Due presidenti di due enti no profit si lamentano con google perchè facendo la ricerca sul web il sistema li associa alle parole "truffa e truffatore". E' l'algoritmo. Non è diffamazione.
Tribunale di Milano, sez. I Civile, ordinanza 29 gennaio – 25 marzo 2013
Giudice Bernardini
Ordinanza
Sul ricorso ex art. 700 cpc come in atti proposto da TIZIO e CAIO
sentite le parti, letti gli atti;
premessa la qualità affermata dai ricorrenti e non contestata dalla contropartem del Sig. TIZIO di presidente dei due enti noprofit denominati (omissis) impegnata nella difesa e promozione dell'infanzia in Italia e nel mondo, e (omissis) ente morale di ricerca impegnato nell'ambito dell'esportazione scientifica, della promozione del benessere sociale e della difesa dei diritti dell'infanzia;
considerato che i ricorrenti lamentano, nelle predette qualità, che inserendo i nomi (omissis) e (omissis) nella stringa di ricerca di Google, verrebbero visualizzate “frasi offensive e lesive dell'onore” e della reputazione personale del Sig. (omissis) e dell'(omissis) da esso rappresentate e segnatamente, i termini.
Che in particolare lamentano i ricorrenti la lesività delle associazioni dei predetti termini apparse nell'ambito dei servizi Google Autocomplete e Ricerche Correlate in abbinamento ai nominativi di (omissis) e (omissis) che, secondo i ricorrenti, Google avrebbe accolto solo in parte la richiesta di rimozione, eliminando solo l'accostamento con i termini “truffa” e “truffatore”, e in maniera esaustiva (anche, cioè, dal servizio Ricerche Correlate relative al nome (omissis)) solo a far tempo dal nuovo anno, come esemplificatamente da screenshot del 13.12.2012 (v. memoria illustrativa dei ricorrenti), e comunque in epoca successiva alla proposizione del ricorso, ritenendo di non dover rimuovere anche le altre associazioni di termini, segnatamente "setta" e "plagio", attualmente presenti nell'ambito dei servizi di Google Autocomplete e Ricerche Correlate in abbinamento ai nominativi di (omissis).
Che, secondo i ricorrenti sempre, in relazione ai servizi in questione Google sarebbe configurabile come "content provider" poiché la funzione di autocomplemento e quella che genera le ricerche correlate è pacificamente messa a punto da Google” e, quindi, il contenuto visualizzabile tramite tali servizi sarebbe generato sotto la responsabilità di Google e ad essa direttamente attribuibile;
che i ricorrenti aggiungono che, anche, qualora le funzioni di autocompletamento di ricerche correlate ricadessero nell'ambito dei servizi di “caching” o “hosting” di cui agli artt. 15 e 16 del D.Lgs. 70/2003. sarebbe comunque possibile attivare un procedimento cautelare inibitorio nei confronti del fornitore del servizio per chiedere la rimozione di tali contenuti;
che detti ricorrenti affermano, quanto al periculum in mora, che i termini contestati sarebbero di per sé sufficienti a determinare un “infangamento” della reputazione degli stessi”, e che la lesività delle espressioni oggetto di contestazione sarebbe dovuta alla loro decontestualizzazione ed al afatto che sarebbero offerte ad utenti internet con “spazio di attenzione … notoriamente molto limitato”
1. Ordinare alla società resistente la rimozione dalle proprie interfacce di ricerca in particolare nei servizi di “Autocompletamento” e “Ricerche Correlate” dell'associazione tra i nomi (omissis) e (omissis) con le parole “Truffa, “Plagio” e “Setta” o derivati e sinonimi
2. Condannare, in ogni caso, la parte resistente al pagamento delle spese, delle competenze e degli onorari della presente procedura.
3. Fissare un risarcimento per ogni giorni di inazione successivo al terzo della notifica del provvedimento e fino al giorno della completa rimozione dei termini “Plagio”, “Setta”, e “Truffa” come sopra, pari a non meno di euro 1.500 al giorno per i primi venti giorni, euro 3.000 al giorno per i successivi venti giorni e così via raddoppiando ogni successivo periodo di venti giorni.
Con riserva di ogni azione in ordine al risarcimento di tutti i danni subiti”.
Premesso altresì che i resistenti eccepiscono il difetto di legittimazione attiva della (omissis) nonché l'incompetenza territoriale del giudice adito e contestano nel merito gli assunti avversari;
ritenuta fondata l'eccezione, di difetto, di legittimazione della predetta onlus atteso che sul punto, come opposto dalla ricorrente in questione, deve aversi riguardo alla mera prospettazione attorea, al di là di ogni questione di merito circa la fondatezza della stessa; e che in forza di detta prospettazione, essendo il ricorso in realtà proposto altresì in via strumentale e cautelare rispetto all'azione di risarcimento dei danni, detta legittimazione si fonda sulla qualità della medesima ricorrente di soggetto asseritamente danneggiato dalla del pari asserita diffamazione in pregiudizio del suo fondatore e presidente;
ritenuto che anche l'eccezione di incompetenza territoriale risulta infondata, avendo come sopra la domanda di merito sottesa ad oggetto il risarcimento dei danni, patiti dai ricorrenti per effetto della addotta diffamazione nei confronti del TIZIO, nonché della (omissis).
che pertanto, vertendosi in tema di danni … derivanti dal pregiudizio dei diritti della personalità recati da mezzi di comunicazione di massa, la competenza per territorio si radica in riferimento al “forum commissi delicti” di cui all'art. 20 cod. proc. Civ. nel luogo del domicilio (o della sede della persona giuridica) o in caso di diversità anche della residenza del soggetto danneggiato (così Cass. SS.UU. 13.10.2009, n. 21661);
che essendo pertanto il ricorrente TIZIO residente a Milano all'epoca della preposizione della domanda ed essendo secondo la citata sentenza delle Sezioni Unite i criteri di residenza e domicilio alternativi e cumulativi(1), correttamente il giudice competente per il territorio è stato individuato dai ricorrenti nel Tribunale di Milano;
che comunque in Milano ha sede la ONLUS (omissis) e dunque, vertendosi nell'ipotesi di cumulo soggettivo prevista dall'art. 33 c.p., il Tribunale di Milano è competente per tutti i ricorrenti;
ritenuto tuttavia, nel merito, che il ricorso è infondato e va respinto per difetto del fumus bonis iuris;
che pare di poter escludere la qualità di “content provider” di Google affermata dai ricorrenti in relazione all'interfaccia di ricerca, definita “la pagina web con il logo di Google (doodle), un campo di inserimento, un paio di bottoni, ovvero per essere il contenuto visualizzabile tramite servizi di autocompletamento e quello che genera le ricerche correlate pacificamente messo a punto da Google e generato sotto la sua responsabilità;
che, quanto all'interfaccia, ciò è descritto dai ricorrenti si riferisce alla sola parte visibile, laddove trattasi, piuttosto del sistema di attivazione del servizio ondine composto da grafica e software che permette all'utente di attivare il servizio inserendo la domanda (“query”);
che dunque trattasi di un sistema di attivazione del servizio e non certo di una funzione né di un contenuto;
che la pari non può affermarsi la suddetta qualità di Google, al fine peraltro, indicato dai ricorrenti, di escluderne la neutralità e le cause di esonero da responsabilità di cui agli artt. 1517 D.lgs. n. 70/2003, in relazione alle funzioni del servizio di ricerca on line Autocomplete e Ricerche Correlate, che sono viceversa funzionalità del motore di ricerca Google;
che Autocomplete riproduce statisticamente il risultato delle ricerche più popolari effettuate dagli utenti, laddove Ricerche Correlate riproduce i risultati delle pagine web indicizzate e rese accessibili dal motore di ricerca partendo dai termini in questione;
che i termini visualizzati dagli utenti sulla stringa di ricerca attraverso la funzionalità Autocomplete, ovvero in fondo alla pagina di ricerca nella sezione Ricerche Correlate, non costituiscono un archivio né sono strutturati, organizzati o influenzati da Google che, tramite un software automatico, si limita ad analizzarne la popolarità e a rilasciarli sulla base di un algoritmo;
che trattasi di servizi della cd. attività di "caching” svolta da Google al fine di facilitare, a loro richiesta, l'accesso ad altri destinatari di informazioni fornite da destinatari del servizio, senza che il prestatore del servizio, nella specie Google, sia responsabile del contenuto di tali informazioni a norma dell'art. 15 cit. D.lgs.
che a tenore della citata norma, il provider non è responsabile, della memorizzazione automatica, dunque né del sistema di ricerca né dei risultati della ricerca, finalizzati come sopra, sicché non si vede come al riguardo possa escludersi la sua neutralità;
che, anche a fronte di un ordine di rimozione da parte dell'autorità giudiziaria di contenuti (intesi come risultati della ricerca) eventualmente lesivi dei diritti, Google non sarebbe comunque responsabile degli stessi, anche avuto riguardo al disposto dell'art. 17, richiamato dagli stessi ricorrenti secondo cui nella prestazione del servizio in questione, il prestatore non assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente i fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite; e non potrebbe fondarsi una sua responsabilità per danni, quale ipotizzata viceversa dai ricorrenti;
che il quadro normativo introdotto dal D.lgs. 70/2003 infatti nega la configurabilità di un obbligo di controllo e di una responsabilità dell'Internet Service Provider rispetto a tutti i “servizi della società dell'informazione”, siano essi qualificati come attività di mere conduit (art. 14), di coaching (art. 15) o di hosting (art. 16);
che la medesima normativa esclude altresì in capo agli Internet Service Provider un obbligo di attivarsi per la rimozione di contenuti esistenti, in assenza di un ordine dell'autorità competente e attribuisce alla sola autorità giudiziaria o amministrativa competente la facoltà di esigere anche in via d'urgenza che il provider “impedisca o ponga fine alle violazioni commesse” (artt. 14, 15, 16 cit. decreto)
che, tanto premesso, nella specie non appare configurabile un'attività illecita che induca al predetto ordini di rimozione;
che le associazioni, tuttora visibili su Autocomplete e Ricerche Correlate, ai nomi dei ricorrenti (omissis) termini setta e plagio di cui gli stessi si dolgono non costituiscono una frase di senso compiuto né una manifestazione di pensiero, né dunque, “quello che Google pensa” (v. p. 16 ricorso), né un pensiero, né un pensiero attribuibile a Google, ma esclusivamente il risultato delle ricerche più popolari effettuate dagli utenti, ovvero la visualizzazione dei termini ricorrenti nelle pagine web incluse tra i risultati di ricerca di una determinata query, entrambi resi disponibili agli utenti come strumenti di aiuto alla ricerca;
che non pare ravvisarsi nell'esito di ricerche del tutto automatiche (effettuate dunque in base agli accostamenti più ricorrenti, ovvero a quanto presente e indicizzato nelle pagine web con quel termine di ricerca, e comunque ad informazioni e materiale pubblicati da terzi in rete), prodotto di un algoritmo memorizzato al fine di facilitare la ricerca di altri destinatari del servizio, una qualsivoglia affermazione o dichiarazione di un contenuto diffamatorio;
che l'accostamento di termini in una stringa o un profilo di ricerca non costituisce quindi un'affermazione bensì un suggerimento di ricerca sulla base dei dati statistici o indicizzati presenti nella memoria di Google;
che si concorda con la pronuncia della Corte d'Appello di Parigi, sentenza del 16.9.2011 (doc. 12 .di parte resistente), allorché, sull'istanza di rimozione da Google Autocomplete dell'accostamento tra il nome, della società (omissis) e i termini “arnaque” e “escroquerie” (rispettivamente “fregatura” e “truffa”), ha affermato che “l'associazione di detti termini non risulta da un'azione propria di Google, ma da numero statistico delle richieste degli utenti che utilizzano il motore di ricerca e che hanno utilizzati detti termini”;
che deve peraltro escludersi una valenza oggettivamente offensiva o insultante dei termini in esame, ovvero la presenza di un contesto in cui, le succitate espressioni di per sé non diffamatorie, assumano per Fuso che ne viene fatto, detta valenza offensiva;
che la decontestualizzazione di tali termini, quale affermata dagli stessi ricorrenti, non può valere tuttavia in senso contrario, a renderli cioè di per sé offensivi, pur essendo tale connotato oggettivamente assente;
che, non valendo dunque la mera associazione dei termini in questione al nome dei ricorrenti in una stringa o canale di ricerca come affermazione, la stessa non può integrare un'affermazione diffamatoria;
che difettano pertanto gli estremi oggettivi, della lamentata azione diffamatoria;
che ciò è tanto più evidente ove si considerino, contrariamente a quanto assunto dai ricorrenti circa lo spazio di attenzione ... notoriamente molto limitato degli utenti, l'attuale diffusione dell'accesso ad internet e il livello medio di conoscenza da parte dei suddetti utenti, cui ormai appare, ben nota la funzione di aiuto alla ricerca dei servizi Autocomplete e Ricerche Correlate, laddove, diversamente opinando, i risultati forniti dai citati servizi sarebbero privi di ogni utilità;
ritenuto che, analogamente a quanto affermato da altri tribunali europei (2), se anche oggi l'utente medio può certamente non conoscere le modalità dello strumento di Google… - nella specie Autocomplete e Ricerche Correlate – comprende tuttavia senza alcuna difficoltà che i risultati non sono che proposte di ricerca e non un'affermazione emanante da Google; e ancora che (3) tutto ciò che appare è una lista di singole parole nella stringa di ricerca del motore di ricerca. Per l'utente medio del motore di ricerca questo non implica una dichiarazione di contenuto specifico, in quanto… è generalmente risaputo che l'aiuto alla ricerca che viene visualizzato non è il frutto dell'attività intellettuale di specifici utenti ma quanto invece il risultato di una procedura del tutto automatica;
che difetta, pertanto, sia pure ai ridotti fini dell'ordine che venga richiesto ex art. 15 cit. decreto, il fumus della violazione, e dunque nella specie dell'asserita attività diffamatoria;
che, ad abundantiam, nel caso di specie appare difettare altresì il periculum in mora in ordine al richiesto provvedimento, atteso che dai ricorrenti non è in alcun modo indicata l'epoca cui risalgono le visualizzazioni oggetto di doglianza, laddove la ricerca al riguardo evidenzia l'uso nel blog dei temimi setta e plagio fin dal 2004 e nel 2010;
che, quanto alla soccombenza virtuale in relazione alla spontanea rimozione dei termini di truffa e truffatore, si ritiene anche qui, analogamente ad altre pronunce di merito e in forza del sistema normativo, che prima di un'esplicita richiesta dell'autorità giudiziaria, ai sensi dell'art. 15 citato, e in assenza, per guanto sopra e in considerazione del ruolo neutrale di Google, di un obbligo di filtraggio preventivo, il provider non aveva il dovere di rimuovere i contenuti, risultati delle ricerche automatiche in esame, asseritamente lesivi;
che pertanto la spontanea rimozione non può comunque integrare, in assenza del relativo obbligo, un'ammissione di responsabilità e un'ipotesi di soccombenza a carico del provider, configurabile solo qualora il provvedimento giudiziario non venisse ottemperato in parte di Google (v. art.17);
che il ricorso va dunque per il resto respinto con compensazione integrale delle spese, avuto riguardo in ogni caso alla configurabile, potenziale lesività della visualizzazione dei termini truffa e truffatore, a fronte della quale i ricorrenti ben potevano essere indotti ad agire e Google, pur in assenza di un obbligo giuridico allo stato, ha comunque proceduto alla spontanea rimozione.
P.Q.M.
Visti gli artt. 700 e 669 bis e ss c.p.c., così provvede:
- Dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle domande cautelari, relative alla rimozione nei servizi di "Autocompletamento” e "Ricerche Correlate" dell'associazione tra nomi (omissis) e (omissis) con le parole “Truffa” e “Truffatore”;
- Dichiara interamente compensate tra le parti le spese della presente fase cautelare.
Milano, 25 marzo 2013
(1) Afferma la sentenza: “Inoltre, nel caso di diversità del luogo di domicilio e di quello della residenza, il pregiudizio può verificarsi cumulativamente in entrambi i luoghi con la conseguente facoltà dell'attore di adire sia il giudice del domicilio che quello, se diverso, della residenza.”
(2) v. Corte svizzera del Canton Giara, pronuncia del 12 febbraio 2011, doc. 13 di parte resistente
(3) v. Corte Reg. di Amburgo, sentenza 22.2.2011, R.G. 4169/11, doc. 11 di parte resistente, pagg. 5 e 6
24-04-2013 18:54
Richiedi una Consulenza