E' esercizio del diritto di critica politica dire "L’IDV è un partito personale guidato con mano di ferro da Di Pietro". Non è reato.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 – 19 dicembre 2013, n. 51439
Presidente Esposito – Relatore Gallo
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 10/5/2013, il Gup presso il Tribunale di Roma dichiarava non doversi procedere a carico di T.N. imputato dei reati di tentata estorsione (Capo A), diffamazione (Capo B) e calunnia (Capo C) in danno di D.P.A. con la formula perché il fatto non sussiste in ordine al capo A) e perché il fatto non costituisce reato in ordine ai capi B) e C).
2. T.N. aveva assunto nell'ottobre 2009 l'incarico di responsabile del Dipartimento cultura ed istruzione per il partito politico Italia dei Valori (IDV), ricevendo un compenso mensile contrattualmente determinato di circa Euro 1.700. Nel marzo del 2011 la tesoriera dell'IDV gli comunicava che la collaborazione con il partito doveva ritenersi definitivamente risolta. Le richieste del T. di ripristinare il rapporto ed i pagamenti da parte dell'IDV o di ottenere l'assicurazione di una sua futura candidatura, anche attraverso uno scambio di sms con D.P.A. , erano rimaste senza esito. In seguito il T. pubblicava un articolo dal titolo "Perché lascio l'IDV" sulla sua pagina Facebook, e rilasciava delle interviste riprese dalle agenzie di stampa e dai principali quotidiani in cui scagliava delle accuse contro D.P. e la sua gestione del partito. Quindi T. presentava una querela contro D.P. , accusandolo di diffamazione per aver rilasciato in una trasmissione radiofonica delle dichiarazioni in cui accusava T. di averlo ricattato.
A seguito di una denunzia querela di D.P.A. veniva avviata un'indagine preliminare all'esito della quale il P.M. formulava a carico di T.N. le imputazioni di tentata estorsione, diffamazione e calunnia, chiedendone il rinvio a giudizio. Il GUP dichiarava non doversi procedere con la formula su indicata, osservando che il materiale probatorio non era suscettibile di ulteriori sviluppi in dibattimento.
3. Avverso tale sentenza propone ricorso la parte civile D.P.A. dolendosi di violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento a tutti e tre i capi di imputazione.
4. Con riferimento al capo A) il ricorrente contesta le conclusioni del Gup in ordine all'assenza dell'elemento oggettivo dell'ingiusto profitto ed eccepisce che, ove venisse meno tale elemento, il fatto comunque integrerebbe gli estremi del tentativo di violenza privata.
5. Con riferimento al reato di diffamazione di cui al capo B), il ricorrente deduce mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Al riguardo eccepisce che le dichiarazioni rilasciate dal T. , avendo oggetto fatti o ricostruzioni storiche non corrispondenti al vero, travalicavano i limiti del diritto di critica politica.
6. Con riferimento al reato di calunnia di cui al capo C), eccepisce che il T. , accusando il D.P. di diffamazione non poteva non essere consapevole dell'infondatezza di tale accusa.
7. Il difensore dell'imputato ha depositato memoria resistendo al ricorso della parte civile.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.
2. Per quanto riguarda la contestazione di tentata estorsione di cui al capo A), legittimamente il Gup ha dichiarato non doversi procedere, dal momento che dagli elementi probatori in atti, non suscettibili di modificazioni in dibattimento trattandosi di prova documentali, non emergono gli estremi della condotta punibile per il delitto di estorsione. Dall'esame accurato della documentazione in atti (sms e mail) il Gup legittimamente ha escluso la sussistenza del fine di perseguire un ingiusto profitto, poiché il T. ha sostanzialmente protestato contro la sua esclusione dal ruolo (e dal compenso) che svolgeva nel partito dell'IDV e se ne è lamentato con il suo Presidente, non accettando di uscire di scena silenziosamente. Si tratta di fatti espressivi di una conflittualità personale legata alle modalità di gestione di un partito politico, che rimangono al di sotto della soglia della fattispecie penale contestata ed anche del reato di violenza privata, poiché gli sms risentiti inviati da T. a D.P. non possono essere considerati atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere il Presidente dell'IDV a fare o non fare qualunque cosa.
3. Ugualmente inammissibili, in quanto manifestamente infondate, sono le censure in punto di diffamazione aggravata. In punto di diritto non v'è dubbio che in tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini dell'applicazione dell'esimente di cui all'art. 51 cod. pen., la critica politica - che nell'ambito della polemica fra contrapposti schieramenti può anche tradursi in valutazioni e commenti tipicamente "di parte", cioè non obiettivi - deve pur sempre fondarsi sull'attribuzione di fatti veri, posto che nessuna interpretazione soggettiva, che sia fonte di discredito per la persona che ne sia investita, può ritenersi rapportabile al lecito esercizio del diritto di critica, quando tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti opposta alla verità (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7419 del 03/12/2009 Ud. (dep.24/02/2010) Rv. 246096).
4. Il ricorrente deduce che nella fattispecie non sarebbe applicabile la scriminante dell'esercizio del diritto di critica in quanto le dichiarazioni rilasciate dal T. hanno ad oggetto fatti e/o ricostruzioni storiche non corrispondenti al vero. Due sarebbero - secondo la parte civile ricorrente - le circostanze non corrispondenti al vero:
1) Non è vero che T. avrebbe ricevuto dall'IDV solo "un esiguo rimborso spese mensile";
2) È falso che V.E. e C.G. avrebbero avuto "un trattamento discutibile dal partito".
3) È falso che i rimborsi elettorali delle elezioni Europee del 2004 sono stati incamerati da D.P. .
Orbene il fatto che T. percepisse "un esiguo rimborso spese mensile" piuttosto che un compenso mensile ed un rimborso spese a pie di lista, è circostanza del tutto irrilevante che, oltretutto non attribuisce nessun fatto disonorevole al Presidente dell'IDV, mentre per quanto riguarda V. e C. , il T. , si doleva nell'articolo pubblicato sul suo blog che costoro avevano ricevuto un "trattamento discutibile" e, nell'intervista al giornale on line il Tribuno.com, rappresentava che "hanno perso tutti i rimborsi elettorali delle Europee del 2004 incamerati poi da D.P. ". Orbene lo stesso ricorrente da atto che con V. e C. sono insorti dei conflitti che hanno dato luogo ad azioni giudiziarie ed a controversie in sede Parlamentare aventi ad oggetto i rimborsi elettorali delle Europee del 2004, che sono stati incamerati dalla lista nella disponibilità di D.P. . Il fatto che D.P. abbia avuto ragione nelle controversie insorte con V. e C. in ordine alla spartizione dei rimborsi elettorali, non impedisce che il comportamento, sia pur legittimo, tenuto da D.P. , possa essere sottoposto a disapprovazione sotto il profilo dell'opportunità e negativamente commentato. Né il T. ha mai attribuito a D.P. di avere incamerato personalmente i rimborsi elettorali spettanti alla lista. Quindi T. non ha attribuito ad D.P.A. fatti disonorevoli non veri, ma ha fornito una sua interpretazione polemica della gestione del partito dell'Italia dei Valori, sostanzialmente rappresentando che l'IDV "è un partito personale guidato con mano di ferro da D.P. ".
6. Non v'è dubbio che tali espressioni costituiscano libero ed incensurabile esercizio del diritto di critica politica garantito dall'art. 21 della Costituzione.
7. Infine è manifestamente infondato anche il terzo motivo di ricorso in quanto le espressioni che T. con la sua denuncia ha contestato a D.P. (T.N. ? Ha tentato di ricattarmi) astrattamente possono assumere carattere diffamatorio e sono state effettivamente pronunciate da D.P.A. nel corso di una trasmissione radiofonica il 21/3/2011, tanto che nel procedimento instaurato a carico dell'on. D.P. per diffamazione, il P.M. ha richiesto l'archiviazione, ravvisando la causa di non punibilità di cui all'art. 68 della Costituzione.
7. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.
22-12-2013 21:41
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