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Sentenza

Costruzione viadotto di una autostrada:  il lavoratore deve essere sempre dettagliatamente informato sui rischi connessi alla prestazione lavorativa.
Costruzione viadotto di una autostrada: il lavoratore deve essere sempre dettagliatamente informato sui rischi connessi alla prestazione lavorativa.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 8 gennaio – 24 giugno 2013, n. 27586
Presidente Romis – Relatore Ciampi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 28 febbraio 2012 la Corte d'Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Alba, sezione distaccata di Bra, appellata da T.G. e B.S. , assolveva il T. dall'addebito ascrittogli per non aver commesso il fatto; riduceva la pena inflitta a B.S. , confermando i capi civili della sentenza appellata nei confronti di quest'ultimo. Il B. era stato tratto a giudizio per rispondere (in concorso con il T. e con M.B. , coimputato non appellante, sentenza divenuta irrevocabile il 9 dicembre 2009), del reato di cui agli artt. 113, 590 commi 1,2, e 3 c.p. in relazione all'aggravante di cui all'art. 583 comma 1 n. 1 per aver in cooperazione tra loro cagionato a Mu.Ar. lesioni personali gravi. All'odierno ricorrente, in particolare, era stato contestato, quale assistente di cantiere preposto ai lavori della ditta Cherasco S.c.a.r.l di ..., di aver cagionato le suddette lesioni per colpa (generica e specifica, nei termini di cui al capo di imputazione) al lavoratore dipendente della ditta Cantieri, Mu.Ar., infortunatosi nel corso di operazioni di posizionamento di lastre durante la spinta dell'impalcato, nel corso della realizzazione di un viadotto della costruenda autostrada (OMISSIS) in territorio di ..., il (omissis), allorché l'infortunato si posizionava frontalmente anziché in zona defilata, quando una di dette lastre veniva proiettata in avanti, andando a colpire il Mu. al volto.
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso il B. deducendo la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quanto alla ritenuta responsabilità fondata unicamente sulla circostanza di aver chiamato la persona offesa ad eseguire un lavoro estraneo alle sue mansioni; la violazione dell'art. 606 co 1 lett. b) c.p.p. per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 37 e 38 D.lgs.vo n. 626 del 1994 relativamente a quelle che sono le responsabilità del datore di lavoro; in subordine la violazione dell'art. 606 co 1 lett. b) c.p.p. per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 53 e 58 legge n. 689 del 1981 quanto alla richiesta di conversione della pena della reclusione in pena pecuniaria.
3. In data 2 gennaio 2013 la parte civile INAIL presentava memoria difensiva chiedendo il rigetto del ricorso, depositando conclusioni e nota spese.

Considerato in diritto

3. Va preliminarmente osservato che il reato ascritto al B. , risalente al 14 ottobre 2004, è estinto per intervenuta prescrizione, essendo decorsi al 14 aprile 2012, non constando periodi di sospensione, il termine di sette anni e mezzo dal commesso reato ex art. 157 c.p. Conseguentemente la sentenza impugnata va annullata senza rinvio ai fini penali.
Non emergono infatti elementi che rendano evidente che il fatto non sussiste, o che l'imputato non lo ha commesso, o che il fatto non è preveduto dalla legge come reato. Perché possa applicarsi infatti la norma di cui all'art. 129 cpv. cod. proc. pen., che impone il proscioglimento nel merito in presenza di una causa di estinzione del reato, è necessario che risulti evidente dagli atti processuali la prova dell'insussistenza del fatto, o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non è preveduto dalla legge come reato. Il sindacato della Corte di Cassazione in presenza di una causa estintiva del reato, deve limitarsi ad accertare se una delle ipotesi di cui all'art. 129 cpv. cod. proc. pen. ricorra in maniera evidente in base alla situazione di fatto risultante dalla stessa sentenza impugnata, senza che possa estendersi ad una critica del materiale probatorio acquisito al processo, ciò implicando indagini e valutazioni di fatto che esulano dai compiti istituzionali della Corte.
4. Il ricorso va invece rigettato quanto alle statuizioni civili in quanto i proposti motivi di ricorso non sono fondati.
Ed invero con il primo motivo il B. sostiene che la Corte territoriale sarebbe pervenuta al giudizio di responsabilità unicamente in funzione della circostanza che lo stesso avrebbe chiamato la persona offesa Mu. ad eseguire un lavoro estraneo alle sue mansioni. Deduce a riguardo di essersi recato presso la postazione dove stava lavorando l'infortunato, sotto la supervisione del preposto della ditta Cantieri S.r.l., il coimputato T. , per chiedere a quest'ultimo di chiamare il Mu. perché aveva bisogno di un operaio, senza che il T. stesso muovesse alcuna obiezione a riguardo o lo informasse che il giovane non era abilitato e che non era stato istruito a svolgere un'attività diversa da quella che aveva svolto sino ad allora. Osserva la Corte: il motivo ripropone sostanzialmente negli stessi termini una censura già avanzata in sede di gravame innanzi alla Corte territoriale e disattesa con congrua motivazione. La gravata sentenza ha posto infatti a riguardo in rilievo che il lavoro al quale la parte lesa era stata adibita era del tutto al di fuori dell'oggetto del contratto tra la ditta Cherasco, committente e la ditta Cantieri da cui dipendeva il Mu. e che il B. era colui che quanto meno di fatto sovrintendeva al cantiere e vi esercitava funzioni di coordinamento. Trattasi di affermazioni in fatto a fronte delle quali, inammissibilmente, il ricorrente propone sostanzialmente una diversa ricostruzione del fatto. La sentenza impugnata peraltro non presenta vuoti motivazionali ne1 è caratterizzata da illogicità e violazioni di legge. La Corte di appello ha tenuto conto degli elementi acquisiti e ha affermato che la dinamica dell'infortunio dovesse essere ricostruita nei termini indicati dal giudice di primo grado. Il ricorrente ripropone anche in questa sede una ricostruzione del fatto non risultante dal testo della sentenza e come tale preclusa alla cognizione del giudice di legittimità, risolvendosi in una censura sulla valutazione delle emergenze fattuali della vicenda come ricostruite dal giudice di merito, pur in presenza di una motivazione logicamente argomentata.
Va a riguardo conclusivamente osservato che è peraltro giurisprudenza costante di questa Corte (cfr. ex plurimis, Sez. IV, n. 41707 del 23/09/2004, Bonari, Rv. 230257) che il datore di lavoro (e i soggetti assimilati, quali nella specie il B. nella sua qualità di assistente di cantiere) sono tenuti a rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti. Ne consegue che è ascrivibile a tali soggetti, in caso di violazione di tale obbligo, la responsabilità del delitto di lesioni colpose allorché abbiano destinato il lavoratore, poi infortunatosi, all'improvviso ed occasionalmente, a mansioni diverse da quelle cui questi abitualmente attendeva senza fornirgli, contestualmente, una informazione dettagliata e completa non solo sulle mansioni da svolgere, ma anche sui rischi connessi a dette mansioni. Con il secondo motivo si deduce che dovevano essere i responsabili della ditta Cantieri ad assolvere gli oneri di formazione del personale.
Osserva la Corte : con riferimento a lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, già prima dell'entrata in vigore della L. n. 626 del 1996, era stata più volte affermata, nella giurisprudenza di legittimità, la riferibilità del dovere di sicurezza, oltre che al datore di lavoro - di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche - anche al committente, con conseguente possibilità, in caso di infortunio, di intrecci di responsabilità coinvolgenti anche il committente stesso (cfr. ad esempio, Sez. 4A, 17 gennaio 1986, Marafelli, RV 171888 - 91, appunto antecedente alla L. n. 626 del 1996). Il legislatore ha poi specificamente introdotto l'obbligo di cooperazione tra committente ed appaltatore con la L. n. 626 del 1994. L'essersi avvalso per l'esecuzione delle opere oggetto di appalto di un lavoratore, senza fornire al medesimo dettagliate informazioni sui rischi specifici e senza collaborare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione del lavoratore dal rischio di incidenti connessi alla esecuzione della prestazione, consente di ritenere legittimo il giudizio di sussistenza dell'addebito, argomentato dai giudici di merito proprio sulle omissioni sopra specificate.
5. Il terzo motivo con cui si lamenta la mancata conversione della pena della reclusione con la pena pecuniaria è superato dall'intervenuta pronuncia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
6. Al rigetto del ricorso agli effetti civili consegue la condanna del ricorrente al rimborso in favore della parte civile costituita (INAIL) delle spese di questo giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente a rimborsare alla parte civile costituita, INAIL, le spese di questo giudizio che liquida in complessivi Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) oltre IVA e C.P.A. come per legge.
Avv. Antonino Sugamele

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