzione dell'arma del delitto per un lungo periodo di tempo costituirebbe elemento in grado di evidenziare la sussistenza dell'aggravante in questione e ad escludere l'occasionalità della condotta invece affermata dai giudici d'appello. I ricorrenti lamentano inoltre l'omessa motivazione in merito all'esclusione dell'aggravante teleologica, nonostante il profilo avesse costituito specifico oggetto di doglianza nei motivi d'appello proposti dalle parti civili.
3.4 Con il quarto ed ultimo motivo il ricorso delle parti civile denuncia infine l'omessa motivazione in ordine alle censure sollevate con l'atto d'appello in merito all'incongruità della provvisionale liquidata nel primo grado di giudizio senza indicazione dei criteri applicati in tal senso.
4. Il ricorso proposto a mezzo del proprio difensore dall'imputato articola sette motivi.
4.1 Con il primo il ricorrente deduce l'errata applicazione degli artt. 85, 88 e 89 c.p., la violazione dell'art. 627 c.p.p. e correlativi vizi motivazionali del provvedimento impugnato. In particolare il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non si sarebbe attenuta al vincolo di rinvio, omettendo di colmare la lacuna motivazionale della precedente sentenza in merito all'esclusione del vizio totale di mente, come invece disposto dal giudice di legittimità nell'annullarla.
4.1.1 In tal senso osserva come erroneamente i giudici d'appello abbiano qualificato il delirio paranoide di persecuzione, da cui pure il perito ha ritenuto essere afflitto il F. , alla stregua di un disturbo di personalità anziché identificarlo come una effettiva psicosi funzionale e precisamente come disturbo delirante. E ciò nonostante quanto emerso dall'istruttoria di primo grado e dalla stessa relazione peritale avesse sostanzialmente dimostrato che l'imputato fosse afflitto da un persistente ed ineludibile delirio di persecuzione che aveva inevitabilmente inciso sull'eziologia dell'azione omicidiaria, conseguita alla distorta percezione della realtà causata dal suddetto delirio.
4.1.2 Duplice, pertanto, sarebbe il vizio logico in cui sarebbe caduta la Corte territoriale: da un lato, per l'appunto, non avrebbe riconosciuto l'effettiva natura dei disturbi che affliggevano l'imputato, tale da determinare l'assoluta incapacità di intendere dello stesso e da imporre, quindi, l'esclusione della sua imputabilità, atteso che a tal fine è sufficiente che il vizio di mente comprometta totalmente anche solo una delle "attitudini" annoverate nel secondo comma dell'art. 85 c.p.; dall'altro, anche volendo rimanere fedele alla qualificazione psicopatologica dei disturbi del F. , a fronte della significatività e pervasività dei medesimi, i giudici d'appello non avrebbero tratto l'unica logica conclusione ritraibile dall'accettata distorsione cognitiva di cui era stato vittima l'imputato e cioè che egli aveva ucciso proprio perché totalmente incapace di intendere.
4.1.3 La sentenza, ancorandosi alla valutazione del perito per cui il F. avrebbe conservato autonomia decisionale pur in presenza della compromessa situazione percettiva, ha pertanto ritenuto illogicamente sussistere un mero vizio parziale di mente, senza in tal senso giustificare tale affermazione in relazione alla rilevata compromissione della sua capacità di intendere ed all'incidenza di tale situazione sulla criminogenesi dell'uccisione del S. .
4.1.4 Illogiche sarebbero poi le conclusioni tratte dalla Corte territoriale in merito all'irrilevanza degli elementi ricavabili dalla documentazione clinica il cui omesso esame aveva provocato l'annullamento della precedente sentenza d'appello. Infatti tanto da quella concernente il ricovero nel 1982 del F. , che dalla diagnosi ricevuta dallo stesso nel 1990 ai fini della valutazione della sua eventuale invalidità, emergeva come egli già allora rivelasse di essere affetto da disturbi della sfera neurologico-psichica in grado di evolvere in una psicosi delirante, infermità ad esordio lento e che si rivela nella sua effettiva consistenza, per come ammesso dallo stesso perito, non in giovane età. Pertanto illogicamente la sentenza avrebbe svalutato il significato dell'accertamento di tali disturbi, attesa il loro carattere sintomatico tipico e la loro compatibilità con la successiva conclamazione di una vera e propria psicosi.
4.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione delle norme processuali che sovrintendono alla valutazione delle prove e correlati vizi motivazionali della sentenza in merito, evidenziando come la Corte territoriale abbia omesso il confronto con le risultanze delle deduzioni del consulente psichiatrico della difesa, ancorando dunque in maniera apodittica il suo giudizio unicamente su quelle della perizia disposta d'ufficio, nonostante il consulente di parte avesse offerto rigorosa evidenza dell'evoluzione nel tempo dei disturbi paranoici di cui soffriva l'imputato fino ad un esito di cronicizzazione del delirio in senso psicotico, tale da escludere la sua capacità di intendere e volere al momento del fatto. Conclusioni contrastanti con quelle del perito (le quali peraltro non erano state precedute dalla somministrazione dei test diagnostici necessari a sostenerle e a determinare la gravità delle patologie comunque rilevate), di cui la sentenza non avrebbe tenuto conto, nemmeno ai fini della loro necessaria confutazione, evidenziando così il denunciato difetto di motivazione.
4.3 Con il terzo motivo viene denunciata la violazione del diritto di difesa per l'omessa considerazione e la conseguente omessa motivazione sui rilievi critici svolti con la memoria difensiva del 21 febbraio 2012 in ordine all'attendibilità delle conclusioni assunte dal perito in ragione delle ivi evidenziate carenze nella metodologia seguita nello svolgimento dell'indagine peritale, mentre con il quarto analogo vizio viene eccepito con riguardo alla parte della memoria del 26 marzo 2012 nella quale erano state sintetizzate le ragioni che imponevano il riconoscimento della totale infermità di mente dell'imputato a seguito del rigetto da parte della Corte territoriale della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ad oggetto l'audizione del consulente della difesa o in alternativa l'acquisizione della trascrizione della deposizione resa dal medesimo nel separato procedimento intentato a carico del F. per il reato di ricettazione dell'arma utilizzata per compiere l'omicidio. Rigetto in relazione al quale, con il quinto motivo, viene autonomamente eccepita la violazione degli artt. 495, 603 e 627 c.p.p. in quanto formulato in maniera apodittica, nonostante il diritto costituzionalmente garantito dell'imputato alla controprova, ed in violazione del vincolo di rinvio giacché la sentenza di annullamento aveva imposto l'esame di "tutti gli elementi" prospettati dalla difesa in merito alla valutazione sull'imputabilità. Ed in tal senso il ricorrente osserva che, anche nel giudizio abbreviato, il giudice d'appello non potrebbe, senza violare il principio della parità delle parti, non ammettere la prova sollecitata dall'imputato in ragione della sua ritenuta non necessità ai fini della decisione, qualora si tratti di prova contraria rispetto ad altra già assunta. Sostanzialmente la stesso eccezione viene poi riproposta con il sesto motivo sotto il profilo della mancata assunzione di prova decisiva ai sensi dell'art. 606 lett. d) c.p.p..
4.4 Con il settimo motivo (erroneamente rubricato nuovamente come sesto) il ricorrente infine lamenta ulteriori vizi motivazionali della sentenza in ordine alla commisurazione della pena, risultando contraddittoria e ingiustificata la minima riduzione operata dalla Corte territoriale per l'attenuante del vizio parziale di mente a fronte della natura preponderante riconosciuto in motivazione a tale vizio.
5. Con atto depositato il 23 maggio 2013 l'imputato, sempre a mezzo del proprio difensore, ha proposto motivi nuovi.
Con il primo, asseritamente ad integrazione del corrispondente motivo del ricorso originario ed in realtà riproponendo il sesto motivo del medesimo, si eccepisce la mancata assunzione di prova decisiva costituita dall'audizione della consulente della difesa, dalla trascrizione della deposizione resa dalla medesima nel procedimento "stralciato" nei confronti del F. per la ricettazione dell'arma del delitto, nonché dagli atti di tale procedimento da cui si evince il collegamento con quello odierno e l'avvenuta acquisizione al fascicolo per il dibattimento di una memoria e della documentazione allegata.
Con il secondo motivo nuovo - ad integrazione del primo del ricorso originario, ma in realtà riproponendo anche profili sollevati nei successivi terzo e quarto - il ricorrente lamenta carenze motivazionali della sentenza impugnata in merito alla valutazione delle risultanze della perizia psichiatrica, denunciando in particolare l'omesso vaglio critico sulla metodologia seguita dal perito nell'espletamento del suo mandato e sull'affidabilità del medesimo, nonché in ordine al confronto con le osservazioni contenute in proposito nelle memorie difensive del 21 febbraio 2012 e del 26 marzo 2012.
Con il terzo viene ribadita l'illogicità della motivazione della sentenza impugnata in merito all'affermazione per cui l'imputato fosse affetto all'epoca dei fatti da un vizio solo parziale di mente, mentre con il quarto vengono riproposte le doglianze relative alla commisurazione della pena, con particolare riferimento alla determinazione dell'entità della riduzione; applicata a seguito del riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 89 c.p..

Considerato in diritto

1. Il ricorso presentato congiuntamente dalle parti civili S.D. , C.A.M. , S.F. , S.G.P. e S.P. è inammissibile.
1.1 Per quanto concerne i primi tre motivi deve rilevarsi infatti la carenza d'interesse dei ricorrenti all'impugnazione e comunque l'aspecificità del ricorso.
In proposito va rammentato che l'interesse ad impugnare non è costituito dalla sola discordanza tra la decisione impugnata e la pronunzia cui si tende mediante il gravame, occorrendo invece in aggiunta che l'eliminazione della decisione ritenuta pregiudizievole comporti una situazione pratica più vantaggiosa rispetto a quella esistente (Sez. 5, n. 4405 del 4 marzo 1999, Rossini, Rv. 213110). In altri termini, come precisato dalle Sezioni Unite, nel sistema processuale penale la nozione di interesse ad impugnare non può essere basata sul concetto di soccombenza - a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti - ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un'utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. Un., n. 6624/12 del 27 ottobre 2011, Marinaj, Rv. 251693).
1.2 Poiché la parte civile trova titolo al risarcimento del danno (anche non patrimoniale) nel reato quale "fatto illecito", piuttosto che nel reato quale modello legale, qualora, pur incontestati i fatti materiali in imputazione, sia stata data agli stessi una meno grave (rispetto all'originaria contestazione) qualificazione giuridica, la sussistenza di un interesse della medesima parte civile ad impugnare tale decisione -a maggior ragione quando la stessa riguardi elementi accessori del reato che interferiscono esclusivamente sulla commisurazione della pena - non può ritenersi automatica, ma dipende dalla effettiva influenza della diversa configurazione giuridica assunta sulla determinazione del danno di cui viene invocato il ristoro. Ed è dunque onere della parte lesa esporre le ragioni per cui il riconoscimento di un'attenuante ovvero il disconoscimento di una aggravante incidano concretamente sulla pretesa risarcitoria.
1.3 Nel caso di specie deve rilevarsi come nello svolgimento dei primi tre motivi di ricorso i ricorrenti non abbiano in alcun modo rivelato, nemmeno implicitamente, le ragioni per cui possa ritenersi che gli stessi siano effettivamente portatori, nei termini illustrati, di un interesse a proporre l'impugnazione, limitandosi invece a criticare la correttezza giuridica o la base giustificativa delle scelte operate dalla Corte distrettuale in merito al riconoscimento del vizio parziale di mente ed all'esclusione delle aggravanti della premeditazione e dei futili motivi.
1.4 Infine anche il quarto motivo del ricorso delle parti civili risulta inammissibile in quanto manifestamente infondato. Deve infatti ribadirsi che, in tema di provvisionale, la determinazione della somma assegnata è riservata insindacabilmente al giudice di merito, il quale non ha l'obbligo di espressa motivazione quando l'importo rientri nell'ambito del danno prevedibile (Sez. 6, n. 49877 dell'11 novembre 2009, R.C. e Blancaflor, Rv. 245701), com'è pacificamente avvenuto nel caso di specie.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue ai sensi dell'art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille ciascuno alla cassa delle ammende.
2. Venendo al ricorso dell'imputato deve rilevarsene l'infondatezza e, per certi versi, l'inammissibilità.
2.1 Infondate sono innanzi tutto le doglianze proposte dal ricorrente soprattutto con il primo motivo di ricorso - ma ribadite anche nei successivi e nei primi due motivi nuovi - nella parte in cui viene eccepita la violazione dell'art. 627 c.p.p. La Corte territoriale, infatti, ha pienamente rispettato il vincolo di rinvio derivante dalla sentenza di annullamento della precedente pronunzia d'appello, posto che i profili sui quali, secondo il ricorrente, avrebbe illegittimamente omesso di pronunciarsi non gli erano stati devoluti in fase rescindente.
2.2 Ed infatti, una lettura non affrettata o parziale della motivazione della sentenza con cui era stata annullata la precedente pronunzia d'appello, rende evidente che l'accoglimento del primo motivo di ricorso e dei motivi nuovi proposti avverso quest'ultima era stato specificamente ed esclusivamente riferito dalla Prima Sezione di questa Corte (pp. 7 e 8 della sentenza) alle doglianze relative alla omessa considerazione da parte della Corte d'appello di Messina, ai fini della valutazione della sua imputabilità, della documentazione relativa al ricovero subito dal F. nel 1982. Omissione che secondo i giudici di legittimità aveva inciso sulla completezza della motivazione adottata per escludere l'assoluta incapacità dell'imputato, giacché tale giudizio era stato espressamente correlato, tra l'altro, al difetto della prova del suddetto ricovero. Conseguentemente il vincolo di rinvio che gravava sulla Corte reggina era costituito esclusivamente dall'impossibilità di motivare sull'imputabilità del F. senza adeguatamente giustificare la rilevanza o l'irrilevanza in tal senso della menzionata documentazione.
2.3 E non v'è dubbio che la Corte territoriale abbia puntualmente rispettato tale vincolo, avendo proceduto non solo ad acquisire formalmente la documentazione di cui si è detto - nonché quella relativa alla visita cui il F. era stato sottoposto nel 1990, nemmeno presa in considerazione in sede rescindente e pervero già acquisita nel primo grado di giudizio all'udienza del 5 novembre 2008 - ma avendo la stessa altresì disposto una nuovo audizione del perito che aveva relazionato nel primo grado di giudizio sull'imputabilità del F. , ritraendo da tale compendio istruttorie) elementi compiutamente illustrati e valutati nella motivazione della sentenza impugnata.
Gli ulteriori adempimenti istruttori di cui il ricorrente lamenta l'omissione - e di cui si dirà più diffusamente in seguito - non erano dunque stati presi in considerazione dalla sentenza di annullamento (né pervero risulta dalla stessa fossero stati sottoposti al giudice di legittimità nell'occasione) e pertanto il rigetto delle richieste avanzate in tal senso dalla difesa nel giudizio d'appello palesemente non integra la violazione dell'art. 627 c.p.p. prospettata con i motivi in esame, che, come accennato, devono ritenersi manifestamente infondati.
3. I motivi dal secondo al sesto del ricorso, i primi due motivi nuovi nella parte non riferita alla violazione dell'art. 627 c.p.p., così come il terzo motivo nuovo, al di là delle specifiche censure con essi coltivate che si analizzeranno nel prosieguo, muovono dal comune presupposto rappresentato dal tentativo della difesa del F. di modificare la piattaforma cognitiva del giudice di rinvio attraverso una articolata richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, con la quale si invocava soprattutto l'acquisizione della documentazione di cui si è detto in precedenza al punto 2 della presente motivazione, nonché l'audizione del Dott. R. , consulente tecnico della difesa, o, in subordine, l'acquisizione delle dichiarazioni rese dal medesimo nel separato procedimento temutosi dinanzi al Tribunale di Patti nei confronti dell'imputato per il connesso reato di ricettazione dell'arma utilizzata per l'omicidio (prove queste ultime due di cui veniva evidenziata la sopravvenienza rispetto al giudizio di primo grado) e delle deduzioni svolte dallo stesso R. alla perizia psichiatrica assunta nell'incidente probatorio.
3.1 A parte la documentazione relativa al ricovero del 1982, la Corte territoriale rigettava l'istanza con ordinanza del 7 marzo 2012, escludendo la necessità delle ulteriori integrazioni probatorie proposte dalla difesa. E su tale decisione ed sui presunti riflessi della medesima sulla completezza della motivazione della sentenza impugnata si concentrano il quinto ed il sesto motivo di ricorso, nonché il primo dei motivi nuovi, cui deve essere riservata priorità di trattazione e che risultano comunque tutti indistintamente infondati e, per certi versi, anche inammissibili.
3.2 Va in proposito ricordato quali siano i limiti della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nel giudizio abbreviato d'appello. In proposito questa Corte ha costantemente affermato come la celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato, se non impedisce al giudice d'appello di esercitare i poteri di integrazione probatoria, comporta tuttavia l'esclusione di un diritto dell'imputato a richiedere la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ed un corrispondente obbligo per il giudice di motivare il diniego di tale richiesta (ex multis Sez. 2, n. 3609 del 18 gennaio 2011, Sermone e altri, Rv. 249161) e ciò in quanto è necessario coordinare - avendo il legislatore del 1999 trascurato di farlo - l'istituto della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con la peculiare disciplina del giudizio abbreviato, al fine di evitare irrazionali asimmetrie nella definizione della base cognitiva nei due gradi di giudizio.
3.3 Con la richiesta incondizionata, infatti, l'imputato rinuncia al diritto di assumere prove diverse da quelle già acquisite agli atti, consuma quindi il suo diritto alla prova integrativa; con la richiesta condizionata rinuncia, invece, al diritto di assumere prove diverse da quelle integrative richieste come condizione per l'accesso al giudizio. In entrambi i casi, l'eventuale ulteriore integrazione probatoria è rimessa, dall'art. 441 comma 5 c.p.p., ai poteri officiosi del giudice, che vi provvede se ne reputa la necessità ai fini della decisione. Se questi sono i principi che informano il giudizio di primo grado, non vi è per l'appunto ragione di discostarsene in appello. Ne deriva che l'imputato, giudicato in seguito a richiesta condizionata, ha la facoltà di chiedere, nell'atto di appello o nei motivi "nuovi", a norma dell'art. 603 comma 1 c.p.p., la riassunzione di prove già acquisite nel giudizio di primo grado a seguito dell'accoglimento della sua richiesta condizionata. A maggior ragione, egli ha il diritto di censurare eventuali errori od omissioni in fase di istruzione del giudice di primo grado (si pensi ad una prova assunta in modo incompleto o non assunta).
3.4 Lo stesso imputato non ha, invece, il diritto di ottenere un ampliamento nel giudizio d'appello della piattaforma cognitiva, avendo come detto rinunciato a quello di assumere prove diverse da quelle certificate dallo stato degli atti sulla base del quale ha accettato di essere giudicato o da quelle a cui abbia eventualmente subordinato la sua adesione al rito alternativo. La richiesta in tal senso proposta non è dunque espressione di un diritto conferitogli dalla legge processuale - tale dunque da imporre al giudice che non lo soddisfi uno specifico obbligo di motivazione -, ma semplicemente della residua facoltà di sollecitare l'attivazione dei poteri officiosi del giudice, che sono esclusivamente quelli dettati dal terzo comma del citato art. 603 e la cui attivazione presuppone che la rinnovazione dell'istruzione venga ritenuta "assolutamente necessaria" ai fini della decisione.
3.5 Ed il principio in oggetto non si modifica nel caso in cui la sollecitazione dell'imputato riguardi l'assunzione di prove nuove sopravvenute o scoperte successivamente, atteso che la regola fissata in proposito dal secondo comma dell'art. 603 deve essere coniugata con la ricordata struttura del rito speciale, spettando quindi in ogni caso al giudice la valutazione sulla assoluta necessità della loro acquisizione (Sez. 1, n. 35846 del 23 maggio 2012, P.G. in proc. Andati, Rv. 253729).
Conclusivamente sul punto deve dunque ritenersi che, attenendosi ai principi illustrati, la Corte territoriale abbia legittimamente rigettato l'stanza ex art. 603 c.p.p. dell'imputato rilevando la non necessità delle integrazioni probatorie richieste.
3.6 Certamente inammissibile, in quanto manifestamente infondata, è poi l'ulteriore doglianza avanzata con il quinto motivo in relazione alla presunta violazione del diritto alla controprova dell'imputato. Infatti, se il ricorrente ha inteso riferirsi al diritto di contrastare la perizia, è appena il caso di annotare come l'imputato abbia nominato nel corso dell'incidente probatorio un consulente e non risulta che successivamente abbia subordinato l'accesso al giudizio abbreviato alla sua audizione o che l'abbia richiesta nel corso dello svolgimento del rito invocando il diritto alla controprova, cui pertanto deve ritenersi abbia implicitamente rinunziato. Se invece la censura dovesse ritenersi correlata al fatto che la Corte territoriale aveva disposto la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nei termini in precedenza illustrati, va evidenziato come l'integrazione probatoria ammessa fosse stata sollecitata proprio dall'imputato, il che esclude la stessa configurabilità del diritto alla controprova, atteso che quelle oggetto della menzionata integrazione non potevano essere considerate prove a carico dell'imputato nel senso accolto dall'art. 495 c.p.p..
3.7 Nuovamente inammissibile è infine il sesto motivo nella parte in cui lamenta la violazione dell'art. 606 lett. d) c.p.p., giacché non da luogo a vizio della sentenza deducibile con il ricorso per cassazione per mancata assunzione di una prova decisiva il mancato accoglimento nel corso del giudizio abbreviato non condizionato, della sollecitazione dell'imputato all'esercizio dei poteri giudiziali officiosi in tema di prova (Sez. 6, n. 15086 del 8 marzo 2011, Della Ventura e altri, Rv. 249910), quale deve essere considerata - per le ragioni illustrate in precedenza - la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale avanzata al giudice d'appello.
4. Sono invece infondate, sebbene ai limiti dell'inammissibilità, le censure avanzate con il primo motivo di ricorso alla tenuta argomentativa della sentenza impugnata, in quanto del tutto assertive e prive di ancoraggio al compendio probatorio di riferimento.
4.1 La Corte territoriale ha infatti ritenuto, in maniera non manifestamente illogica e coerente con il contenuto dell'evidenza disponibile, la parziale capacità di intendere e volere del F. al momento del fatto in ragione degli esiti della perizia psichiatrica svolta nel primo grado di giudizio e dell'audizione del perito avvenuta in appello. Non di meno i giudici reggini hanno dimostrato piena consapevolezza degli approdi della giurisprudenza di legittimità in merito alla potenziale incidenza dei disturbi della personalità sull'imputablità dell'autore del reato, ma hanno negato che nel caso di specie il disturbo di tal genere diagnosticato all'imputato avesse inciso a tal punto sulla sua capacità di intendere da escluderla completamente.
4.2 Il ricorrente, nel confutare la linea argomentativa della sentenza, in realtà muove un'articolata critica alle conclusioni tratte dal perito e recepite dalla Corte territoriale. Critica che però, fondandosi sul quel parere del consulente della difesa mai entrato a far parte del corredo probatorio del processo, risulta per l'appunto assertiva nella misura in cui offre un lettura alternativa dei dati probatori priva di un effettivo sostegno ed in definitiva si riduce ad una personale interpretazione del difensore dello stato di salute psichiatrica dell'imputato.
4.3 Nemmeno con riguardo alla valutazione degli elementi integrativi acquisiti nel giudizio d'appello le critiche avanzate con il ricorso appaiono fondate, atteso che la Corte territoriale non ha negato le potenzialità evolutive delle nevrosi manifestate in gioventù dall'imputato, ma ha escluso più semplicemente che al momento dell'omicidio l'evoluzione delle stesse in malattia conclamata potesse ritenersi compiuta, basandosi a tal fine in maniera tutt'altro che illogica sulle dichiarazioni rese dal perito nel corso del rinnovamento dell'istruttoria.
5. Nuovamente inammissibili si rivelano anche il terzo ed il quarto motivo, con cui si lamenta la nullità della sentenza per l'omessa motivazione sui rilievi svolti nelle memorie difensive del 21 febbraio 2012 e del 26 marzo 2012.
5.1 In proposito deve innanzi tutto ricordarsi come l'orientamento maggioritario nella giurisprudenza di questa Corte - cui il collegio intende aderire - è nel senso che l'omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive (Sez. 6, n. 18453 del 28 febbraio 2012, Cataldo e altri, Rv. 252713). Al riguardo va infatti ribadito che, nonostante qualche isolata pronuncia lo abbia sostenuto, dalla omessa considerazione di una memoria difensiva non consegue di per sé alcuna nullità, non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge. Naturalmente, le ragioni difensive vanno, attentamente considerate dal giudice cui vengono rivolte, siano esse espresse in un motivo di impugnazione, in una memoria scritta o nell'ambito di un intervento orale, ma le conseguenze di una mancata considerazione rifluiscono sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione che chiude la fase o grado nel cui ambito tali ragioni, eccezioni, o motivi di impugnazione siano stati espressi.
5.2 Ciò premesso deve ulteriormente precisarsi come il diritto di presentare memorie al giudice previsto dall'art. 121 c.p.p. non può essere strumentalizzato dalle parti per aggirare le regole previste in materia probatoria dalla legge processuale. Ed è sulla base di tale principio che questa Corte ha ad esempio affermato che la consulenza tecnica non possa essere introdotta ed acquisita nel giudizio di appello, ex art. 121 c.p.p., come memoria e non possa essere utilizzata dal giudice ai fini della decisione se le parti si oppongono alla sua utilizzazione (Sez. 1, n. 43021 del 2 ottobre 2012, Panuccio, Rv. 253802).
5.3 Nel caso di specie, con la memoria depositata il 26 marzo 2012, la difesa ha cercato di introdurre nel procedimento il già menzionato parere tecnico del Dott. R. , trasfondendone il contenuto nel corpo dell'atto per presentarlo come autonoma confutazione dja parte del difensore delle conclusioni raggiunte dal perito, tentando così di eludere i limiti apposti (legittimamente, come detto in precedenza) dalla Corte territoriale all'Integrazione della prova.
Se pacificamente la memoria non ha modificato il perimetro del compendio probatorio a disposizione dei giudici d'appello, deve altresì escludersi che in tal modo il difensore abbia sviluppato argomentazioni la cui mancata confutazione in forma specifica possa ritenersi aver inciso sulla completezza o sulla tenuta logica della sentenza impugnata. Infatti quelle svolte sono considerazioni che - analogamente a quelle proposte con il primo motivo dell'odierno ricorso - non trovavano riscontro in un preciso dato probatorio legittimamente acquisito e che si risolvono per lo più in vantazioni di carattere tecnico e scientifico la cui veicolazione nel processo è vincolata a precise regole a tutela della loro attendibilità e il cui mancato rispetto ha sollevato il giudice da ogni onere di confutazione.
5.4 Ed ancor più evidente è la manifesta infondatezza delle doglianze connesse alla memoria del 21 febbraio 2012, nella quale la difesa ha contrastato le conclusioni della perizia psichiatrica, argomentando dalle dichiarazioni rese dal Dott. R. in separato procedimento e di cui contestualmente aveva richiesto l'acquisizione. Posto infatti che, come abbondantemente illustrato, la Corte territoriale ha negato tale acquisizione, nessun dovere di tenere conto delle suddette argomentazioni difensive gravava su quest'ultima, atteso che le medesime si fondavano su un dato estraneo alla piattaforma probatoria utilizzabile per la decisione.
6. Infondato ai limiti dell'inammissibilità si rivela anche il secondo motivo (ripreso nei motivi nuovi), con il quale il ricorrente contesta nuovamente la completezza della motivazione per l'omesso confronto con le deduzioni svolte dal consulente della difesa alle conclusioni del perito d'ufficio in merito alla diagnosi del disturbo che affliggeva il F. al momento della consumazione dell'omicidio.
In proposito va evidenziato come tali deduzioni - allegate al ricorso - vennero redatte dal consulente di parte su mandato del precedente difensore dell'imputato, ma mentre le prime, quelle predisposte nel 2007, vennero utilizzate per sollecitare la disposizione della perizia psichiatrica, le successive non risulta siano state prodotte ed acquisite, né il ricorrente ha saputo indicare quando eventualmente ciò sarebbe avvenuto, limitandosi ad affermare in maniera generica la loro acquisizione nel corso del giudizio di primo grado. Affermazione che peraltro appare in contraddizione con la richiesta presentata al giudice d'appello di acquisirle ai sensi dell'art. 603 c.p.p..
Ma anche a prescindere da tale circostanza, le censure del ricorrente risultano, come accennato, comunque infondate, atteso che delle prime deduzioni ha tenuto conto sia il perito che la sentenza di primo grado, cui la Corte territoriale ha sostanzialmente rinviato attesa la genericità dei motivi d'appello sul punto e l'inammissibilità di quelli nuovi (in quanto intempestivi, come già rilevato anche nella sentenza della Corte d'appello di Messina), mentre le seconde, attraverso la diffusa motivazione adottata dai giudici d'appello sulle ragioni che li hanno portati a condividere le conclusioni del perito d'ufficio, sono state implicitamente confutate.
7. Infondate sono infine le doglianze contenute nel settimo motivo di ricorso e ribadite con l'ultimo dei motivi nuovi attraverso cui si contesta l'entità della diminuzione della pena applicata in relazione all'attenuante di cui all'art. 89 c.p.. Infatti i giudici d'appello hanno esaurientemente spiegato le ragioni per cui hanno deciso di limitare l'abbattimento della pena, ancorandosi in maniera non manifestamente illogica alla gravità del fatto ed alla conservata capacità del F. di graduare la propria reazione agli impulsi viziati dal disturbo di cui soffriva. Né la rilevante compromissione della capacità di intendere pure riconosciuta dalla Corte è in contraddizione con la consistenza della diminuzione operata - come invece pretenderebbe il ricorrente - atteso che è lo stesso art. 89 c.p. citato a presupporre, per la rilevanza attenuante del vizio parziale di mente, che la capacità di intendere e volere dell'autore del reato risulti grandemente scemata a causa dello stesso.
8. Tutti i ricorrenti devono essere infine condannati al pagamento delle spese processuali, mentre quelle tra le parti private devono essere compensate vista la reciproca soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi delle parti civili che condanna al versamento della somma di Euro 1.000 ciascuna in favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta il ricorso dell'imputato.
Condanna tutti i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
Compensa le spese tra le parti private.
Avv. Antonino Sugamele

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