Detenzione sostenze stupefacenti. I gravi indizi di colpevolezza possono desumersi dalle interecettazioni telefoniche dalle quali si desuma la detenzione presso la propria abitazione. Irrilevante la mancanta cessione a terzi.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 13 – 29 novembre 2012, n. 46327
(Presidente De Roberto – Relatore Petruzzellis)
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza del 17/02/2012, ha respinto il riesame proposto nell'interesse di A.M.L., G.M., C.T. e V.P.F. avverso la misura degli arresti domiciliari e della custodia cautelare in carcere disposta dal Gip di quella città rispettivamente nei confronti dei primi tre, e dell'ultima ricorrente indicata, in relazione a specifici episodi di detenzione e spaccio di sostanza stupefacente loro addebitati.
L'operazione di polizia sfociata nell'emissione delle misure cautelari è sorta a seguito di un controllo di due abituali acquirenti di sostanze stupefacenti, che hanno fornito indicazioni sui loro consueti luoghi di rifornimento, le cui dichiarazioni hanno consentito, anche sulla base del controllo delle utenze telefoniche utilizzate per prendere contatto con i fornitori, di sottoporre a controllo le utenze con le quali si registravano i contatti, consentendo l'identificazione di una fitta rete di collegamenti.
2. Con autonomi ricorsi la difesa, nell'interesse di A.M.L., eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato ai sensi dell'art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. sotto l'aspetto dell'insussistenza dei sufficienti indizi di colpevolezza del coinvolgimento dell'interessata nella contestata cessione di stupefacenti.
Si ritiene che gli indizi siano stati tratti esclusivamente dallo scambio di alcuni sms tra lei, il marito ed un terzo, tendenti a ricordare un appuntamento al quale non risulta che dovesse partecipare la donna, né che l'incontro avesse ad oggetto quanto ipotizzato in tesi d'accusa, circostanza che lo stesso Tribunale adito ha constatato, escludendo che in due delle occasioni esaminate fosse stata accertata la consumazione di concrete ipotesi di cessione.
La circostanza di fatto richiamata rende conseguentemente contraddittoria la motivazione.
Per di più dal testo delle comunicazioni intercettate non è dato rilevare alcun elemento di conferma del compimento diretto da parte dell'interessata dell'attività illecita ipotizzata.
3.1. Nell'interesse di M. si eccepiscono i medesimi vizi, argomentando l'assenza di sufficienti indizi di responsabilità, desunti dall'unica conversazione intercettata analizzata nell'ordinanza, in forza della quale, a fronte di discorsi non chiarissimi, che evidenziano che M. aveva versato del denaro, poteva al più individuarsi questi come acquirente della sostanza per uso personale, escludendo conseguentemente la fondatezza dell'ipotesi di accusa.
3.2. Con il secondo motivo si contesta la pertinenza delle esigenze cautelari come accertate ed evidenziate dal Collegio, che risultano giustificate con clausole di stile che mal si attagliano alla posizione processuale del M. , cui è riconducibile un unico contatto telefonico, e lo svolgimento, a tutto concedere, di unica cessione di minima entità, che contraddice la possibilità di riferire alla fattispecie i generici richiami alle modalità dei fatti ritenuti sintomatici di pericolosità.
4. Nell'interesse di C.T. si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione dell'ordinanza impugnata ai sensi dell'art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. per avere il Tribunale respinto l'eccezione relativa all'esistenza di un rinvio a giudizio dell'interessata, per i medesimi fatti, che si ritiene ostativo all'emissione di misura cautelare; nel provvedimento di merito non si contesta la validità dell'assunto in fatto, ma si esclude l'incidenza di tale circostanza sulla validità della misura cautelare successivamente emessa. Il ricorrente ritiene invece che con tale valutazione sia stato disatteso quanto in argomento chiarito dalla sentenza delle S.U. di questa Corte del 28/06/2005 n. 34655, che ha escluso la promuovibilità di una nuova azione penale per i medesimi fatti per i quali sia pendente un diverso procedimento, imponendo in tal caso l'emissione di un provvedimento di archiviazione.
Si ritiene inoltre del tutto pacifico che, anche in sede di giudizio cautelare, il giudice debba verificare la presenza delle condizioni di procedibilità, imponendosi in ogni stato e grado l'esame previsto dall'art.129 cod. proc. pen.
5. Anche nell'interesse di F.V.P. si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione della pronuncia impugnata, in relazione all'identificazione degli indizi di colpevolezza, contestando la possibilità di trarre univoche indicazioni convergenti sulla persona della ricorrente nei riferimenti operati dalle acquirenti dello stupefacente, che avevano descritto circostanze riferibili alla loro fornitrice, che si assumono non univocamente non ricollegabili all'interessata.
Analoghi vizi sono denunciati riguardo alla valutazione delle esigenze cautelari, che registra una mancanza di motivazione con riferimento alla misura in concreto applicata, non giustificandosi, secondo la ricorrente, quella maggiormente afflittiva, a fronte della natura singola della cessione oggetto dell'accusa, ed in ingiustificata dissonanza rispetto a quanto valutato per i coimputati.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono infondati.
2. Al di là della espressione formale dei motivi di ricorso, ove si fa richiamo alla pretesa violazione di legge, in maniera non specifica, omettendo di individuare il contrasto con i principi di diritto che si assumono violati, nell'impugnazione proposta nell'interesse di A. si lamentano di fatto vizi di motivazione dell'ordinanza che non riguardano i profili rilevabili ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., come è dimostrato dalla circostanza che si censura genericamente una omessa motivazione sugli elementi indiziari, svolgendo il rilievo senza valutare quanto sullo specifico aspetto esposto nella pronuncia, che nel ricorso viene di fatto ignorato.
In particolare dall'ordinanza impugnata è dato ricavare con chiarezza che gli indizi della compartecipazione cosciente dell'interessata all'illecito consumato dal marito sono stati ravvisati nella frequenza e nel tempismo con il quale questa risulta assicurare un tramite tra acquirente e fornitore, leggendo le comunicazioni che sopraggiungono sull'utenza riservata all'illecita attività commerciale e riferendole al marito momentaneamente assente.
Deve escludersi anche la contraddittorietà della motivazione, con riferimento all'esclusione della consumazione della cessione di stupefacente nelle due specifiche occasioni temporali richiamate nell'ordinanza, poiché nel provvedimento è chiarito che, malgrado l'accertamento relativo alla mancata consegna della droga nelle circostanze esaminate, gli elementi di accusa dimostrano il possesso della merce da parte del venditore, e conseguentemente la compartecipazione all'illecita detenzione da parte della moglie che risulta aver condiviso gli abboccamenti tra le parti, circostanza che, in ragione della inclusione dell'attività di detenzione nell'imputazione, esclude la contraddittorietà dell'ipotesi di accusa rispetto allo sviluppo delle indagini, e conseguentemente la mancanza di linearità dell'effettivo sviluppo argomentativo del provvedimento, di fatto ignorato nel ricorso.
3.1. Per quel che riguarda la sufficienza indiziaria nei confronti di M., pur eccependosi i medesimi vizi di fatto, nel ricorso non è individuata una specifica mancanza o contraddizione nel provvedimento impugnato, risultando in esso focalizzato un passaggio della conversazione che potrebbe condurre a qualificare come acquirente, e non come fornitore, l'interessato.
Anche in questo caso il rilevo ignora quanto è possibile desumere dal complesso della motivazione al riguardo, da cui è dato evincere il pregresso contatto tra il preteso acquirente, e la persona che avrebbe conferito a M. l'incarico di operare la consegna, l'esecuzione dell'incarico e, successivamente l'accertato possesso da parte del consumatore, della droga appena acquistata, raggiunto per effetto del controllo di polizia, elemento di fatto non valutato nel ricorso, che attesta la parzialità del rilievo attinente alla coerenza della motivazione al riguardo.
La circostanza esposta esclude la ricorrenza dei vizi lamentati, ed evidenzia la natura di fatto del rilievo svolto.
3.2. Con il secondo motivo si contesta la pertinenza della motivazione riguardante le esigenze cautelari, rispetto alle circostanze accertate e evidenziate dal Collegio, riferibili all'interessato.
La sufficienza della motivazione del provvedimento del giudice del riesame deve inevitabilmente rapportarsi all'ampiezza dei rilievi svolti in sede di impugnazione e nella specie risulta che nel riesame proposto non appaiono in alcun modo contestate le esigenze cautelari, circostanza che non imponeva conseguentemente al giudice un'ampiezza argomentativa maggiore rispetto a quella già espressa nel provvedimento impositivo, dovendo questi limitarsi a verificare la presenza di vizi rilevabili ex officio; in tal senso il richiamo operato alle circostanze di fatto che hanno caratterizzato l'azione può ritenersi sufficiente, mentre il rilievo svolto dalla difesa ricorrente sul punto, si sostanzia in una sollecitazione ad una nuova valutazione di merito, inammissibile in questa fase del giudizio.
4. La contestazione riguardante la misura cautelare disposta nei confronti di C.T. è riferita all'intempestività della sua emissione, in quanto successiva alla richiesta di rinvio a giudizio per il medesimo reato; l'osservzione in fatto, corretta, non è idonea a produrre quale conseguenza la pronuncia di cui all'art. 649 cod. proc. pen. sollecitata dalla difesa, che presuppone l'identità dell'oggetto tra due procedimenti, di cui uno abbia avuto esito in un provvedimento definitivo, mentre il pregresso rinvio a giudizio per il medesimo reato non esclude la successiva emissione della misura cautelare per quella imputazione, ove le esigenze cautelari siano sopraggiunte alla richiesta del giudizio, in ragione dell'autonomia dei provvedimenti e della loro differente finalità.
Il richiamo alla giurisprudenza delle S.U. di questa Corte in tema di duplicazione di giudizi risulta quindi non conferente, poiché riguarda situazioni del tutto diverse, quali quelle fisiologicamente oggetto della disciplina di cui all'art. 649 cod. proc. pen. fondata sul presupposto dell'impossibilità di esercitare ripetutamente attività processuale tendente al medesimo fine, in quanto con l'esercizio dell'azione penale l'accusa consuma il suo potere al riguardo; la misura oggi contestata non prelude ad una duplicazione della medesima attività, non risultando funzionale esclusivamente alla richiesta di rinvio a giudizio, ma produce quale unico effetto la possibilità di affrontare il giudizio già instaurato a carico di T. nello stato di persona sottoposta agli arresti domiciliari.
Del tutto inidoneo a pervenire a diversa valutazione si rivela il richiamo operato dalla difesa all'obbligo del giudice della cautela di accertare la condizione di procedibilità, atteso che a monte, la preesistenza di una richiesta di rinvio a giudizio non è preclusiva all'emissione della misura cautelare, ponendo al più un problema di identificazione del giudice competente a provvedere, per effetto della individuazione dello stato del procedimento, non sollevato neppure nella fase del riesame.
In fatto l'unico elemento di contestazione avrebbe potuto essere individuato nell'insussistenza del sopraggiungere di elementi di novità in punto di esigenze cautelari che legittimavano l'emissione della misura, elemento di fatto non contestato nella fase di merito, e che conseguentemente è insuscettibile di contestazione in questa sede, anche sotto il profilo del difetto di motivazione.
La circostanza esposta impone il rigetto dell'impugnazione.
5. Nell'interesse di F.V.P. sono stati proposti rilievi squisitamente di merito, omettendosi qualsiasi indicazione di elementi carenti o contraddittori della motivazione, tanto che la pretesa assenza di univocità degli elementi indiziari viene tratta da circostanze di fatto - essere o meno la ricorrente madre di una figlia in tenera età - che non risultano emergere da specifici atti processuali eventualmente richiamati dalla ricorrente, o prospettati al Tribunale del riesame, e da questa autorità ingiustificatamente non analizzati o contraddittoriamente superati.
La situazione descritta rende evidente la natura di fatto del rilievo svolto, e quindi l'infondatezza dell'impugnazione al riguardo.
Ad identica conclusione deve pervenirsi in merito alla valutazione operata dal Tribunale sulle esigenze cautelari, posto che nel ricorso, nel sottoporre a critica tale decisione, si ignorano i passaggi specifici dell'argomentazione contenuta nel provvedimento al riguardo, ove viene dato conto della presenza di un precedente specifico, oltre che dell'accertato svolgimento dell'attività in ambito domestico, circostanze che hanno condotto ad escludere la possibilità di valutare idonee rispetto alle esigenze cautelari accertate le misure applicate ai coimputati e nel contempo contraddicono la presenza degli elementi di ingiustificata differenza valutativa dedotta.
6. Il rigetto dei ricorsi impone la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del grado.
Ai sensi dell'art. 94 comma 1 ter reg. esec. cod. proc. pen. si dispone che, a cura della Cancelleria, siano svolti gli adempimenti ivi richiamati, in relazione alla posizione di V.P.F., in custodia carceraria.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 - 1/ter disp. att. cod. proc. pen. per la ricorrente V.P.F.
05-01-2013 11:29
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