Costringevano i gondolieri a lasciare a loro i migliori clienti. Minacce e danneggiamenti alle cooperative concorrenti.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 maggio - 25 settembre 2013, n. 39784
Presidente Squassoni – Relatore Orilia
Ritenuto in fatto
La Corte d'Appello di Venezia, con sentenza 28.6.2012 - per quanto ancora interessa in questa sede - ha confermato la pronuncia di colpevolezza degli imputati in epigrafe indicati in ordine al reato di concorso in illecita concorrenza con minaccia o violenza (art. 513 bis, primo e secondo comma cp) riformando la decisione del Tribunale in ordine al trattamento sanzionatorio, per effetto dell'esclusione dell'aggravante di cui all'art. 7 della legge n. 152/1991.
I capi di imputazione si riferivano ad episodi delittuosi verificatisi a ... nella zona di piazzale ... (Capo A) e presso il parcheggio del (omissis) (Capo B).
Le condotte di illecita concorrenza ascritte agli imputati - sempre per quanto ancora interessa - consistevano sostanzialmente nel minacciare i titolari e dipendenti della società comunale che gestiva il trasporto pubblico, nonché delle cooperative e consorzi di tassisti autorizzati ad operare nel bacino lagunare, imponendo ai predetti specifici comportamenti volti in definitiva a convogliare i turisti verso le loro imbarcazioni, creando un clima diffuso di intimidazione e paura, sfociato, con riferimento alla condotta di cui al capo B, anche in episodi di danneggiamenti, aggressioni fisiche e lesioni personali.
La Corte di merito, quanto alla attribuzione delle responsabilità nel reato di illecita concorrenza a titolo di concorso, ha richiamato il triplice criterio elaborato dal Tribunale, secondo cui era necessaria:
a) la presenza, all'epoca dell'episodio di volta in volta contestato, dell'imputato in questione sui luoghi come intromettitore, accompagnatore o motoscafista, indicativa di un ancoramento territoriale e temporale con la condotta penalmente rilevante;
b) la sua stabile appartenenza alla compagine di intromettitori cui apparteneva l'autore dello specifico atto di violenza o minaccia in modo tale che si possa affermare che anche l'imputato abbia beneficiato delle conseguenze del gesto penalmente illecito;
c) la partecipazione effettiva in almeno un'occasione ad un episodio di violenza o minaccia conclamate, partecipazione tale da implicare un apporto materiale o morale all'azione, così da rafforzare con la propria presenza l'efficacia dell'iniziativa criminosa e da fugare ogni dubbio circa la consapevolezza che ciascuno degli imputati doveva avere della reale natura dei metodi cui il gruppo faceva ricorso ogni qualvolta insorgeva la necessità di superare ostacoli o resistenze del genere più vario. Ha ritenuto infatti non essenziale alla configurabilità del concorso una attività materiale, mentre è sufficiente anche un apporto morale, una volta che sia stata dimostrata la natura collettiva delle varie manifestazioni criminose di concorrenza viziata da violenza o minaccia.
La Corte di merito ha condiviso l'individuazione dell'epoca dei fatti criminosi accertata dal primo giudice (dal 2005 al 15 settembre 2006 per le vicende di cu al capo A e dal 2003 all'autunno 2006 per gli episodi di cui al capo B) e ha considerato il reato come abituale, facendo discendere da tale qualificazione giuridica l'individuazione del dies a quo della prescrizione nell'ultimo degli atti di concorrenza accertati.
Infine, e sempre per quanto ancora interessa, la Corte di merito ha confermato le statuizioni relative alle confische e ai risarcimenti in favore delle costituite parti civili.
Per la cassazione della sentenza ricorrono sia il Procuratore Generale di Venezia che gli imputati.
Il C.G. , il F. e il M.F. hanno proposto motivi aggiunti.
Le parti civili Azienda Promozione Turistica e Interparking Italia srl hanno depositato memoria difensiva chiedendo il rigetto dei ricorsi.
1- IL RICORSO DEL PROCURATORE GENERALE.
L'impugnazione del PG si articola in due censure.
1.1 Con una prima censura, si deduce l'erronea applicazione della legge penale (art. 606 comma 1 lett. b cpp in relazione all'art. 513 bis cp). Il Procuratore Generale ricorrente rimprovera alla Corte d'Appello di avere erroneamente qualificato il reato di illecita concorrenza come necessariamente abituale, mentre invece si tratta di un reato unisussistente ed istantaneo e solo eventualmente abituale: rileva, infatti, che è sufficiente anche un solo atto di concorrenza con violenza o minaccia. Osserva poi che la protrazione nel tempo della condotta antigiuridica comporta la permanenza e non la abitualità del reato e che l'erronea confluenza nella abitualità di elementi propri della permanenza ha portato all'elusione dell'accertamento dei singoli episodi, sui quali si incentravano i vari atti di appello.
Rileva inoltre che ai fini della decorrenza del termine di prescrizione si è affermato in sentenza come data di cessazione del reato sub A quella del 15 settembre 2006 e come data di cessazione del reato sub B quella dell'autunno 2006. Sottolinea che a quella data non erano avvenuti episodi di concorrenza con violenza o minaccia, ma erano stati eseguiti sul (omissis) e nel parcheggio del (omissis) solo dei controlli di Polizia da cui era emersa la presenza di alcuni degli imputati dediti al trasporto di turisti, nell'esercizio quindi di una attività abusiva solo per violazione della normativa sulla navigazione e che pertanto non corrispondeva al modello dell'art. 513 bis cp.
Da tali erronee premesse, è derivata - sempre secondo la tesi del PG ricorrente - l'inapplicabilità della prescrizione per alcuni degli episodi del luglio 2003 non compresi nel novero della abitualità e l'inapplicabilità del condono del 2006. Osserva che gli episodi di violenza e minaccia erano per il reato sub A non più di quattro e concentrati nel marzo 2006, mentre per il reato sub B gli episodi di violenza e minaccia erano 6 e precisamente, quattro in rapida successione nel marzo 2006 (da unificare pertanto in un unico reato abituale) e due del settembre - ottobre 2006.
1.2 Col secondo motivo il P.G. denunzia l'inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e contraddittorietà della motivazione (art. 606 comma 1 lett. c cpp in relazione agli artt. 125 e 546 nonché art. 606 comma 1 lett. d cpp, così testualmente, n.d.r.) rilevando che il giudice di appello, avendo stabilito in motivazione che i reati sub A e sub B si erano protratti, rispettivamente, dal 2005 e dal 2003 e, sempre rispettivamente, fino al 15 settembre 2006 e all'autunno 2006 (così modificando gli ambiti temporali rispetto alle originarie imputazioni e alla sentenza di primo grado), avrebbe dovuto in dispositivo apportare le necessarie rettifiche delle relative imputazioni mentre invece non vi ha provveduto, per cui la condanna viene ancora a riguardare, in contraddizione con la motivazione, i due reati con i periodi e le date finali loro impresse dalle originarie imputazioni, determinandosi così una frattura che da luogo alla mancanza dei requisiti di base dell'atto processuale e rende così illegittima la sentenza anche per vizio di motivazione.
2. RICORSO DI T.L. .
2.1. Il T. è stato ritenuto responsabile del reato di cui al CAPO A della rubrica (cioè delle condotte poste in essere nella zona di (omissis) ).
L'impugnazione - proposta tramite i difensori - si sviluppa in due censure: con la prima, attraverso una duplice articolazione, si denunzia l'erronea applicazione degli artt. 513 bis e 110 cp.
Il ricorrente rimprovera innanzitutto alla Corte di merito di avere qualificato il reato come necessariamente permanente piuttosto che istantaneo e conseguentemente di avere errato nel considerare la sua condotta esaurita solo il 15.9.2006, negando così la prescrizione per gli episodi risalenti al 2003 nonché il condono del 2006, nonostante gli episodi accertati nella sentenza di primo grado fossero solo quattro e riferiti al febbraio marzo 2006.
Sotto altro profilo, riguardante il ritenuto concorso nel reato, il ricorrente afferma che i giudici di primo e secondo grado hanno errato nell'applicare la norma di cui all'art. 110 cp dato che la plurisoggettività a cui vengono attribuiti i reati doveva essere qualificata indicando quali comportamenti attribuire a ciascuno dei singoli imputati quanto meno in una forma di concorso morale sia pure definibile come eventuale.
2.2 Col secondo motivo il ricorrente T. denunzia violazione dell'art. 606 comma 1 lett. c) cpp per contraddittorietà della motivazione in relazione agli artt. 125 e 546 epp. Afferma che la Corte d'appello ha circoscritto l'epoca di commissione dei reati dal 2005 al settembre 2006 (Capo A) e dal 2003 all'autunno 2006 (capo B),
mentre nel dispositivo, ha omesso di indicare le opportune rettifiche finendo per indicare, in contraddizione con la motivazione, i due reati con periodi e date finali diverse dalla loro originaria imputazione.
3. RICORSO DI R.A. .
Il R. denunzia l'erronea applicazione dell'art. 513 bis cp e il vizio di motivazione nonché l'erronea applicazione degli artt. 62 bis, 132 e 133 cp e ancora il vizio di motivazione (artt. 606 comma 1 lett. b ed e cpp).
3.1 Col primo motivo critica la qualificazione giuridica del reato data dalla Corte d'Appello osservando che da un lato ha definito il reato come necessariamente abituale (quando lo stesso è eventualmente abituale) e dall'altro ha motivato tale inquadramento con elementi tratti dalla definizione di altro reato, ossia quello permanente. Procede ad una ricostruzione della ratio e della natura giuridica del reato, che definisce unisussistente ed eventualmente abituale e passa ad esporre le differenze rispetto al reato permanente. Rileva che il dies a quo della decorrenza della prescrizione per i fatti di (omissis) (Capo A) poteva coincidere con la data del 15.9.2006 solo se in quella data erano stati rilevati atti di concorrenza con violenza e minaccia. Nel caso di specie, l'ultimo episodio riguardante il ricorrente risaliva al marzo 2006 con ovvi risvolti in ordine all'indulto e alla decorrenza della prescrizione.
3.2 Sotto altro profilo, si duole della determinazione della pena e del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, rimproverando alla Corte di merito di avere fatto uso di una mera clausola di stile, senza considerare che i precedenti penale erano datati e relativi a reati contravvenzionali e/o depenalizzati e in ordine ad alcuni dei quali era intervenuta riabilitazione.
4. RICORSO DI C.M. .
Il C.M. , imputato per i fatti di (omissis) (capo A), denunzia la violazione dell'art. 606 comma 1 lett. b ed e cpp con riferimento all'art. 513 bis cp, dolendosi in particolare della mancata applicazione dell'indulto e della mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sua colpevolezza.
4.1 Premessa la natura abituale e non permanente del reato, osserva il ricorrente che il termine di prescrizione decorre dall'ultimo atto penalmente rilevante e non da qualsiasi atto "pacifico" di concorrenza sleale: rileva che a lui sono stati contestati solo quattro episodi tra febbraio e marzo 2006, per cui non si spiega lo spostamento dell'ultimo atto rilevante al 15.9.2006 (data di un osservazione di Polizia che non aveva evidenziato nessuna azione violenta e/o minacciosa), anche perché la semplice presenza non basta ad ipotizzare la sussistenza del reato; evidenzia la contraddizione della decisione nel qualificare il reato come abituale escludendo la permanenza in atto e nell'applicare in tema di prescrizione la disciplina del reato permanente spostando in avanti il dies a quo: detta contraddizione, a dire del ricorrente, è stata fondamentale nella mancata concessione dell'indulto.
4.2 Quanto al vizio motivazionale sulla sua colpevolezza, critica il ritenuto concorso nel reato e rileva che l'unica condotta a lui addebitata, seppur non lecita, non integrava gli estremi del reato di cui all'art. 513 bis cp., di cui mancava anche la prova dell'elemento psicologico. In ogni caso, secondo il ricorrente, la mera occasionante della condotta, che ha dato vita ad un unico episodio, non può essere indicativa di abitualità e il reato in questione è necessariamente abituale.
5 RICORSO DI C.G. .
Il C.G. muove tre censure:
5.1 con la prima, denunzia la violazione di legge, il travisamento della prova e il vizio di motivazione in ordine all'integrazione dell'elemento concorsuale e della componente volitiva della fattispecie di cui al Capo A in relazione agli artt. 125, 192, 530, 546 comma 1 lett. e), 597 comma 1 e 605 cpp in rapporto agli artt. 43, 110 e 513 bis cp; rileva in particolare che la Corte d'Appello ha allargato le maglie fino a ricomprendere ciò che il giudice di prime cure aveva escluso dall'area del penalmente rilevante (cioè la sola partecipazione alla attività di concorrenza) osservando che negli atti non si rinviene alcuna prova circa la comune e completa ideazione originaria delle condotte violente e/o minacciose, essendo egli solo un mozzo sulle imbarcazioni. Contesta il carattere minaccioso attribuito all'episodio che lo riguardava (episodio del 11.3.2006 consistente nel rafforzare le intimidazioni poste in essere dal R.A. nei confronti dell'agente sotto copertura fintasi stagista dipendente presso il box informazioni).
5.2 Con il secondo motivo, denunzia la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine al tempus commissi delicti, in relazione al capo A con conseguente riverbero sulla sussumibilità della vicenda nella disciplina dell'indulto in relazione agli artt. 125, 192, 546 comma 1 lett. e), 597 comma 1 e 605 cpp in rapporto agli artt. 110 e 513 bis cp ed art. 1 legge n. 241/06; osserva al riguardo che la Corte d'Appello ha individuato il dies a quo della prescrizione nel 15 settembre 2006, data coincidente con un mero controllo di polizia sul trasporto turisti, mentre l'ultimo episodio in realtà era quello dell'11.3.2006 e tale errore ha influito negativamente anche sulla applicazione dell'indulto (limitato ai reati commessi sino al 2.5.2006).
5.3 Col terzo motivo, denunzia la violazione di legge e il vizio di motivazione sul trattamento sanzionatorio, dolendosi dell'aumento di pena per la recidiva e per l'aggravante di cui all'art. 513 bis comma 2 cp, nonché del mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 114 cp.
6 - 13 RICORSI DI S.B. E B.M. .
Il S.B. e il B.M. , tramite lo stesso difensore, propongono con separati ricorsi (ma quasi identici nel contenuto) le seguenti censure:
6.1 - 13.1 con la prima, deducono la violazione dell'art. 429 lett. c cpp in relazione all'art. 606 lett. c) cpp per indeterminatezza e nullità del capo di imputazione, del decreto che ha disposto il giudizio e delle sentenze di primo e secondo grado: rilevano la genericità e indeterminatezza della collocazione temporale dei vari distinti episodi, l'erronea contestazione della permanenza, laddove è pacifico che trattasi di reato continuato; ancora, rilevano la somma indeterminatezza del punto n. 11 dell'imputazione ove si fa riferimento ad un clima diffuso di intimidazione e paura senza chiarire quali azioni, violenze o minacce fossero l'origine di tale clima. Si critica la motivazione adottata dalla Corte per respingere l'eccezione (richiamo a tutti gli altri specifici capi) rilevandosi che tale ragionamento è inaccettabile perché o il punto 11 costituisce una imputazione ripetitiva delle altre e come tale superflua, ovvero si riferisce a fatti diversi che però devono essere specificamente provati.
6.2 - 13.2 Con il secondo motivo lamentano la violazione dei criteri di valutazione della prova in materia di concorso nel reato - violazione degli artt. 110 cp e 533 cpp in relazione all'art. 606 lett. b) e c) cpp - omessa motivazione in relazione agli specifici motivi di appello ex art. 606 lett. e cpp. Rilevano i ricorrenti che la Corte di merito, sulla base del triplice criterio elaborato dal Tribunale, li ha ritenuti responsabili del reato di cui al capo B con riferimento a tutti i punti indicati nella rubrica, senza prendere in considerazione gli specifici rilievi volti a contestare la partecipazione alle singole condotte, per assoluta mancanza di prova. La Corte di merito avrebbe applicato in sostanza il concetto di "colpa d'autore" ritenendo che la partecipazione ad un solo episodio di violenza valeva a provare automaticamente il concorso (morale) in tutte le altre condotte poste in essere materialmente da altri. Rileva inoltre il S.B. che la mera rottura in data 19.3.2006 (punto 4 dell'imputazione) di un lucchetto - peraltro di proprietà della VESTA (cioè di una società non concorrente) - non poteva qualificarsi come violenza idonea ad integrare il reato di illecita concorrenza, ma al più come esercizio arbitrario delle proprie ragioni (posto che era stata creata una illegittima recinzione) o come danneggiamento (reati perseguibili a querela, peraltro mai proposta: cfr. ricorso S.B. ). Il B.M. invece afferma di essere giunto addirittura dopo la rottura del lucchetto (come da rilevazioni video) e di essere stato ugualmente condannato. Il B.M. evidenzia inoltre la sua estraneità all'episodio della minaccia nei confronti del dipendente Interparking giacché egli era stato solo presente alla discussione.
I ricorrenti procedono quindi ad una analitica ricostruzione dei singoli punti del capo B di accusa evidenziandone le carenze probatorie.
6.3 Con il terzo motivo il S.B. lamenta la violazione dell'art. 522 comma 2 epp in relazione agli artt. 517 e/o 518 cpp - art. 511 comma 4 - 512 bis cpp in relazione all'art. 606 lett. c) cpp. Rileva il ricorrente, riferendosi alle contestate minacce verso i turisti canadesi prese in considerazione dal Tribunale, che non si comprende come un'ingiuria verso una propria cliente possa essere qualificata come atto di concorrenza illecita o minaccia ai fini dell'integrazione del reato. Inoltre, rileva che di tale episodio non è traccia nei vari punti del capo B per cui si tratta di un fatto del tutto nuovo o comunque concorrente rispetto a quelli ritualmente contestati nell'imputazione. Inoltre, la prova di tale fatto sarebbe stata ricavata dalla sola lettura della querela della signora G.E.L. senza che la stessa fosse stata assunta come testimone. Rileva ancora la mancata indicazione delle modalità di calcolo della pena inflitta e la mancata pronunzia sulla richiesta di annullamento del capo di sentenza.
6.4 - 13.3 Con l'ultimo motivo i ricorrenti S.B. e B.M. denunziano infine l'infondatezza delle richieste di risarcimento avanzate dalle parti civili - Richiesta di annullamento della relativa condanna - violazione degli artt. 185 e 187 cp in relazione all'art. 606 lett. b cpp. Affermano in proposito che il Comune di Venezia non aveva alcun titolo per chiedere il risarcimento dei danni in relazione al reato contestato; in ogni caso, l'importo fissato per il danno all'immagine era eccessivo, e l'unico episodio comune ad entrambi riguardava la rottura di un lucchetto di proprietà della VESTA spa, mentre per il B.M. era contestata anche una minaccia contro un dipendente dell'Interparking.
Rilevano l'erroneità della condanna in solido con soggetti che non erano concorrenti nel reato contestato, ma solo giudicati nell'ambito del medesimo procedimento. Contestano la legittimazione dell'Azienda di Promozione Turistica di ... e, quanto alla richiesta risarcitoria della ACTV, rilevano che il lucchetto rotto apparteneva alla VESTA; parimenti negano il diritto al risarcimento dell'Interparking, non essendo parte offesa dal reato. Rilevano l'applicabilità del condono e infine contestano la disposta confisca dei natanti negando che possano considerarsi strumenti per la commissione del reato (rottura del lucchetto mediante un martello); rilevano inoltre l'appartenenza a terzi estranei con conseguente violazione anche dei principi affermati dalla CEDU.
7. RICORSO DI M.A. .
L'imputato M.A. denunzia l'erronea applicazione dell'art. 513 bis cp nonché l'erronea valutazione dei comportamenti ascrivibili all'imputato sotto il profilo soggettivo. Erronea applicazione dell'art. 110 cp.
Dopo avere affermato di essere in possesso di regolare licenza per trasporto non di linea di persone e di essere in normale concorrenza con altri, il ricorrente rimprovera ai giudici di merito di avere generalizzato nel ritenere che anch'egli fosse responsabile del clima di intimidazione venutosi a creare nel (omissis) mentre invece svolgeva regolarmente l'attività di trasporto di persone come tassista ed era una vittima del clima di illegalità. Procede quindi ad una sintesi della sua attività e ad una diversa ricostruzione dei fatti che gli vengono addebitati (rottura di un lucchetto, rimozione di un cartello e pronuncia di una frase ritenuta intimidatoria) concludendo per la erroneità della decisione in ordine alla sussistenza del reato.
8 RICORSO DI M.G. .
Il ricorrente propone nove motivi denunziando la violazione dell'art. 606 comma 1 lett. b cpp per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche nonché la mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
8.1 In particolare, con la prima censura lamenta di essere stato ritenuto responsabile di atteggiamenti aggressivi verso i vigili urbani che però non gli sono stati contestati. Sussiste, a suo dire, violazione dell'art. 429 nonché degli artt. 516 e 521 cpp in quanto il fatto risultava diverso da quello descritto nel decreto che disponeva il giudizio: di conseguenza, occorreva disporre ad una modifica del capo di imputazione.
8.2 Col secondo motivo denunzia la violazione dell'art. 513 bis cp perché la sua condotta poteva essere considerata ingiuriosa verso i vigili urbani ma non certo integrare la illecita concorrenza con violenza o minaccia.
8.3 Col terzo motivo il M.G. denunzia l'erronea applicazione dell'art. 513 bis cp perché essendo risultati solo atteggiamenti intimidatori verso le forze dell'ordine, avrebbe dovuto essere assolto per il reato di illecita concorrenza anche perché le forze dell'ordine non sono i soggetti passivi di tale reato.
8.4 Col quarto motivo il M.G. si duole di essere stato condannato per il reato di cui all'art. 513 bis cp senza avere compiuto nessuna attività tipicamente prevista dalla norma, rilevando altresì l'insussistenza del concorso nel reato perché non viene mai descritta l'esistenza di un nesso causale tra l'intimidazione delle forze dell'ordine e la consumazione di atti di illecita concorrenza. Sussiste erronea applicazione degli artt. 513 bis e 110 cp.
8.5 Col quinto motivo denunzia la mancanza, nel caso di specie, del dolo specifico, elemento caratterizzante del reato di illecita concorrenza.
8.6 Col sesto motivo deduce l'erronea qualificazione del reato come abituale, mentre invece si tratta di un reato istantaneo e solo eventualmente abituale con le necessarie conseguenze in tema di applicazione della prescrizione e indulto.
8.7 Col settimo motivo denunzia l'erronea qualificazione del reato come permanente con le conseguenze in tema di applicazione della prescrizione e indulto.
8.8 Con l'ottavo motivo denunzia la mancanza o manifesta illogicità della motivazione sulla mancata assoluzione richiesta dalla difesa e dal Pubblico Ministero.
8.9 Col nono ed ultimo motivo, denunzia la condanna per una sorta di responsabilità oggettiva solo per essere il fratello del defunto Mi.Gi. detto "il ..." e lo zio di m.g. anche lui defunto.
9. RICORSO DI B.F. .
Il B.F. - che risponde della condotta di cui al Capo B) - deduce tramite il difensore l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 513 bis cp. – l'inosservanza delle nome processuali per contraddittorietà della motivazione.
Premette l'adesione alla censura del Procuratore Generale sulla confusione operata dalla Corte d'Appello tra il concetto di abitualità e quello di permanenza del reato, concetto, quest'ultimo applicabile alla fattispecie.
Rileva inoltre che la Corte di Appello ha omesso di accertare se il comportamento illecito fosse riscontrabile in ogni singolo fatto reato; evidenzia il suo ruolo del tutto marginale nella vicenda, essendo stato osservato in una sola occasione mentre contava il danaro ricavato da una attività che egli credeva fosse legittima. Osserva di non avere apportato alcun contribuito alla commissione dei reati da altri commessi.
Infine, aderisce ancora una volta all'impugnazione del PG laddove si sottolinea la contraddittorietà tra il dispositivo e la motivazione della sentenza con conseguente ripercussione sulle relative imputazioni che risultano scollegate dal dispositivo.
10 – 12 – 15 RICORSI DI F.S. , CO.GI. E M.F. .
Gli imputati F.S. , Co. e M.F. , tramite lo stesso difensore, denunziano con separati ricorsi (ma sostanzialmente identici nel contenuto) la violazione dell'art. 513 bis cp e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Rimproverano anch'essi alla Corte d'Appello l'errore di diritto nel definire l'illecita concorrenza come reato abituale, e citano la giurisprudenza relativa alla esatta qualificazione del reato osservando che tra il dicembre 2003 e l'estate del 2005 non vi sono stati episodi di concorrenza illecita con violenza e minaccia. Secondo i ricorrenti, al più si trattava di una pluralità di condotte da unificare col vincolo della continuazione ai sensi dell'art. 81 cpv. cp.
Rilevano poi la contraddittorietà della motivazione sull'accertamento della loro responsabilità penale perché gli elementi raccolti contro di essi (di cui sintetizzano rispettivamente il contenuto) potevano eventualmente integrare una diversa condotta peraltro mai contestata.
11 RICORSO DI P.M. .
11.1 L'imputato, personalmente, denunzia la erronea applicazione dell'art. 513 bis cp (art. 606 comma 1 lett. b) e la contraddittorietà della motivazione. Critica anch'egli la ritenuta natura abituale del reato, rilevando che trattasi invece di reato complesso e osserva che la condotta che lo riguarda è quella del 19.3.2006 con le conseguenze ex lege previste.
11.2 Erronea applicazione della legge penale in materia di concorso. Carenza e/o contraddittorietà della motivazione.
È questo il secondo motivo del ricorso. Con esso il P.M. critica l'affermazione della Corte in ordine alla sussistenza del concorso di persone (necessaria accertata responsabilità del singolo per almeno un episodio) e rileva in particolare che se l'unico episodio che lo riguarda è quello del 19.3.2006, non è dato capire in base a quale principio egli sia stato considerato responsabile del reato ritenuto abituale. Rileva poi la contraddizione della sentenza nell'escludere il Gr. (dipendente regolarmente imbarcato) dalla compagine del M.A. e poi nel ritenere che possa invece farne parte il P.M. .
11.3 Col terzo motivo il P.M. denunzia ancora l'erronea applicazione della legge penale e la contraddittorietà della motivazione rilevando che il dispositivo della sentenza non tiene conto della circoscritta imputazione di cui alla motivazione in merito al periodo di tempo in cui i reati si sarebbero consumati. La Corte pertanto ha ritenuto di limitare l'iniziale imputazione dandone atto in sentenza senza poi concludere in dispositivo.
11.4 Infine, il P.M. col quarto motivo deduce il vizio di motivazione della sentenza per non avere esaminato la richiesta - formulata con i motivi di appello e in sede di discussione - di applicazione dell'art. 114 cp.
14 RICORSO DI V.P. .
Il V.P. deduce la nullità della sentenza sotto tre profili: per erronea applicazione della legge penale (art. 513 bis in relazione all'art. 606 comma 1 lett. b cpp), per mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione (art. 606 comma 1 lett. e cpp) e infine per inosservanza di norme processuali (art. 606 comma 1 lett. c cpp in relazione agli artt. 125 e 546 cpp).
Rimprovera innanzitutto alla Corte d'Appello di avere omesso di accertare la corrispondenza delle vicende oggetto di valutazione al modello dell'art. 513 bis cp, e di accertare i singoli episodi ascritti sub B al V.P. e le relative condotte; inoltre rileva la non corrispondenza tra motivazione e dispositivo e l'omessa risposta a tutte le censure mosse contro la sentenza di primo grado. Osserva, in particolare, che i comportamenti addebitati (collocati nel marzo 2006), consistono in meri danneggiamenti, senza uso di violenza e minaccia alla persona, e pertanto sono sussumibili sotto altre fattispecie diverse dal reato di cui all'art. 513 bis cp.
Secondo il ricorrente, la Corte d'Appello ha indicato parametri generici e astratti per definire l'esistenza di una concorrenza criminosa organizzata; non ha specificato la data finale del reato e nel dispositivo non ha dato conto della intervenuta rettifica del tempus commissi delicti (protrazione fino al 2006). Infine, il ricorrente denunzia la mancata risposta alle doglianze sulla quantificazione della pena pure ricordate nello svolgimento del processo.
16 RICORSO DI O.A. .
L'O.A. , tramite difensore, propone sette motivi di ricorso, di seguito sintetizzati:
16.1 Col primo motivo denunzia la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, osservando che a fronte delle specifiche censure mosse con l'appello in ordine al ritenuto carattere minaccioso delle frasi da lui pronunciate, la Corte di Venezia in sole cinque righe ha risposto alla critica attraverso il mero richiamo alla decisione di primo grado con una motivazione completamente apodittica.
16.2 Col secondo motivo, deduce la mancata assunzione di una prova decisiva, cioè il confronto tra i testi dell'accusa e quelli della difesa, rilevando che a fronte di una specifica censura sul rigetto della richiesta da parte del giudice di primo grado, la Corte d'Appello non si è pronunciata.
16.3 Con la terza censura l'O.A. lamenta l'erronea applicazione dell'art. 513 bis cp. Rileva in particolare che le frasi pronunciate ("ma non può finire così, in tutti i casi continuerò a lavorare, che sia buono per lei o no") erano solo degli sfoghi, privi di quella intimidazione tipica della criminalità organizzata, anche perché successivamente non ha fatto seguito alcun concorrenza, non essendosi egli più recato nel parcheggio del (omissis) ed avendo addirittura venduto la barca.
16.4 Con la quarta censura il ricorrente denunzia l'erronea applicazione degli artt. 513 bis, 110 e 112 comma 1 n. 1 cp. nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione: afferma in particolare che gli episodi di danneggiamento dei cartelloni ACTV avvenuti nella primavera estate 2003 sono stati a lui ascritti in base al mero rinvio alle argomentazioni del primo giudice senza prendere in esame i motivi di appello e ritenendo provata pertanto una responsabilità concorsuale senza alcuna prova della sua presenza al (OMISSIS) all'epoca dei fatti, in violazione del principio secondo cui per aversi concorso nel reato è necessario che il concorrente assuma una condotta tale da rafforzare il proposito dell'autore materiale o agevolare la sua opera. Rileva inoltre che per quei fatti è intervenuta sentenza di applicazione della pena nei confronti del F.S. .
16.5 Con il quinto motivo si deduce l'erronea applicazione delle suddette norme in relazione agli artt. 157 e ss cp: rileva al riguardo il ricorrente che l'erronea qualificazione del reato di cui all'art. 513 bis come reato abituale e non unisussistente (o eventualmente abituale) ha impedito di operare la scissione delle condotte del soggetto in singoli episodi delittuosi e di applicare la prescrizione per gli episodi della primavera estate 2003.
16.6 Col sesto motivo l'O.A. lamenta violazioni di legge e vizio di motivazione sul trattamento sanzionatorio, dolendosi in particolare del diniego delle attenuanti generiche, giustificato sulla base di affermazioni apodittiche che non lasciano intendere l'iter logico seguito. Richiama la scarsa rilevanza dei precedenti penali, il proprio comportamento processuale e la disparità di trattamento rispetto ad altri imputati ai quali dette attenuanti sono state concesse.
16.7 Con il settimo ed ultimo motivo, il ricorrente denunzia violazioni di legge e vizio di motivazione sulla applicazione dell'indulto: rimprovera alla Corte di averlo ritenuto responsabile anche dei fatti dell'ottobre del 2006 avvenuti al (omissis) benché egli dopo il marzo del 2006 non sia stato più presente; precisa di avere anche venduto la barca nell'aprile 2006 e si duole della mancata applicazione dell'indulto nei suoi confronti.
Considerato in diritto
I ricorsi sono fondati.
1. LA NATURA DEL REATO DI ILLECITA CONCORRENZA CON MINACCIA O VIOLENZA (ART. 513 BIS C.P.). IMPLICAZIONI IN TEMA DI CALCOLO DELLA PRESCRIZIONE.
1.1 La prima questione di diritto che viene sottoposta all'esame del Collegio dalle impugnazioni del Procuratore Generale e degli imputati riguarda la natura giuridica del reato de quo, rilevandosi concordemente l'errore della Corte veneziana nell'avere inquadrato il delitto di illecita concorrenza con minaccia o violenza nella categoria dei reati necessariamente abituali. Altro errore che viene addebitato alla Corte di merito è quello di avere applicato, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, le regole proprie del reato permanente: si rende pertanto necessaria una riflessione unitaria sul tema.
L'art. 513 bis cp punisce chiunque, nell'esercizio di una attività commerciale, industriale o comunque produttiva, compie atti di concorrenza con violenza o minaccia (cfr. primo comma.). La pena è aumentata se gli atti di concorrenza riguardano una attività finanziata in tutto o in parte ed in qualsiasi modo dallo Stato o da altri enti pubblici (secondo comma).
È stato affermato in giurisprudenza che l'ambito di applicabilità dell'art. 513-bis cp., che prevede come reato l'illecita concorrenza con minaccia o violenza, è ristretto alle condotte concorrenziali attuate con atti di coartazione che inibiscono la normale dinamica imprenditoriale, per cui vi rientrano i tipici comportamenti competitivi che si prestano ad essere realizzati con mezzi vessatori (quali il boicottaggio, lo storno di dipendenti, il rifiuto di contrattare, etc), rimanendo invece escluse, siccome riconducibili ad altre ipotesi di reato, le condotte di coloro i quali, in relazione all'esercizio di attività imprenditoriali o commerciali, compiano atti intimidatori al fine di contrastare o ostacolare l'altrui libera concorrenza (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 6541 del 02/02/2012 Cc. dep. 17/02/2012 Rv. 252435; Cass., Sez. 2, 27/06/2007, n. 35611). E comunque il delitto di cui all'art. 513 bis cp., punisce esclusivamente l'alterazione delle regole a presidio della libera concorrenza realizzata mediante minaccia o violenza (Cass., Sez. 2, 11/05/2010, n. 20647).
Trattasi di reato complesso (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24172 del 31/03/2010 Cc. dep. 23/06/2010 Rv. 247946; Sez. 2, Sentenza n. 46992 del 10/12/2008 Ud. dep. 18/12/2008 Rv. 242301); il dolo è specifico, includendo il fine di eliminare o scoraggiare la concorrenza altrui ed il reato medesimo non è di danno, ma di pericolo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 27681 del 21/04/2010 Ud. dep. 16/07/2010 Rv. 247916).
Esso può essere integrato anche da un solo atto di concorrenza illecita caratterizzato da violenza o minaccia perché il nucleo fondamentale dell'elemento oggettivo del reato in questione è costituito dalla realizzazione di un atto di illecita concorrenza (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 35611 del 27/06/2007 Cc. dep. 26/09/2007 Rv. 237801 in motivazione).
Qualora invece gli atti di concorrenza illecita siano plurimi e sussista l'identità del disegno criminoso, trova applicazione l'istituto della continuazione: in tal caso, secondo i principi generali, per determinare la data dalla quale far decorrere i termini di prescrizione, occorre far riferimento alla data di consumazione di ciascun reato che compone la sequenza criminosa (cfr. Cass. Sez. F, Sentenza n. 34505 del 26/08/2008 Ud. dep. 01/09/2008 Rv. 240671; Sez. 3, Sentenza n. 12019 del 07/02/2007 Ud. dep. 22/03/2007 Rv. 236136).
1.2. Nel caso di specie, i giudici di merito non si sono attenuti a tali principi perché hanno dapprima qualificato il reato come abituale, e poi fatto discendere da tale (erronea) qualificazione giuridica l'individuazione del dies a quo della prescrizione nell'ultimo degli atti di concorrenza accertati (cfr. pag. 122 sentenza impugnata).
2. IL PROBLEMA DELL'ACCERTAMENTO DEL CONCORSO MORALE NEL REATO DI ILLECITA CONCORRENZA CON VIOLENZA O MINACCIA - LA VIOLAZIONE DELL'ART. 110 CP - I VIZI MOTIVAZIONALI.
È un'altra questione comune a molti ricorsi e pertanto anche in tal caso si rende opportuna una trattazione unica. Si rimprovera in sostanza alla Corte d'Appello di avere ritenuto gli imputati corresponsabili di tutti gli episodi delittuosi senza compiere il necessario accertamento in ordine alla effettiva partecipazione di ciascuno di essi, quanto meno sotto il profilo del concorso morale, e di avere sopperito a tale lacuna probatoria utilizzando il criterio, elaborato dal primo giudice, che si fonda in definitiva soltanto su meri indizi, quali la presenza sui luoghi (peraltro vagamente determinati), l'appartenenza ad una compagine, la partecipazione ad almeno un episodio delittuoso) e che pertanto si appalesa arbitrario ed inaccettabile.
Anche sotto tale profilo le censure appaiono fondate.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte - da cui non vi è alcuna ragione per discostarsi - ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, poiché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 36818 del 22/05/2012 Ud. dep. 25/09/2012 Rv. 253347; Sez. 4, Sentenza n. 24895 del 22/05/2007 Ud. dep. 26/06/2007 Rv. 236853; sez. 5, Sentenza n. 21082 del 13/04/2004 Ud. dep. 05/05/2004 Rv. 229200).
Tornando al caso di specie, la Corte veneta, come esposto in narrativa, ha affermato la colpevolezza degli odierni ricorrenti richiamando il ragionamento del Tribunale, secondo cui la partecipazione ad un singolo episodio comportava automaticamente per ogni imputato la responsabilità per tutti gli altri episodi, una volta accertata la sola presenza come intromettitore, accompagnatore o motoscafista sui luoghi (peraltro neppure specificamente individuati) e l'appartenenza alla compagine di intromettitori cui apparteneva l'autore dello specifico atto di violenza o minaccia.
In tal modo la Corte territoriale, discostandosi dal principio di diritto esposto, ha adottato un criterio empirico, logicamente inaccettabile, che prescinde da un doveroso e preciso accertamento di responsabilità dei coimputati in relazione a singoli fatti contestati, omettendo la puntuale individuazione di uno specifico contributo agevolatore riferibile ai molteplici episodi criminosi ascritti: così operando, i giudici di merito non hanno indicato in maniera esauriente e logicamente coerente le ragioni giustificative dell'esito decisorio cui sono pervenuti in ordine al rilievo da assegnare al contributo concorsuale di ciascun ricorrente.
Sussiste pertanto sia il vizio di inosservanza della legge penale che quello di motivazione.
La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Venezia che procederà a nuovo esame sulla scorta dei principi esposti.
Le esposte considerazioni assorbono logicamente tutte le altre censure pure sollevate dai ricorrenti.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Venezia.
01-10-2013 15:31
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