Donna incinta ricoverata in ospedale lamenta forti dolori. Il medico di guardia non vuole appronfondire e prescrive per telefono un antispastico. La donna esplelle il feto nel bagno dell'ospedale.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 gennaio - 18 aprile 2013, n. 17936
Presidente Cortese – Relatore Di salvo
Ritenuto in fatto
1. D.L.L. , in qualità di parte civile, e il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina ricorrono per cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere emessa, ex art. 425 cpp, dal Gup del Tribunale di Messina, il 16-2-2012, nei confronti di S.L. , in ordine al delitto di cui all'art. 328 cp perché, quale medico di guardia presso il Reparto di ginecologia ed ostetricia del Policlinico (omissis) , indebitamente rifiutava di sottoporre a visita D.L.L. , che era ricoverata per l'effettuazione di una interruzione di gravidanza terapeutica e che accusava forti contrazioni uterine ed aveva iniziato la fase di travaglio abortivo, nonostante reiterate richieste dell'infermiere e dell'ostetrica di turno, limitandosi a prescrivere telefonicamente un farmaco antispastico. Non provvedeva inoltre a disporre il tempestivo trasferimento della paziente in sala travaglio, lasciando così priva di assistenza la donna, che espelleva il feto in bagno. In (omissis) .
2. La parte civile ricorrente deduce, con unico motivo, vizio di motivazione e violazione degli artt. 425 cpp e 328 cp. Sia la persona offesa che l'infermiere di turno e la paziente ricoverata nella stessa stanza della D.L. hanno concordemente riferito che, sebbene fosse stato richiesto l'intervento dello S. , questi non ha mai verificato, nonostante fosse stata intrapresa la procedura di induzione al parto, le condizioni della paziente, che accusava dolori lancinanti, andandola a visitare. Del tutto inventate sono le circostanze inerenti alle visite espletate dallo S. intorno alle h 21 e alle h 0,40, che infatti non sono annotate in cartella clinica. Così come inveridico è l'asserto secondo cui la D.L. avrebbe rifiutato di recarsi in sala parto alle ore 21 e alle ore 24.
3. Il PM deduce erronea applicazione dell'art. 328 cp e vizio di motivazione poiché l'affermazione secondo la quale il mancato trasferimento della paziente sarebbe frutto di una scelta di quest'ultima deriva da un travisamento dei fatti, avuto riguardo all'equivocità del tenore della deposizione resa da R.L.A. . Ancora più evidente l'errore in cui versa il giudice, laddove esclude una responsabilità del medico di guardia per l'omessa visita alla paziente in presenza di dolori lancinanti al basso ventre, che da li a poco avrebbero determinato l'espulsione del feto.
Non può infatti accedersi alla tesi propugnata dal primario del reparto, interessato a evitare danni, anche d'immagine, alla struttura sanitaria, secondo cui, poiché i dolori non erano ascrivibili a complicanze ma soltanto al travaglio, non vi era alcun obbligo, per il medico di turno, di visitare la paziente.
2.1. Con il secondo motivo, viene dedotta erronea applicazione dell'art. 425 cpp, potendosi emettere sentenza di non luogo a procedere solo qualora si appalesi inutile il dibattimento. Nel caso di specie, quest'ultimo appariva invece necessitato, onde chiarire i lineamenti fattuali della regiudicanda.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
2.2. Con memoria presentata l'11-1-13, la difesa di S.L. chiede declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione proposta da D.L.L. , parte civile, poiché non legittimata a proporre l'impugnazione, dovendosi considerare monoffensivo il reato contestato, e comunque il rigetto dei ricorsi.
Considerato in diritto
3. Preliminarmente, occorre rilevare come la presenza di un ricorso da parte del P.M. fondato sostanzialmente sugli stessi motivi rende irrilevante la questione relativa all'ammissibilità del ricorso della parte civile.
La disamina deve prendere le mosse dalla rilevazione della funzione che la sentenza di non luogo a procedere assume nell'attuale assetto del sistema. Ed, al riguardo, questa Corte non ha motivo di discostarsi dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il radicale incremento dei poteri di cognizione e di decisione del giudice dell'udienza preliminare, pur legittimando quest'ultimo a muoversi implicitamente anche nella prospettiva della probabilità di colpevolezza dell'imputato, non lo ha disancorato dalla fondamentale regola di giudizio orientata alla valutazione dell'effettiva utilità della fase dibattimentale. Di talché gli epiloghi decisionali dell'udienza preliminare in ordine ai casi che risultano, allo stato degli atti, aperti a soluzioni alternative, si collocano nel solco delle coordinate già tracciate dall'art. 125 disp. att. cpp per l'archiviazione, come logico completamento della riforma introdotta con la legge 105/93, che ha soppresso il presupposto dell'evidenza (Sez. Un 30-10-02, Vottari, Cass. pen. 2003, 396). La disposizione dell'art. 425 co. 3 cpp, nel testo novellato dalla l. 16-12-1999 n. 479, esprime dunque l'omologazione formale della regola di giudizio che presidia la decisione del giudice dell'udienza preliminare a quella relativa alla decisione sulla richiesta di archiviazione. Ne deriva che l'esito liberatorio si impone, come affermato anche dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 71 del 1996, laddove si appalesi la superfluità del giudizio e cioè qualora sia fondato prevedere che l'eventuale istruzione dibattimentale non possa fornire ulteriori, significativi apporti, al fine di superare il quadro d'insufficienza o contraddittorietà probatoria. È necessario dunque parametrare l'insufficienza, contraddittorietà o inidoneità a sostenere l'accusa in giudizio, di cui all'art. 425 co. 3 cpp, all'inutilità del dibattimento (Cass. 16-11-2001, Acampora, Cass. pen. 2002, 1632).
4. Nel caso in disamina, non può sostenersi che dal tessuto motivazionale della sentenza impugnata risulti adeguatamente giustificato l'asserto relativo all'inutilità del dibattimento. Anzi,al riguardo,la sentenza impugnata non è esente da profili di mancanza e di manifesta illogicità dell'apparato motivazionale. Il giudice da atto infatti delle convergenti dichiarazioni rese dalla persona offesa, dalla madre, dalla teste T.C. , paziente ricoverata nella stessa stanza di degenza della denunciante, e dall'infermiere A.G. . Da esse si evince come il medico, nonostante fosse stato informato dei dolori lancinanti accusati dalla paziente, non si sia recato in reparto, limitandosi a prescrivere per telefono un antispastico, e come la D.L. non sia stata trasferita in sala travaglio. Alla luce di tali risultanze, il giudice avrebbe dovuto sottoporre ad un penetrante vaglio di credibilità razionale la prospettazione secondo la quale la paziente aveva persistito nel rifiuto di recarsi in sala travaglio, pur nell'imminenza della fase espulsiva. Manca, in particolare, un'adeguata analisi dell'ultimo segmento della vicenda, nell'ottica dell'accertamento delle ragioni per le quali, pur essendo ricoverata all'interno di una struttura sanitaria, la paziente si sia trovata nelle condizioni di dover espellere il feto in bagno, senza alcuna assistenza, giacché il personale paramedico intervenne soltanto successivamente. Così come, in considerazione del predetto esito e delle dichiarazioni rese dalle persone informate dei fatti appena menzionate, avrebbe dovuto sottoporre ad attenta analisi l'asserto secondo il quale non vi era, in capo al medico di turno, alcun obbligo di intervenire. Ed ancora andava adeguatamente giustificata la subvalenza dimostrativa degli apporti probatori provenienti dai soggetti poc'anzi menzionati rispetto a quelli provenienti da R.L.A. e dal prof. G. , soggetti appartenenti alla stessa struttura sanitaria in cui prestava servizio l'imputato. La tematizzazione di tali profili è invece del tutto estranea al tessuto motivazionale del provvedimento impugnato, che si limita a riportare le risultanze degli accertamenti espletati e,in particolare, le dichiarazioni rese dalla R. e dal G. , senza alcuna analisi critica. L'apparato giustificativo del decisum non può però ridursi alla semplice riproduzione delle risultanze acquisite, dovendo comunque il giudice a quo trarre una sintesi logica dal materiale probatorio disponibile e dare puntuale risposta alle argomentazioni di tutte le parti (Sez. VI, 11-2-08, n. 34042/07, Napolitano). Rientra infatti nel vizio di mancanza di motivazione, come esplicitamente evidenziato nella Relazione al progetto preliminare al codice di procedura penale, l'omissione di passaggi esplicativi fondamentali ed ineliminabili nell'orizzonte tematico sottoposto all'analisi del giudice. L'asserto formulato dal giudicante, relativamente all'impossibilità di una confutazione delle considerazioni poste a base della sua decisione quand'anche il compendio probatorio in atti fosse stato sottoposto al più penetrante vaglio dibattimentale, non può perciò considerarsi sorretto da adeguato supporto giustificativo onde la sentenza impugnata va annullata, con rinvio al giudice a quo, il quale, nell'ottica delineata dall'art. 173 disp. att. cpp, si atterrà ai principi di diritto enucleabili dalle considerazioni fin qui esposte.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale di Messina.
20-04-2013 00:17
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