Errata diagnosi mortale: la moglie del paziente ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 25 marzo - 4 giugno 2013, n. 14040
Presidente Petti – Relatore Lanzillo
Svolgimento del processo
I coniugi G..G. e A..D.F. hanno proposto al Tribunale di Napoli domanda di risarcimento dei danni per responsabilità medica contro L'Azienda Universitaria Policlinico (oggi Azienda Ospedaliera Università (omissis) ) di ..., la ASL Napoli X e la Regione Campania, a seguito di un intervento chirurgico su G. , eseguito il ....
L'operazione - che riguardava l'asportazione di un neo dalla gamba - era stata ampiamente distruttiva ed aveva residuato una leggera zoppia. Inoltre uno dei medici aveva comunicato i due coniugi, prima ancora di avere effettuato la biopsia, che trattavasi di un melanoma, per il quale sarebbero rimasti al G. pochi mesi di vita.
Questi era caduto in uno stato di profonda depressione, che aveva coinvolto anche la moglie, salvo poi ricevere con grande ritardo dagli stessi medici la comunicazione che l'esame istologico aveva rivelato trattarsi di una semplice cisti seborroica.
Le somme chieste in risarcimento dei danni ammontavano a L. 700 milioni per il G. e a L. 300 milioni per la D.F. .
Si sono costituite la ASL, la Regione Campania e l'Azienda Ospedaliera.
Le prime due hanno negato la propria legittimazione passiva; la terza ha contestato ogni responsabilità ed ha chiamato in causa la s.p.a. RAS, l'Assitalia, la Reale Mutua Assicurazioni e la Nuova Tirrena, coassicuratrici, che hanno anch'esse resistito alle domande.
Esperita l'istruttoria anche tramite CTU, il Tribunale ha dichiarato carente di legittimazione passiva la ASL Napoli X ed ha condannato in solido l'Azienda Universitaria Policlinico e la Regione Campania, nonché le compagnie assicuratrici a risarcire i danni al solo G. , nella misura di Euro 22.205,89, oltre alle spese di lite, rigettando ogni altra domanda.
Proposto appello principale dai G. - D.F. e incidentale dalla Regione Campania, la Corte di appello di Napoli, con sentenza 23 maggio - 22 dicembre 2008 n. 4384, ha riconosciuto a G..G. il diritto al risarcimento dei danni morali, quantificati in motivazione in "Euro 50.00.000" e nel dispositivo in Euro 50.000.000; ha ridotto ad Euro 16.654,42 la somma attribuitagli in risarcimento del danno biologico, ed ha condannato al pagamento la Regione Campania, l'Azienda Universitaria Policlinico e l'Università (omissis) , in via fra loro solidale, nonché le compagnie assicuratrici, ognuna per la quota di sua competenza dell'importo assicurato. Ha respinto le domande risarcitorie della D.F. .
Con atto notificato in data 8 febbraio 2010 la Regione Campania ha proposto due motivi di ricorso per cassazione, a cui ha resistito Allianz con controricorso illustrato da memoria.
Con altro atto, notificato il 5-10 febbraio 2010, hanno proposto ricorso per cassazione anche il G. e la D.F. , a cui hanno resistito con controricorso con controricorso INA Assitalia e Allianz e con ricorso incidentale condizionato la Regione Campania.
Replicano con controricorso al ricorso incidentale i G. - D.F. .
Motivi della decisione
1.- Il ricorso principale è quello proposto dalla Regione Campania, la cui notificazione si è perfezionata in data anteriore, tramite la consegna dell'atto ai destinatari in data 8 febbraio 2010.
Il ricorso proposto dai danneggiati è stato invece notificato il 10 febbraio successivo, pur se la richiesta di notifica risale a data anteriore (5 febbraio 2010).
Al fine di stabilire l'anteriorità dell'una notificazione rispetto all'altra si deve infatti avere riguardo alla data del perfezionamento della notificazione, piuttosto che a quella della richiesta.
La questione non ha comunque pratico rilievo, considerato che entrambi i ricorsi sono stati tempestivamente proposti entro il termine di decadenza di cui all'art. 327 cod. proc. civ..
2.- Ciò premesso, i due ricorsi debbono essere riuniti (art. 335 cod. proc. civ.).
3.- Deve essere preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale della Regione per tardività, eccezione sollevata dai G. - D.F. sul rilievo che il termine per la notificazione sarebbe venuto a scadere il 6 febbraio 2010, essendo stata depositata la sentenza impugnata il 22 dicembre 2008.
Il 6 febbraio 2010 era infatti un sabato, sicché il termine per la notificazione era prorogato al lunedì successivo, 8 febbraio 2010, a norma dell'art. 155, 5 comma, cod. proc. civ., come modificato dalla legge 23 febbraio 2006 n. 51, dichiarata applicabile anche ai processi in corso alla data dell'entrata in vigore della legge stessa (art. 58, 3 comma, legge 18 giugno 2009 n. 69).
Il ricorso è stato quindi proposto tempestivamente.
4.- Il ricorso incidentale della Regione è ammissibile, pur se fondato sulle medesime ragioni già fatte valere con il ricorso principale precedentemente notificato, sia perché è stato notificato prima che fosse intervenuta alcuna pronuncia di inammissibilità o di improcedibilità del ricorso principale, sicché il potere di impugnazione non può ritenersi consumato (art. 387 cod. proc. civ.; Cass. Civ. Sez. 5 11 maggio 2012 n. 7344; Cass. Civ. Sez. 3, 12 novembre 2010 n. 22957); sia perché tempestivo in relazione all'art. 325, 2 comma, cod. proc. civ., essendo stato notificato il 16 marzo 2010, entro i sessanta giorni dal 6 febbraio 2010: data in cui la Regione, richiedendo la notifica del ricorso principale, ha dimostrato di avere acquisito legale conoscenza della sentenza impugnata (cfr. Cass. Civ. Sez. 3, 12 novembre 2010 n. 22957 cit.); sia perché ammissibile ancorché tardivo ai sensi dell'art. 327 cod. proc. civ., in virtù della tempestiva proposizione del ricorso principale dei G. - D.F. .
I motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale della Regione vanno tuttavia congiuntamente esaminati, in quanto propongono le medesime questioni.
5.- Con il primo motivo la Regione Campania denuncia violazione dei d.lg.vi n. 502 del 1992 e n. 229/1999, e della legge regionale n. 32/1994, nonché degli art. 1218 e 1228 cod. civ., nel capo in cui la Corte di appello ha respinto la sua eccezione di difetto di legittimazione passiva. L'eccezione si basa sul fatto che le suddette disposizioni di legge hanno assegnato alle Aziende Ospedaliere, alle Aziende Sanitarie locali ed ai Policlinici universitari completa autonomia organizzativa, gestionale e contabile, sicché esse non sono soggette ad alcun obbligo di vigilanza da parte della Regione, alla quale non può essere imputata alcuna responsabilità per culpa in vigilando.
Rileva la ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che sia stata attribuita l'autonomia gestionale e la personalità giuridica alle Aziende Universitarie solo nel 1999, con d.lgs. n. 299/1999, quindi successivamente agli illeciti di cui si discute, verificatisi nel 1996. Richiama l'art. 16 n. 5 della legge della Regione Campania n. 32 del 1994 - che ha disposto l'obbligo delle Facoltà di Medicina e Chirurgia di costituirsi in Azienda Ospedaliera secondo il modello gestionale di cui all'art. 15 della legge stessa - e il Decreto Rettorale del 18 ottobre 1994, pubblicato sulla G.U. 31 ottobre 1994 n. 255, con cui l'Università (OMISSIS) ha costituito il Policlinico in Azienda Ospedaliera, sicché a tale data deve farsi risalire l'autonomia organizzativa.
5.1.- Le censure sono inammissibili non tanto ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ. - come prospettato dai resistenti - poiché il quesito formulato a conclusione del motivo è sufficientemente chiaro e specifico e consente di comprendere la questione di diritto sottoposta all'attenzione della Corte.
Sono invece inammissibili per difetto di specificità, anche ai sensi dell'art. 366 n. 6 cod. proc. civ., poiché la ricorrente non ha prodotto nel presente giudizio, né ha dichiarato essere allegati agli atti, specificando come siano contrassegnati e come siano reperibili fra gli altri atti e documenti di causa, gli atti e i documenti su cui il ricorso si fonda, ed in particolare il decreto rettorale del 1994, che avrebbe dato attuazione ai citati provvedimenti amministrativi circa l'autonomia gestionale da attribuirsi alle aziende ospedaliere ed ai policlinici universitari, come prescritto a pena di inammissibilità dall'art. 366 n. 6 cod. proc. civ., con riguardo agli atti ed ai documenti sui quali il ricorso si fonda (Cass. civ. 31 ottobre 2007 n. 23019; Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766 e 11 febbraio 2010 n. 8025; Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. civ. Sez. Lav, 7 febbraio 2011 n. 2966, fra le tante; nonché Cass. civ. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726, quanto alla necessità della specifica indicazione del luogo in cui il documento si trova).
Le deduzioni della ricorrente circa la data da cui deve farsi decorre l'asserito difetto di legittimazione passiva non possono essere prese in esame.
6.- Con il secondo motivo, denunciando omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione sulla liquidazione dei danni morali, la ricorrente lamenta che - mentre il Tribunale aveva quantificato la somma dovuta a questo titolo in Euro 5.551,47 -la Corte di appello ha determinato l'importo dovuto non solo in modo incerto e incomprensibile, indicando in motivazione la somma di Euro 50.00.000, e nel dispositivo addirittura la somma di Euro 50.000.000, di gran lunga superiore alle stesse domande attrici; ma ha anche omesso ogni motivazione circa le ragioni per cui la somma dovuta in risarcimento debba quantificarsi in un importo tanto diverso e tanto superiore a quello indicato in primo grado.
6.1.- Il motivo è in parte fondato.
La sentenza impugnata ha ben motivato la sua decisione, quanto alla sussistenza del danno morale e quanto al diritto del G. di ottenerne il ristoro in misura maggiore di quella liquidata in primo grado, soffermandosi sui vari aspetti in cui il danno non patrimoniale si è nella specie concretizzato ed illustrando le ragioni per cui ha ritenuto di dover aumentare la somma spettante in risarcimento. La Corte di appello non ha però fornito alcun criterio da cui si possa desumere quale debba essere la misura di un tale incremento, neppure per quel tanto che potrebbe consentire di procedere alla correzione della sentenza.
È presumibile che abbia voluto riferirsi all'importo di Euro 50.000,00, ma non vi è alcun dato testuale certo da cui trarre una tale conclusione, a fronte delle diverse somme indicate nella motivazione e nel dispositivo, la prima delle quali è fra l'altro incomprensibile.
La sentenza impugnata deve essere su questo punto annullata e la questione riesaminata e decisa in sede di merito, sulla base dei principi e dei criteri equitativi che normalmente presiedono alla liquidazione dei danni non patrimoniali.
2. - RICORSO INCIDENTALE G. - D.F. .
7.- Con il primo motivo, denunciando violazione di molteplici norme del codice civile, fra cui in particolare gli art. 2059, 2043, 2056, 1223 e 1226, nonché vizi di motivazione, la ricorrente D.F. lamenta che le sia stato negato il risarcimento dei danni morali che ha subito di persona, per effetto delle lesioni e delle sofferenze inferte al marito e della situazione di angoscia provocatale dalle false informazioni sulla asserita malattia mortale di lui, smentite con imperdonabile ritardo.
La ricorrente critica il principio affermato dalla Corte di appello, secondo cui i congiunti potrebbero far valere i danni c.d. "riflessi" solo a fronte di lesioni seriamente invalidanti della persona cara, e denuncia la contraddittorietà insita nell'avere affermato che le lesioni subite dal G. sono state gravi e meritevoli di un risarcimento di Euro 70.000,00, ed avere contestualmente escluso che esse giustifichino il risarcimento dei danni morali subiti dalla moglie convivente.
7.1.- Il motivo è fondato sotto il profilo dell'insufficiente e non congrua motivazione.
La Corte di appello ha dato atto che - a seguito dell'intervento chirurgico superfluamente distruttivo e dell'errata notizia di essere affetto da una malattia mortale con breve aspettativa di sopravvivenza, notizia smentita con grave ritardo rispetto a quanto sarebbe stato possibile - il G. è rimasto vittima di uno stato ansioso, con elaborazione depressiva e presenza di somatizzazioni, come accertato da una relazione medica del Servizio di Neuropatologia del Dipartimento di Patologia Sistematica dell'Università di XXXXXX (pag. 10 della sentenza); che tale stato si è protratto anche dopo il responso dell'esito favorevole della biopsia, per il timore dell'infortunato che si trattasse di una pietosa bugia e che i familiari gli nascondessero la verità; che per effetto della situazione anche la moglie appariva distrutta a causa dello stato psicologico del marito, dovendo per di più farsi carico della suocera anziana in casa.
Sulla base di tali premesse la Corte di appello ha però negato la rilevanza dei danni morali con motivazione sostanzialmente apodittica: dichiarando cioè che il danno morale dei congiunti assume rilievo solo se "può ricondursi alle ipotesi di lesioni seriamente invalidanti, tali cioè da rendere di particolare gravità le sofferenze del soggetto leso e, di riflesso, quelle dei suoi prossimi congiunti e da compromettere lo svolgimento delle relazioni affettive" (pag. 11).
A parte il fatto che non può in linea di principio escludersi che il danno psichico, soprattutto gli stati depressivi, possano assumere un tale rilievo da doversi considerare gravemente invalidanti, è indubbio che nella specie la situazione venutasi a creare era obiettivamente idonea a configurare sofferenze di particolare gravità non solo per il soggetto direttamente leso, ma anche per colei che da anni ne condivideva la vita, ed era certamente tale da compromettere 10 svolgimento delle relazioni affettive (come ben sperimenta chi si trovi a convivere con un depresso).
11 diniego di ogni rilievo a tali sofferenze, quale danno morale meritevole di un risarcimento, è perciò conclusione pressoché immotivata e contraddittoria rispetto alle premesse sopra richiamate.
Questa Corte ha più volte deciso che l'illecito può esplicare a carico degli stretti congiunti una sua potenzialità lesiva autonoma, venendo così ad assumere una valenza plurioffensiva, sì da poter essere considerato come causa immediata e diretta non solo del danno subito dalla vittima, ma anche di quello subito dal congiunto (cfr. per tutte, Cass. civ. S.U. 1 luglio 2002 n. 9556).
La sentenza impugnata deve essere sul punto annullata.
8.- Il secondo motivo del ricorso incidentale, che concerne la liquidazione delle spese processuali dei gradi di merito, risulta assorbito.
9.- In conclusione, debbono essere accolti il secondo motivo del ricorso principale, proposto dalla Regione Campania, ed il primo motivo del ricorso incidentale della D.F. . La sentenza impugnata deve essere cassata, nei capi interessati dai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, affinché riesamini e decida le relative questioni, chiarendo con adeguata motivazione quale sia la somma da liquidarsi al G. in risarcimento dei danni morali, determinandone l'importo in una somma non superiore a quella di cui alle domande formulate dal danneggiato nel corso del giudizio, e perché esamini e decida con congrua e logica motivazione se la D.F. abbia anch'essa diritto al risarcimento dei danni morali, ed in quale misura.
7.- La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte di cassazione riunisce i ricorsi.
Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, proposto dalla Regione Campania; rigetta il primo motivo e dichiara assorbito il ricorso incidentale proposto dalla stessa. Accoglie il primo motivo del ricorso incidentale proposto dai coniugi G. e dichiara assorbito il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
06-06-2013 22:58
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